La recensione non è una promozione culturale surrettizia o tantomeno esplicita. Questo vezzo che si è generalizzato con il consumo dei libri esposti sui banchi degli autogrill come prosciutti o formaggi avvolti nel cellophane, è il suo doppio e la sua caricatura. Che allontana dal contenuto del libro lustrandone la superficie.
Recensire invece è – o dovrebbe essere – un corpo a corpo con l’autore e la sua intenzione: tale da svelarne all’autore medesimo il senso profondo, che a lui stesso può essere in parte sfuggito, perché le parole hanno una loro assolutezza, nel senso che sulla pagina si sciolgono dai legami espliciti con chi le ha create, rispondendo a una loro incoercibile creatività.
Un vecchio saggio, maestro di antiche generazioni della militanza cattolica come monsignor Francesco Olgiati, avrebbe detto che il recensire è cogliere il cuore del libro, scartandone divagazioni e dettagli. Così bisognerebbe ogni volta fare. Con il vantaggio che la recensione, pur di adattarsi criticamente al contenuto, riesce ad assumere forme inedite ed impreviste usufruendo di una impensabile duttilità.
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