“Cerchiamo con il desiderio di trovare,
e troviamo con il desiderio di cercare ancora”
Agostino
Chi ha conosciuto Giovanni e ha avuto la fortuna di partecipare della sua intelligenza non può non fare memoria della sua dimensione intellettuale, del suo sguardo attento, della sua profonda capacità di fare sintesi. La dimensione ed il lavoro intellettuale di Giovanni erano riflesso di una curiosità mai esausta verso i tempi e gli uomini e, insieme, di una cultura che non si ammantava di erudizione, ma che era riconoscibile come l’habitus della sua personalità morale, estetica, della sua spiritualità, della consapevolezza di sé e del mondo.
Nessuno di noi ha forse in questo momento la capacità di risalire alle fonti di questa dimensione profonda, ma possiamo immaginarla. Figlio della “aristocrazia operaia” di una città come Sesto San Giovanni, la fine della guerra, la possibilità di studiare, il dovere di studiare. E conseguentemente a questa realtà esistenziale possiamo immaginare quanto per Giovanni le occasioni si trasformino nel movimento grazioso di chi – una volta che ha ricevuto – non può che restituire e il più possibile condividere con coloro che appartengono alle medesime radici, operaie e lavoratrici e inevitabilmente cristiane.
Si fondono insieme lo studio, la dimensione di fede, il lavoro, la passione educativa: le radici di un pensiero che partendo dalla riflessione sul lavoro come dimensione creatrice e antropologica investe tutta la dimensione umana di Giovanni.
Il lavoro intellettuale come professione, perchè Giovanni Weber lo ha studiato e anche molto bene: un lavoro che è laicamente una vocazione, una chiamata alla trasformazione: in scienza – wissenschaft – e in politica. La virtù della conoscenza come luogo della “probità intellettuale”, e insieme come lungimiranza politica (cioè sempre con le parole di Weber “la capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore”).
Lo studio vissuto come passione, secondo il significato più proprio del termine.
E insieme sicuramente la passione e l’entusiasmo del Concilio, di una Chiesa che è insieme mater et magistra, ed anche e soprattutto soror et comes (sorella e compagna), e insieme il richiamo alla cultura come coltivazione dell’umano e che “miri alla perfezione integrale della persona umana al bene della comunità e di tutta la società umana” (Gaudium et Spes n. 59).
Non è possibile per noi che lo abbiamo conosciuto non distinguere queste virtù nella dimensione intellettuale di Giovanni. Condividere con lui la definizione dei percorsi di formazione politica dei Circoli Dossetti significava inevitabilmente fare i conti con la sua capacità di ascolto, la sua curiosità verso ciò che non era noto, la sua capacità di fare sintesi e, facendo sintesi, di ricomporre la comunione di un cenacolo con mitezza e autorevolezza.
Mitezza e autorevolezza richiamano inevitabilmente alle Beatitudini che possono essere incarnate anche nella dimensione intellettuale: Giovanni non ha mai peccato di supponenza, umile ma non rinunciatario, la sua curiosità intellettuale era anche la capacità di dare voce a chi voce non aveva, con tutti gli strumenti di conoscenza che aveva a disposizione, e insieme era la capacità di aiutare serenamente a crescere, a estrarre consapevolezza, a disegnare mondi possibili che solo una cultura capace di incarnarsi riesce ad operare.
La ricerca della verità non ha mai avuto fretta in Giovanni, perché lo studio non può mai essere frettoloso, la sua dimensione spirituale è quella della profondità e non quella della superficialità, il suo tempo è quello lento della lettura e non quello veloce, sempre più veloce, delle occasioni.
Il confronto con lui poteva veramente essere a tutto tondo e poteva essere un confronto lucido, insieme appassionato e mite, non rinunciatario, semmai aperto al rilancio, alla inesauribilità della ricerca.
Giovanni che legge – insieme a Pino Trotta – Simone Weil, la filosofa che dona poesia agli operai della Renault, gli operai della catena di montaggio degli anni trenta, perchè anche la poesia è lavoro e creazione. Ed è soprattutto bellezza. La bellezza che serve, che sostiene, che illumina la ricerca e la fatica dello studio.
Diventa chiaro per tutti perchè Giovanni abbia voluto richiamare per i Circoli “l’eremo e la metropoli”: la città, la dimensione attiva della vita, Marta, tutti noi che laicamente stiamo nel mondo e tra gli uomini, in un tempo troppo veloce, troppo pieno, troppo centrato sul presente.
E l’eremo, la dimensione monastica della lectio.
Lo studio di Giovanni era luogo della lectio, dei suoi movimenti: se per la tradizione monastica “la Scrittura cresce con chi la legge”, Giovanni sapientemente aveva capito che ogni parola cresce con chi la sa ascoltare e meditare e infine incarnare. La dimensione intellettuale di Giovanni faceva tesoro della monastica “ruminatio” delle parole, la degustazione della loro dolcezza e della loro sapidità. Ruminare significa masticare lentamente, il contrario delle culture bulimiche o anoressiche dei tempi in cui viviamo. E leggere significa sia raccogliere che pronunciare: il lavoro faticoso dei contadini e il lavoro faticoso dei maestri.
La testimonianza e la memoria più dolci di Giovanni intellettuale stanno nella sensazione, che tutti noi abbiamo avuto nel dialogo con lui, del fatto che niente di umano gli fosse estraneo. Ma proprio per questo Giovanni altro non era che un cercatore dei frammenti di verità che ciascuno di noi ha incarnato.
Marica Mereghetti
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