Si dovrà tornare a lungo sulla lezione umana, intellettuale e politica di Ermanno Gorrieri che ha chiuso il 29 dicembre scorso la sua nobile vita nella sua Modena a 84 anni di età: giovanissimo dirigente della lotta di liberazione nell’ Appennino emiliano partecipò alla costituzione della cosiddetta “Repubblica di Montefiorino” nel 1944, di cui fu anche il principale storiografo, e fu sempre intransigente nel dichiarare che la lotta resistenziale non era un patrimonio esclusivo dei comunisti, ricordando la resistenza semplice delle persone che in città ed in montagna agevolarono l’azione dei combattenti.
Fra i fondatori delle ACLI modenesi partecipò da protagonista alle lotte sindacali nell’ immediato dopoguerra e fu, accanto a Giulio Pastore, fra coloro che dopo la scissione della CGIL unitaria nel 1948 diedero vita alla CISL, dalla quale si sarebbe dimesso con qualche sofferenza circa cinquant’anni dopo in dissenso dalla politica sindacale di Sergio D’Antoni.
Vicino alla Democrazia Cristiana partecipò attivamente alla vita politica solo in due occasioni: prima come deputato nella III legislatura (1958 – 1963) poi, brevemente, nel VI Governo Fanfani (1987) come Ministro del Lavoro. Tuttavia la sua vera passione era quella dello studio dei problemi sociali, visti in particolare nell’ottica (veramente innovativa negli studi economici e sociali nel nostro Paese) delle famiglie e delle persone a basso reddito. Successivamente, prendendo atto della fine della DC e della nascita del sistema bipolare, fu fra i fondatori del movimento dei Cristiano – sociali, intendendolo come il contributo specifico dei credenti alla nascita di un polo progressista e democratico che non fosse solo debitore dell’ascendenza marxista. Comunque si valuti quell’ esperienza, occorre dire che Gorrieri seppe intuire meglio e prima di tanti altri nell’ area cattolico democratica come il passaggio al maggioritari avesse segnato la fine di vecchie appartenenze e di tradizionali concezioni dell’ agire politico dei cattolici valutando la necessità di nuovi scenari.
Restano classici i suoi studi sulla “Giungla retributiva” (1972) e sulla “Giungla dei bilanci familiari” (1979): la sua fama di studioso fece sì che fosse chiamato a presiedere le Commissioni governative su “Famiglia e reddito” (1982), “La povertà in Italia” (1985), “Lavoro e pensioni” (1990) che diedero un’ immagine precisa di un Paese in cui ancora i bilanci familiari erano condizionati dalla presenza di impressionanti sacche di povertà e dalla scarsa capacità dei salari di compensare il crescente costo della vita. In questo senso, se la malattia e la stanchezza non avessero fiaccato la sua forte fibra, probabilmente sarebbe stato uno dei più autorevoli commentatori del processo di impoverimento delle classi medio – basse in questa fase di sfondamento delle tradizionali sicurezze dello Stato sociale.
Il suo ultimo studio intitolato significativamente (con un’ evidente richiamo ad una famosa frase di don Milani) “Parti uguali fra disuguali”, pubblicato come i precedenti dal Mulino, metteva una volta di più sotto analisi critica il problema dell’uguaglianza, definendolo come una delle frontiere politiche su cui ancora i riformisti debbono misurarsi attraverso un’approfondita riflessione sulla necessità di politiche redistributive dirette a realizzare equità sociale e libertà sostanziale.
Una delle sue ultime importanti apparizioni pubbliche fu per presentazione di questo libro presso il Centro San Fedele di Milano organizzata dalle ACLI ambrosiane nell’autunno 2002, che costituì un’importante occasione di riflessione e di proposta politica e sociale con una vasta partecipazione di un pubblico attento e sensibile.
La sua lezione, ed il suo metodo di studio insieme scientifico ma inequivocabilmente “schierato”, restano un punto di riferimento per il movimento cattolico democratico e per tutti i riformisti.