Questo libro nasce dentro una più ampia riflessione politica. Possiamo scorgervi due livelli: uno, quello più di cronaca, riguarda la stagione politica italiana che ha caratterizzato gli anni novanta; il secondo livello colloca questa storia italiana dentro una mutazione dei sistemi politici e delle forme della rappresentanza del mondo.
La questione italiana non è un sintomo con delle caratteristiche peculiari del modo in cui si è costretti a pensare la democrazia futura. Il fatto che si sia consumata una forma della democrazia non vuol dire che sia finita la democrazia.
Noi a tutt’oggi indugiamo dentro un modello tradizionale di democrazia, mentre questo si viene sfaldando; c’è un gap fortissimo tra questi processi e la rappresentazione scientifica; gap anche della politica pratica rispetto ai processi stessi. C’è una specie di controtempo: siamo tenuti in scacco; quelli che invece sono a tempo con i processi sono pochi, a mio parere. Ecco, secondo me, Calise è uno di quelli che è a tempo, e in questo libro si vede.
Il punto di partenza inevitabile in una riflessione di questo genere è centrato sulla fine dei grandi partiti, fine su cui noi abbiamo a lungo discusso in questi anni, fine di tali partiti perché fondamentalmente è cambiato il sistema sociale nel suo complesso.
I grandi partiti sono nati in una fase storica e politica che vedeva l‘avvento delle masse, il grande protagonismo delle masse che cercavano spazio nello stato, visibilità, cittadinanza. C’erano grandi fratture sociali, ma anche grandi blocchi sociali omogenei. I partiti sono interpreti di questi processi. Si aggiunga, e in altre occasioni ne abbiamo discusso, che non solo c’era questa pressione sociale, c’erano questi blocchi omogenei, ma c’erano anche mete finali che avevano caratteristiche utopiche e che si iscrivevano in quelli che noi chiamiamo processi di secolarizzazione; i partiti erano sostanzialmente una grande occasione di riscatto della società.
In effetti, nel ‘900, l’opposizione è stata radicale, ma entro un comune terreno di cultura, cioè quello di portare a compimento la storia. Le modalità con cui portare a compimento la storia erano radicalmente opposte, però la meta fondamentalmente era quella. Questa componente simbolica-religiosa, partecipativa, era un valore anche sacrificale sulla struttura fondamentale dei grandi partiti. E’ chiaro che nel dopo guerra c’è stato di meno, ma questa eco, questa funzione c’era.
Quindi i partiti erano mediatori di interessi, ma anche organizzatori di società. Questo non vuol dire che non ci fosse una differenza, già allora, tra i rappresentanti ed i rappresentati, il che è inevitabile in un sistema di rappresentanza. Però c’era un meccanismo di adesione dei partiti alla società molto più forte e di partecipazione della base del partito. I partiti di sinistra, lasciamo stare per ora la D.C., hanno avuto una grande funzione formativa anche nei processi culturali, pedagogici, ecc. ecc. Tutte queste cose sono finite. In una situazione di questo genere i partiti come sopravvivono? Ecco sopravvivono come meccanismi sociali rappresentativi ma sempre più separati da una società che ha liberato soggettività, che non è più omogenea, non è più facilmente raggiungibile.
I partiti vivono in quanto incorporati nelle istituzioni. Da questo punto di vista, diciamo che mantengono i vecchi vizi e perdono le antiche virtù. Cade la dinamica di immedesimazione partecipativa e rimane soltanto la dinamica riproduttiva che peggiora sempre più: il finanziamento dei partiti, il potere di contrattazione e di ricatto, le dinamiche di spartizione… Nell’ultima parte del libro viene descritto anche il neonotabilato, che è un’ulteriore trasformazione di Forza Italia…
Questo libro deve essere proseguito, deve essere scritta un’aggiunta: Forza Italia è un partito personale che sta riprendendo molto; il radicamento sociale avviene attraverso questa operazione, questa macchina: il notabilato di ricatto, di intermediazione non ideale, e quindi con caratteristiche fortemente parassitarie, ecc. ecc.
Nella grande crisi della geopolitica, cambiata la dimensione internazionale, presenti, invece, le inadempienze, la crisi amministrativa, il disservizio, se ci togli anche i soldi da distribuire, che cosa resta? Allora questo collasso era inevitabile. Si sviluppa una dinamica dichiaratamente antipartito e allora riappare, in termini di propaganda, questo fantasma di Rousseau, la democrazia diretta: se i partiti non sono più elementi di mediazione e si sono trasformati in macchine parassitarie che bloccano la società anziché valorizzarla, non resta che tornare a forme di democrazia diretta.
