Soltanto un giornale

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Giovanni Bianchi

Il legame sentimentale di molte persone con “L’Unità” era essenzialmente l’espressione del legame politico con il Partito di cui quel quotidiano fu a lungo l’organo di stampa, ossia il Partito comunista italiano.

E’ vero che quel giornale nacque per impulso di Antonio Gramsci e che fu lui a dettare il titolo della testata, ma a parte il fatto che all’epoca Gramsci era all’estero (sarebbe rientrato solo dopo le elezioni della primavera successiva, che lo videro eletto deputato), l’unità cui ci si riferiva era quella fra i comunisti ed i socialisti massimalisti caldeggiata dalla Terza Internazionale, che poi fallì per l’opposizione dei principali dirigenti socialisti, Arturo Vella e Pietro Nenni.

Per il resto l’ “Unità” era il simbolo visibile del partito, il luogo in cui veniva spezzato il pane quotidiano della linea politica insieme a pregevoli pagine scientifiche e culturali le quali tuttavia rimanevano subordinate alla generale impostazione dettata dal Partito, al punto che a lungo – almeno fino alla direzione Veltroni- il direttore del giornale era un dirigente del PCI di grande prestigio che occupava quell’incarico come parte del suo cursus honorum.

“L’Unità” era per così dire parte integrante di quel mondo parallelo in cui il militante ed il simpatizzante comunista sceglievano di vivere, in cui le feste (dell’ “Unità” appunto), le cooperative, i luoghi ricreativi e di aggregazione, e lo stesso modo di governare nelle Giunte comunali e provinciali erano la manifestazione del tipo di società che si voleva costruire in alternativa al sistema di potere borghese.

Finita la vicenda del PCI, venendo meno il monolitismo (sempre più formale) della linea, sopravviveva il legame col giornale come manifestazione della nostalgia di quel mondo parallelo, oltretutto debitamente mitizzato in base a vere e proprie mistificazioni di carattere solo parzialmente sentimentale (non era un fatto isolato: anche molti ex dc hanno continuato per anni a rimpiangere uno scudo crociato mai esistito).

Ma questa mistica dura a morire si è manifestata anche nei giorni convulsi della chiusura, per la seconda volta in quindici anni, del venerando giornale, ed è ben rappresentata dall’editoriale dell’ultimo direttore Luca Landò in cui non c’ è una virgola di autocritica ed in compenso c’è una severa reprimenda al PD per non aver trovato una soluzione alla marea di errori commessi negli ultimi anni da proprietari e responsabili del giornale, con anche una nemmeno tanto velata accusa a Matteo Renzi di aver voluto strangolare una voce libera e scomoda.

Con il che si è voluto riaffermare due dei principali equivoci che hanno lastricato il sentiero che ha portato l’ “Unità” alla perdizione: la convinzione che il PD sia la prosecuzione del PCI e quella che Renzi, pur essendo il Segretario nazionale del PD, sia in fondo un estraneo che prima viene cacciato via e meglio è.

Ecco, la morte di qualsiasi giornale è una perdita perché vuol dire che si spegne un soggetto portatore di un’opinione propria in un contesto pluralistico: ma se l’”Unità “ tornerà a vivere sarà solo perché avrà preso atto, con umiltà, di non essere il surrogato di un modello di partito, anzi di comunità sociale, che non esiste più, ma soltanto un giornale.

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