L’ideologia del merito

Il concetto di “merito” ha una radice che lo ricollega ai temi della morale, giacché chi con le sue qualità ha ottenuto una certa riconoscenza, viene messo in relazione al “bene” compiuto; pertanto il merito è dunque inscindibilmente legato con l’etica, specialmente in rapporto con i due contenuti di “bene” e di “male”, mentre la retribuzione di questa qualità personale era spesso intesa come una ricompensa sociale o anche soprannaturale oltreché materiale.

Il termine invece “meritocrazia” ha origine negli Stati Uniti d’America, in Italia è stato importato intorno agli anni settanta del secolo scorso, in relazione ai sistemi di valutazione scolastica;  tuttavia tale innovazione è anche stata  aspramente criticata perché era ritenuta penalizzante per chi non proveniva da un ambiente familiare  adeguato, e a questo proposito basta citare le parole taglienti di don Lorenzo Milani contenute in “Lettera ad una professoressa”, secondo le quali “…non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali…”, per comprendere la possibilità di discriminazione. In seguito la meritocrazia è diventata la tendenza a premiare anche nel mondo del lavoro chi si distingueva per impegno e capacità, quindi il termine attualmente è utilizzato con una accezione positiva, intendendo la “concezione meritocratica” come un metodo per escludere le clientele ed anche l’appiattimento causato dall’egualitarismo.

Ma questa parola, merito, rappresenta veramente un’opportunità? Oppure è una locuzione ambivalente, dove alla fine gli effetti negativi si appalesano spesso in misura superiore rispetto alle positività attese? I suoi connotati infatti assomigliano sempre di più a quelli di una “ideologia” di supporto a logiche più o meno liberiste, che intaccano però il principio costituzionale di uguaglianza, e che forse non sono nemmeno così funzionali all’aumento del benessere complessivo della comunità.

La Costituzione italiana all’articolo 34 stabilisce che: “…i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi…”: in questa formula l’idea del merito però viene legata a quella di uguaglianza, giacché tale articolo va letto in associazione anche con il terzo.  Il “merito” dunque, ha un particolare significato positivo nella Carta, e presuppone una forte forma di inclusione sociale, proprio a partire dalla scuola dell’obbligo (gratuita) e dalle condizioni economiche di partenza;  il compito dello Stato non è soltanto quello di premiare i capaci e meritevoli, ma anche di ridurre quelle condizioni di diseguaglianza che tendono a favorire i soggetti più fortunati; tale questione è ben altra cosa che quella di mettere in competizione gli studenti, spingere verso un esasperato individualismo, negare le possibilità di un apprendimento cooperativo.

È noto che la capacità competitiva nel nostro Belpaese è passata molto attraverso la compressione dei salari piuttosto che sulla possibilità di innovazione dei sistemi produttivi, poiché gli investimenti in ricerca & sviluppo sono stati nel tempo molto contenuti: adesso c’è uno strumento in più per legittimare un certo tipo di sfruttamento surrettizio dei prestatori d’opera ed è appunto la “meritocrazia applicata”, per così dire.  Per fare questo “salto” era necessaria una “trasformazione culturale” dell’opinione pubblica in modo che la stessa poi potesse sostenere il cambiamento di paradigma, mediante due azioni: ab origine viene stabilito ciò che può dare luogo al riconoscimento di un merito – spesso in modo molto opinabile – quindi tale fatto viene collegato all’idea di competitività poiché il merito non può essere per definizione generalizzato.

Ovviamente non si tratta più di un riconoscimento soltanto sociale, ma della scelta discrezionale attraverso organismi specifici (normalmente i valutatori della perfomance), i quali decidono non sempre in modo oggettivo sulla concessione ad esempio di emolumenti accessori; tuttavia tale possibilità per il lavoratore non è come si potrebbe supporre una sua “libera scelta”, ma spesso una necessità causata da stipendi base molto risicati.  In questo mutato quadro culturale, vengono così giustificate le minori risorse messe a disposizione dato che spetteranno appunto soltanto ai “meritevoli” e non a tutta la platea dei lavoratori; inoltre viene promossa una certa predisposizione al “servilismo” nei confronti degli esaminatori, mentre chi verrà escluso da tali riconoscimenti dovrà attribuire la “colpa” soltanto a se stesso, alla propria inadeguatezza nel rapporto con le leggi di mercato.

In questa direzione il “conflitto sociale” viene celato, anzi viene considerato come un disvalore, mentre è del tutto evidente che quando sussistono interessi divergenti è giocoforza che si inneschino dinamiche discordanti; tuttavia il conflitto sociale non va combattuto o peggio ancora negato, in nome dell’illusione che si possa vivere senza la fatica della contrapposizione, di una coesione sociale che scaturisce sic et simpliciter dalla “pacifica convivenza tra egoismi.” 