Evidentemente il fantasma di Rousseau. Come si dice nel libro, lo stesso Rousseau, quando pensava alla democrazia diretta, pensava alla polis ateniese, pensava per piccoli spazi. Anche la democrazia rappresentativa ha funzionato nei grandi parlamenti ottocenteschi, come rappresentativa di oligarchie.
Questo fantasma di Rousseau ha una caratterizzazione molto forte dal punto di vista simbolico: non ha un potenziale costruttivo, ma un forte potenziale distruttivo, una forte capacità di delegittimazione della intermediazione, ma non si arriva a sbocchi consistenti se non attraverso (poi il libro ne parla più avanti) le così dette politiche referendarie.
Anche qui c’è da aggiungere che le politiche referendarie hanno fatto il loro tempo. Un’altra caratteristica, un altro proseguimento del libro è che non si può votare a lungo quando l’effetto della votazione è un effetto nullo. L’inflazione dei referendum ha distrutto la passione e referendaria che aveva caratterizzato la politica fino alla fine degli anni 90.
La cosa interessante è che il grande quadro della mutazione del sistema della rappresentanza, dalla crisi dei partiti al partito personale, si trova nel presidenzialismo americano; questo modello viene ripreso in Europa soprattutto dal partito laburista di Blair.
Il partito personale comincia a svilupparsi in una situazione in cui l’ adesione al partito non è più nella forma della partecipazione generalizzata. C’è una adesione simbolica con il capo politico e, l’individuazione del consenso non più attraverso la dinamica del partito, ma attraverso l’appropriazione che un soggetto fa dei beni politici. Grandi temi simbolici legati ad una persona.
Siamo in una situazione in cui è difficile raggiungere la gente, noi ci troviamo in una società dove la gente, non essendo più omogenea sociologicamente, non ha più un luogo dove raccogliersi. Le sezioni non funzionano, le parrocchie non funzionano. Dove la incontri? L’agorà dov’è? La gente si incontra in un medium simbolico. Questo vale per la politica, vale per qualunque esercizio culturale. Un grande libro che non passa per la televisione rimane un libro d’elite, un libro privato.
La politica non si può permettere questi lussi, di fare cioè cose che non abbiano impatto. La grande disgregazione sociale, la perdita dei luoghi naturali della politica, ha potenziato di più la personalizzazione. Anche l’elemento di simbolizzazione, di legame stretto alla persona come capace di garantire quello che ci promette…
Qui c’è un’altra cosa importante: la crescita della dimensione personale nasce dal fatto che la persona consente una più facile individuazione delle responsabilità. Ecco, da questo punto di vista, nei partiti era molto difficile individuare una responsabilità.
La rivincita inglese riporta questo meccanismo americano nel continente e si comincia a selezionare il sistema politico attraverso operazioni che fanno sinergia, fanno agire insieme i leaders politici ed i competenti, i tecnici, i quali cominciano (quello che si sta facendo anche adesso), collegio per collegio, a vedere quali sono le sensibilità e quali possono essere le persone che possono contare. Questa tematica dei collegi marginali, di cui avete letto in questi giorni sui giornali a proposito dell’Ulivo, è quello che, come in questo libro è dimostrato, per primo ha fatto Blair: fare un conto molto specifico dei consensi ed lì introdurre persone che potrebbero essere determinanti. Questo perché? Perché il lealismo partitico è finito. Una volta, coi vecchi partiti, si votava il PCI, di votava la DC, poi all’interno c’era un gioco di preferenze, ecc. Ma la motivazione della gente era di votare il partito. Qui no! Qui sostanzialmente si vota la persona, la persona che a livello generale rappresenta un certo indirizzo politico e anche la persona a livello locale.
Questo è uno dei motivi per cui, nell’ultima parte del libro, viene ricordato come, pur nel crollo definitivo dei partiti, riparta il notabilato locale. Il notabilato locale è quell’elemento attraverso cui nel collegio marginale o nel luogo, tu puoi far vincere una certa figura. Il reclutamento di massa in Forza Italia, ma anche la sinistra ha fatto operazioni di questo genere, ha preso o vecchi candidati o persone appartenenti a quella dinastia che localmente avesse un significato o un peso.
