Perché un’esperienza non si perda.
“Non è dal modo in cui un uomo mi parla di Dio che io vedo se è abitato dal fuoco dell’amore divino, ma dal modo in cui mi parla delle cose terrestri”. Questa riflessione di Simone Weil – che ho rivisitato durante l’estate, perché a una certa età serve più rileggere che leggere – dà conto sinteticamente dell’esistenza di Bepi e del segno che ha lasciato tra noi.
L’incontro di Bepi con le ACLI è stato per molti versi un destino. Lui veniva dalla FUCI, di cui era stato dirigente nazionale, laureato in giurisprudenza con una carriera accademica davanti (è stato assistente di Diritto all’università) e proprio in quei momenti decisivi, dove si decide cosa fare della propria vita, il rapporto con le ACLI, che ne avrebbe condizionato tutta la vicenda successiva. In quell’incontro proseguiva quell’impegno sociale e politico che aveva caratterizzato gli anni universitari. Quelli dell’organizzazione degli universitari cattolici, nella quale conobbe alcuni di coloro che sarebbero stati i suoi amici di sempre: Emanuele e Pippo Ranci, Franco Bassanini, Valerio e Fabrizio Onida.
Componente della Presidenza nazionale della FUCI all’inizio degli anni Sessanta, Tomai lavorò alla nascita e alla diffusione della rivista “Relazioni sociali“, una delle più vivaci tribune dei cattolici negli anni del Concilio, del centrosinistra e della contestazione.
Iniziò a collaborare con l’Ufficio studi delle ACLI milanesi alla fine degli anni Sessanta con altri giovanissimi studiosi fra cui Emanuele Ranci Ortigosa e Pietro Kemeny. Entrato in Consiglio provinciale nel 1972, si schierò con la corrente di sinistra che faceva capo a Geo Brenna, Giuseppe Reburdo e Michele Giacomantonio, assumendo responsabilità nella formazione aclista e, contemporaneamente, dedicandosi alla ricostruzione dell’ENAIP di Milano provata da una scissione.
Entrò in Presidenza provinciale all’indomani del XVIIII Congresso (1975) quando presidente divenne Ranci, e nel triennio successivo fu vicepresidente con responsabilità di coordinamento della formazione aclista.
Rimase in Presidenza anche nella prima fase della gestione Barbot dopo il XX Congresso (1981), come responsabile dell’Ufficio studi. Nello stesso tempo aveva assunto la responsabilità della Direzione regionale di ENAIP Lombardia, e fu consigliere nazionale delle ACLI dal 1984 al 1996.
Dopo il 1987, gli chiesi di trasferirsi a Roma come responsabile dell’IREF, l’istituto di ricerche e studi facente capo alle ACLI.
Nel periodo 1994-1999 è stato Direttore dell’IREF, l’ente di formazione promosso dalla Regione Lombardia; attualmente era docente a contratto presso la Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) di Roma e direttore del settore internazionale del FORMEZ dopo esserne stato direttore generale.
A lui si deve la nascita di “Skill“, i quaderni di formazione di ENAIP Lombardia che sono diventati rapidamente un importante punto di riferimento per tutti gli operatori del settore della formazione professionale.
Numerosi gli articoli e le pubblicazioni a lui riconducibili, in materia di formazione professionale e di studi sociologici.
Ma torniamo all’inizio, al momento cioè del suo ingresso nella Acli milanesi.
E’ un periodo febbrile, che parte dalla fine degli anni sessanta e occupa tutti gli anni ottanta. Uno dei decenni più intensi della seconda metà del ‘900 in tutta Italia e a Milano in particolare. Sono gli anni dei movimenti, della contestazione operaia, gli anni della speranza. Sono gli anni di una bella storia di tutto il nostro movimento e al suo interno anche gli anni in cui cresce la creatività politica, professionale, culturale di Bepi. Bepi è uno dei leader del movimento, uno dei suoi giovani organizzatori, non tanto aperto al nuovo, ma rappresentante lui stesso di quel nuovo che avrebbe costruito l’immagine delle ACLI, rendendola indelebile nella storia della città. Bisogna leggerla così, in questa militanza complessiva, l’iniziativa del Bepi, anche se poi il suo campo d’azione più specifico sarà quello dell’Enaip.
