Nello scorso mese di ottobre mi è stato chiesto di assumere la Presidenza nazionale dell’Associazione dei Partigiani Cristiani fondata da Enrico Mattei nel 1947 e poi confluita l’anno successivo nella Federazione dei Volontari della Libertà, dopo che la grande scissione delle forze antifascista colpì anche coloro che avevano combattuto la lotta resistenziale e fino ad allora avevano militato nell’ANPI (rimasta in maggioranza social comunista).
La figura di Mattei rimane un punto di riferimento possibile in una fase storica e sociale segnata da forti contrasti.
Sono convinto che esista uno spazio di intervento della politica che si inserisce nel vuoto spaventoso generato dalla crisi, ma la crisi a sua volta non è figlia di nessuno, ma nasce da tutta una serie di decisioni di ordine politico e legislativo che hanno spianato la strada al finanzcapitalismo, lo hanno reso più forte e sicuro di sé e nello stesso tempo hanno indebolito a livello globale le ragioni del lavoro e della società civile – e delle stesse istituzioni- rispetto ad un processo di accumulazione del capitale che sempre più si è distaccato dalla materialità della produzione per entrare nella logica impalpabile delle transazioni transnazionali, che oltretutto pongono gravi problemi in ordine alla trasparenza e alla correttezza, dando un forte impulso alla presenza delle grandi organizzazioni criminali negli assetti finanziari della nostra epoca.
Ovviamente la questione della creazione di nuovi posti di lavoro, in un disegno complessivo di piena occupazione, dipende dalla qualità del nuovo modello di sviluppo, che deve essere orientato alla logica della redistribuzione attraverso meccanismi di fiscalità, indirizzo e controllo.
La maggiore volatilità dei redditi, principalmente degli operai ma in generale di tutti coloro che percepiscono redditi più bassi, trova conferma in altri studi. Questo fenomeno relativamente nuovo, e piuttosto negativo, coinvolge soprattutto i giovani e si manifesta in modo particolare nel mercato del lavoro.
Un fenomeno di questo tipo sembra rientrare in una più generale tendenza di questi ultimi anni: quella, di trasferire molti rischi sociali, e principalmente quelli connessi alla sicurezza del reddito, dalla società ai singoli. Questa tendenza non ha soltanto implicazioni sul terreno dell’equità: infatti, può anche introdurre nel sistema elementi di inefficienza perché porta a rinunciare ai vantaggi di una strategia collettiva di riduzione di questi rischi che hanno costituito una delle ragioni di fondo della nascita e dell’affermazione del Welfare State.
Questi fatti, che rimandano a realtà estremamente negative, non sono privi di conseguenza a livello sociale e politico, perché di fatto rende la situazione dei ceti sociali impoveriti o a rischio di impoverimento sempre più esposta a tentazioni populistiche, a rancori diffusi, a endemica insicurezza che agisce negativamente anche sulla dimensione politica, fragilizzando la democrazia ed i suoi istituti.
E proprio la tutela della democrazia è il secondo grande aggancio fra la storia delle ACLI – che con l’APC hanno stretto un patto di unità d’azione- e la memoria attiva della Resistenza.
In questo senso, è importante ricordare che fin dal primo articolo della Costituzione la Repubblica nata dalla Resistenza afferma di essere fondata sul lavoro, fissando così il canone fondamentale di interpretazione di ogni atto legislativo e politico. Il lavoro, i lavoratori, sono e debbono essere il centro dell’attenzione e della capacità di promozione sociale e politica di tutti gli attori interessati al dibattito pubblico.
Ciò significa prendersi carico fino in fondo dei disagi e delle minacce che oggi pesano sui lavoratori, in particolare i più anziani e i giovani che faticano ad inserirsi nel mondo del lavoro, o vi entrano solo per la via di una flessibilità che equivale a precarietà. Né del resto è possibile tacere della difficoltà che ancora oggi i lavoratori riscontrano sul posto di lavoro a vedersi riconosciuti i diritti più elementari a partire da quello della sicurezza. Il poco invidiabile primato italiano in materia di morti e invalidi sul lavoro sta a significare quanto ancora oggi i principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione possano e debbano ancora oggi essere parte integrante di un progetto politico per il domani.
Lo stesso per quel che concerne i diritti correlati a quelli del lavoro. La previdenza, la sanità, l’ assistenza e più in generale tutti quei diritti sociali che connotano una moderna democrazia e che rappresentano il risultato più maturo delle lotte del XX secolo. Per quanto possa essere necessario mettere mano a riforme e modifiche anche incisive di questa articolata costruzione, non si può accettare che tali correzioni rappresentino uno stravolgimento di diritti fondamentali che tutelano la parte più debole e svantaggiata della popolazione e che debbono semmai essere rafforzati ed implementati con una specifica attenzione alle persone che da Paesi lontani vengono a vivere e a lavorare nel nostro.
In questo senso intendo vivere questa nuova esperienza che mi è stata offerta.