Quanto alla dimensione della personalizzazione, nella seconda parte del libro si analizzano i processi specifici attraverso cui la personalizzazione si è radicalizzata: intanto si parte dalle politiche referendarie e dal passaggio significativo sul piano della politica, anche se insignificante sul piano della persona, di Segni. In Italia la prima forma antipartitica è collegata alla figura di Segni. In quegli anni si era detto che fondamentalmente gli italiani avevano una tendenza al bipartitismo, che volevano ristrutturare la situazione politica in termini di maggioritario; si lesse così il successo di Segni. Secondo me la ragione vera di quel successo è stata motivata più da avversione che da determinazione di un nuovo modello politico.Questo nel libro emerge fin dalle prime battute quando si dice “mentre si chiacchiera sulla bicamerale e sul maggioritario, di fatto non si fa proprio per questa rendita sui piccoli partiti, per i partiti senza partito che mantiene quanto c’era prima in modo patologico”. Questo tipo di diagnosi conferma che quando gli italiani votarono, votarono tendenzialmente contro e non per il maggioritario. Cioè era l’antipatia nei confronti dei partiti per le ragioni che abbiano detto che prevaleva sull’idea di una ristrutturazione del sistema politico-sociale.
Questa sarà la logica con cui ci si è accostati alle riforme costituzionali, una logica priva di cultura costituzionale. Cioè a dire: si mette mano alla riforma della costituzione sostanzialmente per ristrutturare alleanze politiche attraverso la costituzione. La sinistra su questo argomento ha sbagliato, ha fatto passare l’idea che tangentopoli e la crisi politica italiana nascessero da un deficit costituzionale e non da un logoramento del sistema dei partiti. Si è, così, ceduto i campo all’avversario: la colpa di tangentopoli è dei costituenti. Il discorso era da riformulare in un altro modo. Intanto saniamo il sistema politico, la costituzione la si deve riformare ma separatamente da questo tipo di problema. Si è ceduta all’avversario l’arma più forte, di fatto gli si è data la ragione politica.
A questo punto, nasce il direttismo politico, la dimensione che nel libro viene indicata come direttismo e personalismo: noi incidiamo direttamente. Questa dimensione di incidere direttamente, più che con Segni, si è espressa in modo consistente, e anche con caratteristiche da un certo punto di vista positive, nella elezione dei sindaci. Nei sindaci il meccanismo non è stato soltanto motivato distruttivamente come nel referendum Segni, ma è stato motivato positivamente: ai partiti non crediamo, però crediamo alle persone. Ecco, questa è stata la grande forza dei sindaci; e crediamo alle persone anche per la possibilità che hanno di non essere vincolati dalla rappresentanza.
In questo libro si dice bene che uno dei successi fondamentali dei sindaci, oltre all’elezione diretta, è stato il fatto di poter costituire giunte autonome e quindi, fondamentalmente, costituirsi come super partes contro partiti riottosi. Questa è stata l’immagine. Il libro dimostra che non è stato così, perché questi sindaci avevano un potere labile: dovevano costantemente mercanteggiare nella costruzione delle giunte, ecc. ecc., perché quel vecchio residuo parassitario è una cosa che non si può evitare, resiste ancora.
La cosa interessante è che i sindaci diventano (l’episodio di Rutelli è l’ultima conferma) uno strumento di selezione dei gruppi dirigenti. I gruppi dirigenti non vengono più dagli apparati dei partiti, ma dall’amministrazione. Facciamo un discorso di attualità per capirci: si dice che Rutelli in fondo è uno che ha sempre fatto politica, ma l’avversario dice che non ha mai lavorato, ecc. ecc. Certamente è sicuro che Rutelli non sarebbe stato proposto premier, indipendentemente dalla qualità della persona, se non avesse fatto l’esperienza di Sindaco di Roma. Certamente c’è stato un gioco politico, un mercanteggiamento, ma quel passaggio è stato significativo. Questo vale anche per altri sindaci. Il sindaco potenzia la personalizzazione, ma non è nella situazione di poter essere un principe effettivo.
In questo quadro, a livello più grande, si configura l’entrata in campo di Berlusconi. Qui la situazione ha caratteristiche particolari, in quanto c’è il direttismo, c’è il partito personale, però non orientato all’identità locale, ma a perseguire obiettivi nazionali. Se tutto quello che abbiamo detto sta in piedi, se le ragioni per cui i partiti sono andati in crisi stanno in piedi, se le ragioni per cui tangentopoli è nata stanno in piedi, allora la discesa in campo di Berlusconi diventa facilmente comprensibile e diventa facilmente comprensibile anche il suo successo.