Qui andrebbe aperto un lungo capitolo cui posso accennare soltanto. L’Enaip della Lombardia diventa in questi anni, gli anni di Tomai, un punto di riferimento di tutte le ACLI. Per capire questo bisognerebbe passare in rassegna tutte le sue iniziative, i rapporti, i contatti, il cambiamento radicale del concetto di formazione professionale. Una miriade d’esperienze che vedono il Bepi in prima fila: dalle nuove prospettive della formazione all’apertura al territorio, alla partecipazione attiva ed attenta alle lotte che vi si svolgevano: quelle per i diritti dei portatori di handicap, dei malati mentali (non ricordo soltanto io lo splendido manifesto titolato “la forza dei matti”), del movimento delle donne, delle nuove lotte operaie…
La formazione professionale diventa con lui una fucina di riforma sociale, d’impegno civile, di creatività. L’ho già detto: in questo periodo cresce nella città l’immagine delle ACLI e di questa crescita Tomai è stato uno dei riferimenti indiscussi. Percepire le speranze, trasformarle in esperienze, orientare i giovani a quell’azione sociale che è e rimane il terreno sul quale camminano le ACLI.
Tomai è capace di leggere con una rapidità sorprendente i nuovi fermenti sociali, le nuove culture, i nuovi soggetti. Ma c’è da chiedersi anche quali sono le caratteristiche di queste sue capacità di lettura. Innanzitutto un’attenzione agli ultimi (si è già parlato dell’handicap, dei malati mentali, dei drop out, ecc.) e poi attenzione ai processi formativi come strettamente legati, espressione delle dinamiche territoriali. L’Enaip di Bepi diventa un centro di iniziativa sociale sul territorio proprio perché costruisce una nuova formazione professionale. Anche il suo ultimo incarico come docente universitario a Roma per formare assistenti sociali non è che l’esito finale di questo suo lungo cammino nella società…
Ma ripeto, di questo impegno di Bepi nell’Enaip si dovrebbe parlare a lungo e con più competenza di quanto possa fare io ora.
Dopo gli anni milanesi sono venuti gli anni romani. Tomai diventa responsabile dell’IREF, l’istituto di ricerca sociale delle ACLI. E’ questo un altro capitolo che andrebbe indagato a fondo. Bepi è stato tra i primi a capire l’importanza che andava assumendo il volontariato nella crisi dello Stato sociale; tra i primi a metterne in evidenza i rischi ideologici e le pratiche compromissorie; tra i primi a capire l’importanza di una sua professionalizzazione che riuscisse a coniugare logiche di gratuità e competenza delle prestazioni.
Il suo libro sul volontariato, edito dalla Feltrinelli, rimane uno dei primi esempi di studi seri e nello stesso tempo leggibilissimi sull’argomento, come pure gli altri pubblicati nella collana ACLI dalle edizioni CENS. Sono stati questi romani anni di esperienze creative e intuizioni anticipatrici. Ne vorrei ricordare qui solo una, quella dei Convegni di Pienza dove l’IREF raccoglieva tutti i ricercatori sul campo del tema del volontariato e si proponeva come la punta di diamante della ricerca in Italia. I rapporti annuali dell’IREF avrebbero dovuto diventare dei riferimenti essenziali. E anche qui, quanti giovani ha incoraggiato, fatto crescere. Furono intuizioni non sempre capite, spesso ostacolate. Fatto sta che quei Convegni ora si fanno annualmente, anche se non più in casa ACLI.
Infine l’esperienza del FORMEZ, un istituto glorioso, che al tempo in cui Bepi fu chiamato a dirigerlo languiva ed era lontano dai suoi ideali ispiratori. Bepi, anche in questa occasione, nonostante le infinite difficoltà, le infinite inerzie dell’istituzione, seppe farne un punto di riferimento per la formazione degli amministratori locali, avviando esperienze pilota con le università italiane. Nell’ultimo periodo la sua attività si era estesa ai settori internazionali dell’intervento formativo. Mi raccontava, proprio prima di morire, come i suoi progetti fossero stati scelti tra i migliori in Europa e il FORMEZ avesse commesse, oltre che in Argentina, in Polonia, in Slovenia, in Albania, in quel mondo dell’Est che si apre faticosamente all’Europa.
Un altro capitolo a sé è il suo interesse per l’America Latina. Amava come pochi questo continente per la ricchezza umana che aveva conosciuto e per le tante amicizie che qui aveva realizzato. In particolare l’Argentina e il Brasile. Attirava Bepi, anche qui, quella speranza sociale, quell’umanità drammaticamente tesa allo sviluppo, ma anche umanità capace di ridere, divertirsi, giocare con la speranza…
L’America Latina non era per lui soltanto un continente. Esercizio insieme di amicizia e politicità. Così Bepi divenne il primo approdo di donne e uomini in fuga dai disastri sudamericani. A cominciare, credo, da Luis Gonzaga de Souza Lima, sociologo brasiliano, per non finire mai. Basti ricordare il rapporto – romano e costante – con Julio Santucho, sopravvissuto a quella che ben a ragione è stata definita la famiglia dei Fratelli Cervi d’Argentina.