Così facendo però le disuguaglianze aumentano, tuttavia non si assiste più all’indignazione generalizzata, è passata una sorta di rassegnazione maggioritaria che induce a pensare che la situazione sia ineluttabile, che i cambiamenti siano preclusi, che condizioni di maggiore giustizia sociale siano un’utopia. Per esemplificare il cambiamento culturale già in atto quando molte persone vedono magari un senzatetto nella loro città, sono portate più a pensare al “decoro urbano”, e non al fatto che c’è gente che è costretta in un contesto di relativa ricchezza a dover vivere per strada, e che ci sono delle precise cause che possono spingere verso questa grave forma di marginalità.

Del resto l’aver applicato talune regole di mercato ad ambiti che un tempo ne erano toccati soltanto marginalmente come la scuola, l’università, la sanità, la pubblica amministrazione, ha finito con l’intaccarne la loro natura essenzialmente di “res publica”, cioè in buona sostanza di non orientamento al profitto ma al bene comune. Il merito in più casi non ha determinato un miglioramento sostanziale dei servizi, l’elevazione della qualità dell’erogazione è passata invece attraverso la dedizione e la disponibilità manifestata in più occasioni dai dipendenti pubblici, come si è peraltro avuto modo di constatare durante la pandemia. Invece il “gioco al ribasso” costituito magari dalla compresenza nello stesso ente di una pluralità di contratti diversi ha finito per tenere bassa l’entità della paga base, spacciando poi piccoli aumenti salariali come enormi conquiste meritocratiche. La competitività non giova molto in questo ambito poiché non dà un ritorno così utile ai cittadini, che non vanno considerati dei clienti od utenti, ma come membri di una collettività che attribuisce loro diritti e doveri.

I dati, ad esempio quelli reperibili in rete, confermerebbero che negli Stati Uniti “…la meritocrazia come regola assoluta storicamente tende a consolidare disuguaglianze ingiuste e dannose per la crescita civile…[1], citando a questo proposito autori e numeri.  Mentre in Italia si è elaborato il “meritometro[2], uno strumento realizzato dal “Forum della Meritocrazia”, e utilizzato come indicatore scientifico, che ci vedrebbe attualmente in coda rispetto alle altre nazioni europee considerate.

Da ultimo un cenno anche sulla logica così diffusa del cosiddetto spoil system, il quale è distante anni luce dalla cultura del merito, poiché antepone spesso l’appartenenza, la fedeltà, alla competenza; inoltre se utilizzato magari simultaneamente a pressanti invocazioni verso la meritocrazia, rende poco credibile la coesistenza e l’utilità di due concezioni così antitetiche.

Un ruolo chiave può invece essere giocato dal coinvolgimento collaborativo nei processi produttivi dei lavoratori, tale fatto congiunto poi al riconoscimento dell’apporto offerto, può contribuire all’aumento della motivazione individuale che è un fattore assai importante per l’accrescimento della produttività, a patto comunque che le retribuzioni siano di base adeguate.

Andrea Rinaldo


[1] Fonte:  https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AEE2SKDC

[2] Fonte:  https://www.corriere.it/economia/aziende/22_ottobre_26/italia-ultima-merito-cosa-dice-meritometro-quali-parametri-misura-223304b0-553e-11ed-9aa3-c0d791a13b03.shtml

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2 commenti

    • Andrea Rinaldo il 16 Gennaio 2024 alle 17:39

    Grazie Leonardo Schiavone per il tuo commento. Ti invito a seguire la lezione che si terrà sabato 20 gennaio 2024 dal titolo “La nuova “religione” della meritocrazia, disuguaglianze e “neo-aristocrazia”, a commento del testo “Contro l’ideologia del merito” di Mauro Boarelli. Ciò che intendiamo proporre in quella occasione è un approfondimento critico sul tema del “merito” e soprattutto sulla sua derivata la “meritocrazia”. Naturalmente non c’è nessun nostro disconoscimento delle professionalità necessarie per poter esercitare una certa professione. E neanche sulla negazione dei principi di imparzialità, eguaglianza di accessibilità, trasparenza, che devono governare le procedure concorsuali di evidenza pubblica.

    • Leonardo Schiavone il 16 Gennaio 2024 alle 14:15

    Ti senti più sicuro se il ponte che attraversi in auto ogni mattina è stato progettato da un ingegnere che ha vinto un concorso per meriti reali o da un altro meno capace che è stato aiutato?

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