Ecco un’altra caratteristica di questo libro che io condivido. Con alcuni che si interessavano di comunicazioni ebbi degli scontri e dei dissensi anni fa; essi ritenevano che Berlusconi avesse vinto per il suo potere mediatico , annullando completamente la politica. Questo libro mostra invece che il potere mediatico funziona solo se c’è dell’altro, perché se non c’è dell’altro, il potere mediatico non funziona. E in questo caso l’altro c’era.
C’erano indubbiamente elementi di novità, sopra tutto per la storia politica italiana. Climi di novità in quella campagna elettorale ed elementi di novità che tornano adesso e che erano dati dal fatto di un uomo che scende in campo per sostenere una sfida presentandosi con due caratteristiche: un uomo che si è fatto da solo (self made man) e quindi gioca sul terreno della politica quella cultura antipartito che abbiamo visto essere stata il segreto del successo di Segni.
L’altra caratteristica innovativa dinnanzi all’opinione pubblica, è che io mi spoglio, metto a rischio il mio interesse fondamentalmente per il bene della collettività. Su un certo immaginario sociale questo ha funzionato: l’uomo che viene da fuori e che si spende per la società. Questi erano elementi che potevano persuader o non persuadere, infatti alcuni sono stati persuasi, altri no. Ma certamente erano innovativi nel lessico politico; avevano una forte portata simbolica; in ogni caso, se non erano persuasivi, certamente erano distorcenti rispetto agli altri partiti, non ci si aspettava questo tipo di linguaggio nella politica italiana ove, tutta al più, c’era il vecchio linguaggio, consumato e reso miserabile, dalla politica come “servizio”.
Che cosa fa Berlusconi per vincere? Trasforma in partito la sua azienda sia dal punto di vista dell’organizzazione, che della tecnica. Mettere l’azienda in campo vuol dire mettere un insieme di persone, dove il meccanismo di comando funziona moltissimo (il capo non si discute), con strategie fortissime di marketing e di efficacia. Si tratta di acquisire consenso a partire dagli interessi correnti ed emergenti dalla società. In una società che non ha più blocchi fissi, dove non è identificabile un elettorato, che cosa è determinante nella scelta politica? Le dimensioni degli interessi correnti ed emergenti che sono labili, tanto più labili quanto più non corrispondono ai bisogni strutturali di base. Questo la sociologia lo sa. L’inclusione iniziale dei grandi partiti era al minimo: la cittadinanza doveva essere di tutti. Una volta che questa operazione è compiuta, la dinamica o la differenza del consenso fra gli uomini è relativa allo spettro di scelta. Se ci sono i fondamentali diritti di cittadinanza, per esempio, la salute, il problema diventa la qualità della salute e non si guarda più il fatto che la salute sia pagata; diventano rilevanti le inadempienze, le disfunzioni e quindi si cerca un’implementazione della scelta. C’è tutta questa rete quotidiana corrente, fluttuante; basta una dinamica inflativa che gli interessi della gente si modificano.
La sensibilità cambia, come la segui? La segui attraverso il sondaggio, attraverso il riscontro di opinione. Allora si ha bisogno di una macchina organizzativa che abbia il polso sulla quotidianità. Questo lo facevano già gli americani, gli inglesi. Capite bene che se si realizza questo discorso in termini di grafica del consenso, diventa molto più importante un controllo costante attraverso il sondaggio di quanto non lo sia il voto politico. Lavorando su questa curva poi alla fine si può vincere meglio o peggio, ecc. ecc.
Da questo punto di vista c’è un partito azienda che è davvero innovativo, nell’azienda i rapporti verticali sono predominanti rispetto a quelli partecipativi, rispetto a quelli discorsivi.
Ecco questo è il Berlusconi tipo, prima fase. Però oggi noi vediamo che anche Berlusconi è costretto a patteggiamenti, a contrattazioni molto forti, perché diventa un partito che intreccia molto più intimamente la società. Ma perché ha vinto allora? Anche tutto questo non sarebbe bastato perché vincesse. Questi sono i tratti innovativi, ma i tratti innovativi si radicano, si innestano, cadono più esattamente su un terreno più fecondo che, in fondo, è la tradizione socialmente moderata degli italiani. Perché, tutto sommato, si riesce ancora a credere all’anticomunismo quando il comunismo è finito? Diventa la grande barriera. L’elettorato del pentapartito era deluso dai partiti, però non gli piacevano gli altri.