Quello che ho qui accennato è solo un quadro assai incompleto delle attività di Tomai e penso che sia un dovere delle ACLI milanesi organizzare presto un Convengo su di lui, chiamando a riflettere i testimoni delle sue esperienze: dal suo impegno nell’Enaip, all’IREF, al FORMEZ, all’Università. Ripeto, in questo quadro mancano molte voci. E’ importante questo Convegno perché attraverso l’esperienza del Bepi le ACLI potrebbero fare un bilancio complessivo della loro storia di questi ultimi trenta anni.
Ma io non credo di essere stato invitato a parlare solo dell’attività pubblica del Bepi. Vorrei parlare anche del Bepi privato, di quello che ho conosciuto nei lunghi anni della convivenza quotidiana a Roma. Vorrei parlare della sua persona, cercando di evidenziare, nel mistero della sua vita e della sua morte, alcune caratteristiche sono riuscito a cogliere. Innanzitutto l’umiltà. Non ho mai visto Bepi in un atteggiamento di alterigia o di superiorità. Pur avendo conoscenze e competenze non comuni nel campo della formazione sociale, non le faceva mai pesare; pur avendo incarichi dirigenziali di responsabilità, nessuno ha mai visto in lui un cenno soltanto di autoritarismo e di arroganza. Era per tutti l’amico.
Questo è il secondo punto che vorrei sottolineare: la disponibilità verso tutti, l’amicizia. Sono aspetti troppo personali per poter essere raccontati. Ma quanti sono stati aiutati in tutti i modi dal Bepi, quanta attenzione ha sempre prestato per gli amici, in particolare per quelli in difficoltà. Abbiamo assistito tutti ai suoi funerali; sono venuti da tutte le parti persone note e meno note. E si badi bene, sono venuti non perché Bepi fosse un personaggio importante, ma soltanto perché Bepi era l’amico, la persona a cui potevi rivolgerti sempre, che avevi trovato sempre disponibile sulla tua via. Magari una volta, in un momento difficile, e quella disponibilità non l’avresti dimenticata mai più.
La rete delle sue amicizie e dei suoi rapporti è stata immensa. La sua vita è stata un intreccio di relazioni, di incontri dove portava sempre quella sua carica di simpatia e di ottimismo.
Da questa disponibilità verso gli altri veniva anche la sua incredibile capacità di racconto. Io lego questo aspetto all’amicizia. L’incontro per Bepi non era mai una occasione superficiale, diventava una scoperta umana, rivelava la traccia di un’avventura anche spirituale. Aveva una memoria prodigiosa per i fatti ed i volti che spesso rievocava con straordinaria suggestione, riuscendo a farti partecipe di cose che non avevi mai conosciuto e mai visto e che in lui conservavano una freschezza sorprendente. Sforzandosi, a nome di tutti gli amici, di capire, Salvatore Natoli ha parlato di letture profane della Scrittura. Ha evocato Emmaus. Il cammino compiuto insieme, in compagnia, dai discepoli e dal Signore risorto; il conversare, e un conversare così intenso da far dimenticare la meta… Poi, “lo riconobbero allo spezzare del pane”. Ecco il sopravvenire del ricordo. Già, perché Bepi era uomo della mensa, fiero delle proprie (autentiche) specialità culinarie. Di tempo in tempo allestiva sul terrazzo della nostra comune casa romana in via Orti di Trastevere cene cui invitava colleghi, esperti, amici e giovani in difficoltà. Qui esibiva insieme la sua impareggiabile carbonara e una incredibile capacità di ascolto. Ha ragione Salvatore: la morte può privarci di tutto, ma non della felicità di aver vissuto con lui, di aver goduto il dono di tanta amicizia. Di essere stati tante volte alla sua mensa, dove lui esercitava il talento di “scoprire persone”, di inventarle, di creare comunità. Ed è stato ben detto, una comunità “calda”, da cattolici impegnati ma non allineati, dove lui svolgeva la funzione del patriarca pacificatore pur esercitando nella conversazione il ruolo dialettico del bastian contrario… E, prima di coricarsi, lavava i piatti e, se avevamo cenato fuori, almeno le tazzine del caffè perché – sosteneva – l’operazione al lavandino gli distendeva i nervi e lo preparava a una notte tranquilla.
Era a tavola, alla mensa, che Bepi esercitava a tutto campo il suo carisma. Scioglieva i nodi. Preparava i piani. Coinvolgendo tutti, ma proprio tutti, nella conversazione. Per questo, insieme per la sua ritrosia a scrivere, per il timore reverenziale della pagina bianca, che neanche la successiva dimestichezza con il computer è riuscita a cancellare, gli ripetevo: “Tu sei un hombre oral“. E se il libro sul volontariato è finalmente arrivato all’editore è perché il Pino Trotta decise di marcarlo strettamente a uomo. Unica, splendida eccezione, le vignette e i fumetti cui si affidava costantemente come antidoto alla noia che gli procuravano le riunioni. Anch’essi andranno raccolti.
