La chiusura della giornata terrena non interrompe il magistero martiniano.
La tradizione cristiana parla non a caso di cattedra episcopale. Ebbene, nel Martini membro della Compagnia di Gesù, la cattedra preesisteva al vescovo per una vocazione singolare, tale da non interrompere ancora adesso e a lungo il suo magistero.
Perché? Martini, quasi contraddicendo una naturale timidezza, non si è mai sottratto all’esigenza di confrontare in pubblico la radicalità della Parola di Dio con le occasioni e le difficoltà della vita, pensando che il dialogo fosse ogni volta possibile e addirittura doveroso.
Studioso finissimo e insaziabile, non ha mai fatto distinzione tra “vicini” e “lontani”, convinto che in ognuno convivano il credente e l’agnostico – “l’ateo che è in me” – e che il messaggio del Nazareno ti raggiunge dove sei, anche in mancanza di un adeguato tirocinio.
Ecco perché Martini parlava e continuerà a parlare a tutti, non dai confini, ma in mezzo alla sua Chiesa, tenendo conto di chi va con passo spedito e di chi ha difficoltà di movimento.
Senza enfasi il medico che lo aveva in cura ha dichiarato che il Cardinale non ha mai cercato di nascondere la malattia (esibendola, anzi, fin dagli inizi con l’uso del bastone) e che prendeva parte a svariati convegni sul Parkinson durante i quali rispondeva alle domande dei malati. Senza omettere di osservare con umorismo che i progressi della scienza fanno sì che la medicina curi di più e guarisca di meno.
In tutto il magistero martiniano resta cruciale, per tutti, nel foro interno come nello spazio pubblico, il ruolo della coscienza, che non può e non deve essere mai bypassato da nessuna autorità e da nessuna convenienza politica. E chiosa: “Che cosa dire allora? La parola evangelica non cade su azioni che andrebbero bene anche da sole; cade su situazioni impossibili, umanamente disperate, su situazioni in cui un realismo sobrio si accontenterebbe di tenere in alto gli ideali lasciando poi a ciascuno di fare ciò che può”.
È il paradosso cristiano.
Per queste e altre ragioni dovremo rileggere Martini.
Anche se rileggere Martini non dà riposo, dal momento che la sua produzione sembra gareggiare in chilometraggio con quella di Voltaire. Una volta glielo feci scherzosamente notare. La risposta fu immediata: “Non si preoccupi. Neppure io riesco a leggere tutto quello che scrivo”.