Fra i gravi e spesso sanguinosi avvenimenti di questi giorni è quasi passata inosservata la notizia dell’udienza “informale” accordata il 1 aprile da Papa Francesco a mons. Bernard Fellay, Vescovo già scomunicato ed ora successore di mons. Lefebvre alla guida della Fraternità di San Pio X.
I contenuti del colloquio non sono noti, ma è possibile ritenere che al centro vi fosse il problema della posizione canonica della Fraternità dopo la revoca delle scomuniche ma non della sospensione a divinis che riguarda tutti i sacerdoti ed i Vescovi ordinati da mons. Lefebvre e dai suoi successori. E’ noto che la scomunica colpì Lefebvre nel 1988 – dopo la sospensione a divinis comminatagli dodici anni prima da Paolo VI – a seguito dell’ordinazione di quattro nuovi Vescovi cui affidare la continuità della battaglia tradizionalista e anticonciliare che l’ostinato presule francese conduceva fin dal 1965. Dopo la sua morte, avvenuta tre anni dopo senza aver dato segni di ravvedimento, la guida della comunità veniva assunta da mons. Fellay, e conosceva una serie di alti e bassi nei suoi rapporti con Roma, dove sempre si manifestava la presenza nei vertici curiali di prelati ottimamente disposti verso una comunità che garantiva la più rigida ed incrollabile ostilità verso ogni tipo di riforma della Chiesa.
Non è un caso che proprio questi ambienti – di cui era portavoce in Italia Vittorio Messori, lo zelante propagatore di ogni forma di superstizione spacciata per “religiosità popolare” – pur deplorando formalmente la “disobbedienza” dei lefevriani ne esaltavano la fede inconcussa, la disponibilità al sacrificio, il dilagante numero di vocazioni… tutte asserzioni prive di riscontro, visto che gli unici dati disponibili sono quelli diffusi dalla Fraternità stessa che è sempre stata incline all’autoesaltazione se non altro per alimentare la sindrome da “Davide contro Golia” che l’ha sempre definita anche quando il suo fondatore era ricevuto in amicizia dall’aristocrazia “nera” romana piuttosto che da Pinochet o dai generali argentini.
D’altro canto, spiacevoli eventi accaduti anche in seminari “ortodossi” come quello di Albenga (e che hanno portato ad una sorta di commissariamento di quella Diocesi) dimostrano come spesso il tradizionalismo, con il suo amore per la preziosità liturgica e la rigidità dottrinaria, costituisca un richiamo quasi irresistibile per personalità deboli e tormentate, spesso allontanate dai Seminari delle loro Diocesi di origine e che, dopo l’ordinazione, hanno spesso dato adito a scandali di vario tipo, derivanti in genere dall’inadeguatezza di queste persone a coltivare normali relazioni interpersonali che li condannano ad essere totalmente incapaci di svolgere un normale lavoro pastorale.
Nell’ambiente tradizionalista, così naturalmente sovreccitato dall’idea di combattere una battaglia contro la Bestia dell’Apocalisse insediata in Vaticano, questo fenomeno si presente accentuato dando vita a manifestazioni maniacali ogni volta che sembra vicino un accordo con Roma che prescinda dall’ (impossibile) pura e semplice abrogazione del Concilio Vaticano II. Infatti, come spesso accade nei movimenti fideistici e fanatizzati esiste sempre una corrente estremista che è pronta a denunciare ogni forma di “cedimento” nei confronti del “nemico”. Nella Fraternità il ruolo di capo della corrente estremista se lo è ritagliato il ben noto Richard Williamson, uno dei Vescovi ordinati da Lefebvre, antisemita notorio al punto tale che la remissione della sua scomunica imbarazzò non poco Benedetto XVI che non era stato informato delle posizioni del presule inglese che negava l’esistenza della Shoah.
Williamson è stato da tempo allontanato dalla Fraternità ed ha proceduto ultimamente a consacrare altri due nuovi Vescovi, incorrendo nuovamente nella scomunica per questo atto scismatico: sembra tuttavia che la sua posizione sia condivisa sia pure sottovoce da parte degli altri due Vescovi ordinati da Lefebvre, Tissier de Mallerais e de Galarreta.
La sensazione è che, visto l’oggettivo vicolo cieco in cui la Fraternità si trova, chiusa fra la duplice negazione del Vaticano II e della possibilità di uno scisma come “Chiesa alternativa”, la via via d’uscita offerta da Francesco (che differirebbe di poco da quelle a suo tempo offerte da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) sia quella della Prelatura personale, sullo stile dell’Opus Dei, ottenendo in pari tempo di riportare alla pienezza della comunione cattolica (accettazione del Concilio inclusa) la comunità tradizionalista e dall’altro di costringerla, di circoscriverla in un recinto ben definito per toglierle ogni possibilità di nuocere alla vita pastorale ordinaria.
Uno specchio d’acqua stagnante, in sostanza, accanto al fiume impetuoso dell’autentica vita ecclesiale.