Infine vorrei sottolineare di lui un altro aspetto: la delicatezza. E’ stato tra le persone più delicate che abbia mai incontrato. Questa delicatezza gli veniva da una attenzione interiore verso gli altri. Gli esempi che potrei portare sarebbero infiniti. Erano piccoli gesti, piccole attenzioni, piccoli attestati di affetto, ma che ti rivelavano un animo diverso da quello dei comuni mortali. Ho detto più volte scherzando di lui che era nato “senza peccato originale”. Bepi era incapace di odiare, di avere risentimento verso le persone. So di persone che gli hanno fatto brutti scherzi da un punto di vista lavorativo e professionale, eppure non c’era in lui un’ombra d’astio. Rimaneva dispiaciuto, ma ancora disponibile a riprendere la comunicazione e l’amicizia.
Mi ha sempre sorpreso questa sua incapacità, spesso mi irritava, la percepivo come una debolezza. Era invece uno stile di vita che poi io leggo così, evangelicamente, come incapacità di giudicare gli altri, di vedervi dei nemici da cui isolarsi o difendersi. Le persone che lo hanno conosciuto potrebbero riportare tanti episodi di questa sua incapacità di avercela con qualcuno, di serbare rancore. E non si creda che non sia passato attraverso acerbe sofferenze, che non abbia sofferto delle incomprensioni, delle maldicenze. Ma era una sofferenza che non emetteva giudizi.
Sto davvero per concludere. Bepi ha attraversato ambienti diversi. In ogni ambiente, in ogni organizzazione ci sono dei lati grevi, dei lati oscuri, pesanti. Anche umanamente pesanti. Ricordo soprattutto gli anni del FORMEZ, i condizionamenti politici, gli scontri di potere, i tentativi di emarginarlo, e non per antipatie personali o per questioni professionali, ma per quelle logiche demoniache del potere che fanno parte purtroppo delle organizzazioni umane. Ebbene, il Bepi ne è uscito sempre indenne, con una dignità umana incontaminata. A testa alta. Ma, anche qui, non per un qualche orgoglio o per una qualche superiorità moralistica, ma per uno stile di vita che gli era connaturato. Ricordo l’ultima discussione dove mi raccontava che aveva rimesso il suo incarico di responsabile dei rapporti internazionali del FORMEZ, perché si prendessero decisioni più libere. Era un settore che si era letteralmente inventato e che marciava alla grande nell’economia dell’Istituto. La prima reazione che ebbi fu quella di non comprenderlo, metteva a rischio un posto e si rigettava in alto mare. Mi rispose che era per lui un gesto indispensabile, una questione di stile. Non voleva essere in carico a questa o quella forza politica. Se ritenevano di confermargli l’incarico era perché ritenevano valido il suo lavoro, le sue iniziative.
Vorrei infine parlare della morte del Bepi. Pesa troppo su tutti noi. Troppo improvvisa e troppo il vuoto che lascia. Eppure questa morte rispecchia la sua vita. Bepi è morto durante una festa, una rimpatriata parentale e decennale, tra una chiacchiera e l’altra, tra un gruppo di amici, tra la gente, durante un incontro. Mi chiedo: poteva morire altrimenti? Poteva la sua essere una morte solitaria? Era felice quella giornata, era felice anche la sera precedente. Ricordo il suo sorriso, la sua soddisfazione per le vacanze da poco terminate, la determinazione con cui era tornato al lavoro. E’ poi morto improvvisamente, come nel pieno di una corsa. Si dice senza aver sofferto molto.
Questo ricordo del BEPI. L’ho già detto, ma lo ripeto in conclusione di questo incontro: le ACLI devono organizzare per tempo un Convegno su di lui. In primo luogo un Convegno di testimonianze circa la sua molteplice attività di militante, di formatore, di dirigente, di ricercatore. E’ un impegno che dobbiamo prenderci tutti perché la sua lezione non vada persa.
Qui sotto alcune vignette che Bepi ha schizzato, come era solito fare, durante una riunione promossa per programmare l’attività dei Circoli Dossetti.
2 commenti
C’ero anch’io,
Gloria
Ho incontrato Bepi Tomai in Montpellier a 1976 quando egli viaggiava della Spagna a Milano. Ero invitato di stare nella sua casa quando io ero di passaggio nell’Italia con Bepi e la sua bella moglie Mirella. Non ho mai riconoscendo l’importanza del suo lavoro per ACLI, soltanto che ira un uomo molto benavendo agli stranieri come io.