C’è una cosa che è rilevante e che in questo libro è accennata, ma va specificata meglio nella direzione della sinistra: per quanto i DS non fossero caduti sotto i giudici, nella convinzione comune facevano parte del blocco degli altri partiti, c’entravano anche loro in tangentopoli. Meno, ma c’entravano anche loro. Il vecchio Partito Comunista, o come si diceva lo zoccolo duro, teneva di più, ma evidentemente non poteva essere attraente per quelli che venivano dall’altra parte, i quali dicevano: i nostri partiti sono crollati, ma quelli l’hanno fatta franca.
Questa idea di Berlusconi ha raggiunto la gente: la “macchina da guerra” di Occhetto non ha funzionato perché molti erano convinti che da quella parte ci fossero stati dei salvati. Ciò non poteva orientare quell’elettorato su qualcosa che non era alternativo perché era vecchio. Quello che di vecchio c’era nella società era in ritardo, e cercava una rappresentanza che non fosse comunista.
Berlusconi ha aggiunto anche dei fattori innovatori e quindi la sua persona ha legato insieme questi tre processi che lo hanno reso vincente: il partito del premier, il sindaco, il partito personale con la sua organizzazione.
Il libro si conclude con una riflessione sull’altra faccia di Weber. La grande tematica di Weber era quella di mettere insieme potere, legittimità e razionalità. La dimensione che metteva insieme potere e legittimità era l’universalismo, quella che metteva insieme potere, legittimità e razionalità era la burocrazia dell’amministrazione. Questo potere è tanto più legittimo quanto più è efficiente, ed è tanto più efficiente quanto più funziona come macchina e meno come persona, perché c’è una grande macchina automatica e cioè l’automatismo sociale. Questo modello resta per molti versi a tutt’oggi vero. Questa leadership personale, che è labile, resta labile perché quello, nonostante tutto, resta forte. Il potere della macchina autonoma resta forte perché altrimenti emergerebbe il grande carisma come potere innovativo. Questi non hanno carisma perché la macchina automatica rimane molto potente. L’altra faccia di Weber è che quella solidarietà tra potere, legittimità e razionalità non è poi così automatica e produce dentro di sé conflittualità.
Il sistema dei partiti, il meccanismo dell’amministrazione, che in Italia era particolarmente debole, ha collassato, c’è stata un’eterogenesi dei fini. Ma il fatto che abbia collassato non vuol dire che si sia estinto, non vuol dire che mantenga i suoi forti poteri di ricatto, non vuol dire che non abbia risorse per rifunzionarsi.
Laddove c’è questo impoverimento di questa triade, dove c’è uno scollamento, è riemerso facilmente il potere personale, il carisma con caratteri idolatrici. Ecco l’altra faccia di Weber. Weber diceva questo del leader carismatico che riesce ad emergere; ma lì appunto c’erano dei motivi, delle rotture della società talmente forti che permettevano al capo di fare questo.
L’altra dimensione, l’altra faccia di Weber è che in questa disfunzione della macchina prevale il locale, in Italia in particolare, dove c’è una tradizione municipalistica. La Lega è un fenomeno di questo tipo. Ci sono elementi tribali nelle valli, ma c’è fondamentalmente il primato del locale innanzi ad una macchina burocratica amministrativa deficiente, inefficiente, che va a vuoto. Allora il locale prevale e prevale nella forma soggettiva degli egoismi che poi, in certi luoghi, nelle enclave alpine, si colorano anche di elementi tribali.
Questa è l’altra faccia di Weber, nel senso che questi temi Weber li aveva individuati, ma c’era un eccesso di fiducia nella macchina anonima del razionalismo che invece ha mostrato le corde.
Il libro si conclude con il tema dei leaders carismatici labili; direi a questo punto anche “per fortuna”. Ed è questa la ragione per cui non sono all’orizzonte fascismi, in senso forte, anche se ci sono rischi di adattamenti, di passività. Non c’è la dimensione pericolosa di soggetti personali che possono sovrastare interamente la società.
Per aprire la discussione sul libro di Calise provo a fare una domanda. Quali sono i vettori attraverso cui il sistema democratico, ammesso che duri, si verrà ristrutturando? Intanto ringraziamo Mauro Calise per averlo scritto il libro ed essere venuto tra noi.