E’ improbabile che il Congresso federale della Lega Nord svoltosi a fine luglio ad Assago – a dieci anni di distanza dal precedente – sia il prodromo per un’uscita della Lega dalla grave crisi in cui si trova.
Certo, la definitiva sostituzione di Umberto Bossi con Roberto Maroni alla guida del movimento determina indubbiamente il risultato dell’allontanamento definitivo dalle leve del potere del gruppo di persone che circondavano, per i loro interessi più che per quelli del partito, il leader anziano e malato, ma i problemi della Lega venivano da ben prima che dalla scoperta delle malefatte del “cerchio magico”.
La verità è che, al di là di una campagna di stampa incolta e non disinteressata, il famoso “nuovo ceto politico” leghista era ben poca cosa, sia sotto il profilo intellettuale, deprimente, sia sotto quello morale, che alla fine si è largamente uniformato a quello dell’alleato berlusconiano. I cittadini hanno avuto agio di constatare come, al di là di esibizioni folkloristiche dal fondo razzista, xenofobo ed intollerante, gli amministratori leghisti non brillassero affatto per capacità di governo del territorio, mentre a livello nazionale la massiccia presenza leghista al Governo – che, tanto per dire, comprendeva anche il famoso Belsito, promosso inopinatamente Sottosegretario di Stato – non si distingueva né per acume né per particolare capacità di iniziativa a parte i lanciafiamme di Calderoli.
Ovviamente questo finisce per toccare da vicino anche il nuovo leader, che nuovo non è visto che si tratta di uno dei fondatori della Lega Lombarda, da sempre – sia pure con alterne vicende – vicino a Bossi, e di un ex Ministro in due dicasteri particolarmente “pesanti” come il Welfare (dal 2001 al 2006) e gli Interni (dal 2008 al 2011). Nel primo incarico si distinse per il tentativo costante di spaccare l’unità sindacale e di approvare norme che certificassero quella particolare forma di precariato organizzato che va sotto il nome di “flessibilità”. Nel secondo si dedicò soprattutto alla caccia nei confronti degli immigrati extracomunitari, contro i quali rivendicava il dovere di essere “più cattivi”, mentre passava sotto silenzio le numerose leggi ad personam varate da Berlusconi. Da notare che, ancora nel 2010, egli esprimeva a gran voce il suo rammarico di non poter votare in provincia di Brescia per poter dare il voto alle elezioni regionali a Renzo Bossi, il famoso “Trota”, le cui dimissioni dall’assemblea del Pirellone avrebbe poi virtuosamente preteso.
Ora è diventato Segretario, senza avere, a quanto sembra una strategia precisa, mentre il richiamo della foresta lo spinge a fare ancora blocco con Berlusconi per miserabili questioni di sottogoverno, come ad esempio sulla vicenda della RAI, né sembra che vi sia una seria correzione di rotta sugli elementi più discutibili dell’ideologia leghista, a partire da quel fondo di xenofobia che è sempre presente.
Siamo quindi alla fine della storia del movimento verde? E’ presto per dirlo, ma le condizioni per imboccare il viale del tramonto ci sono tutte, e non pare che vi siano segnali di riscossa all’orizzonte.