“Renzi è un dato del paesaggio: noi nella storia politica d’Italia abbiamo sempre avuto soggetti, persone, forze, che si mettono al margine, che dicono di rafforzare il Governo indebolendolo, che dicono di sostenerlo zavorrandolo, per dimostrare che hanno la golden share”.
Partiamo così, da questa frase pronunciata da Bersani il 10 dicembre scorso a Piazza pulita, per parlare, a bocce finalmente ferme (o forse bisognerebbe dire “finita la prima manche”), di quel paesaggio, quello politico nazionale, che ci si è prospettato davanti nei giorni e nelle settimane scorse, nel corso della cosiddetta crisi al buio che ha portato Italia Viva all’uscita dal secondo governo Conte.
Certo, il tema dominante del dibattito pubblico, ma anche di quello parlamentare, è stato un altro: quali fossero, cioè, le incomprensibili ragioni alla base delle posizioni di Renzi e del suo partito. Una domanda che conteneva una affermazione chiara (“le ragioni sono incomprensibili”), e una allusione: che in quanto nascoste ed incomprensibili, fossero riconducibili ad un disturbo psicologico o, semmai, ad un interesse tutto di parte; per alcuni lecito, per altri illecito, ma di parte. In ogni caso, un comportamento irresponsabile.
Naturalmente, noi non conosciamo quali siano i presunti veri interessi di Renzi: diciamo però che le diagnosi psicanalitiche fatte a distanza non ci piacciono, né ci convincono. Per questo, al termine di un gran parlare, ci pare opportuno ripartire da questa frase di Bersani; che non allude granché alle intenzioni, specie occulte, bensì al paesaggio, ai rapporti: due concetti utili (e tutto sommato visibili) per capire dove ci troviamo.
Il paesaggio e la dinamica illustrati da Bersani con meritorie sintesi ed efficacia, corrispondono al vero: sono elementi costanti con cui la politica italiana si è spesso confrontata. D’altro canto, è buona cosa dare sempre per scontato, in linea di principio, che chi solleva una questione sia in almeno relativa buona fede: cioè che sia convinto di quello che dice.
Troviamo perciò curioso che poco ci si sia interrogati sulla plausibilità delle critiche rivolte da Renzi al Governo, sulla bontà e sulla condivisibilità della richiesta di un cambio di passo, e su come il lieve ma significativo mutamento di posizione di Italia Viva nel nostro paesaggio contribuisca a modificarlo.
Piuttosto, s’è vista da più parti una usuale, stucchevole -forse anche in malafede- dinamica, sempre buona per la politica ma anche per la cronaca: individuare il mostro, giudicarne il comportamento, mobilitare l’opinione contro di lui per tenere compatte le fila, salde le posizioni. A prescindere dalle ragioni o, addirittura, dall’osservazione. E poi, intervengono i segnapunti: per sancirne la giusta sconfitta.
Sia chiaro: non stiamo alludiamo a Bersani, la cui visione delle cose, la cui opinione non favorevole e non conciliante circa le tattiche renziane è nota da tempo, e mantiene sempre una rispettabile coerenza unita ad argomenti spesso ragionevoli e condivisibili.
Tornando alla nostra metaforica partita a bocce, al termine della prima manche i segnapunti parlano chiaro: Renzi voleva far cadere il Governo, Renzi è stato sconfitto, Renzi è condannato a scomparire.
Non che ci sembri così chiara, come sconfitta: a partire dal fatto che il leader di Italia Viva ha riacquisito per diverse settimane (e forse non solo quelle) centralità in un dibattito politico fortemente ovattato. Parrebbe piuttosto che Renzi abbia vinto il primo set di una partita politica che immaginiamo si giocherà in più fasi, coinvolgendo tutta la vita delle istituzioni fino alla nuova elezione del Presidente della Repubblica, e passando attraverso le decisioni fondamentali sull’applicazione del Next Generation EU, sul MES, la legge di bilancio, la legge elettorale.
Del resto, Matteo Renzi ha individuato per tempo quale sarebbe stato il campo di battaglia su cui far pesare il proprio ruolo politico, le forze di cui dispone: il Senato; la camera del nostro bicameralismo non paritario in cui le masse contano meno, le golden shares di più.
Questo dovrebbe quindi suggerirci almeno due considerazioni: 1) Renzi agisce con una forte lungimiranza; 2) Renzi cura il proprio gruppo.
È dunque probabile che, al netto di tutta una serie di questioni e pretese contingenti magari reali, esse rappresentino però una parte del tutto; o, piuttosto, le scaramucce isolate con le quali impegna l’avversario, dentro una battaglia più ampia.
Come detto, non possiamo sapere quali siano le presunte vere intenzioni di Renzi: quanto il suo futuro politico personale, quello della sua creatura, quello dei componenti del suo gruppo dirigente, dei suoi sostenitori, pesino nella sua tattica.
Analogamente, va detto, è anche difficile scorgere se lo stesso Conte nasconda, dentro un guanto di velluto che sembra diventare quasi iconico, un pugno di ferro; se le priorità di gestione della pandemia rappresentino l’unico motivo per il quale l’azione di governo non sembra procedere alla velocità che dovrebbe esserle garantita dal poter disporre di una maggioranza, per l’appunto, fin qui solida (da cui la richiesta di un “cambio di passo”).
Però qualche effetto è visibile, e forse guardare al frutto ci può aiutare a capire di che natura sia l’albero: il centrodestra si è ricompattato, e l’area “moderata” ha trovato, nella prospettiva possibile di nuove elezioni vicine, una ragione per tornare al centro del proprio schieramento, mantenendo il ruolo di componente minoritaria ma responsabile e costruttiva con il quale si è differenziata, nel corso di questi anni, dalla coppia populista che ha ai fianchi.
Se quell’area, orfana ormai da tempo della forza attrattiva di Berlusconi, aveva magari delle possibilità di crescita verso il centro (o con il centro), ci pare di poter dire che le abbia ora perse.
Questo compattamento ha senz’altro un danneggiato netto: quell’area moderata trasversale che crede che intorno alla “buona” politica, magari non troppo colorita, o magari anche a quella colorita, ma comunque trasversale, si possa costruire qualcosa, si possa acquisire centralità nella geometria politica del Paese.
Ci pare insomma che Renzi, rivendicando per sé la golden share, abbia ricondotto la dialettica ad una dinamica bipolare, abbia agevolato una componente che nel campo opposto possa fargli da specchio nel ruolo, e da sponda nei contenuti, e si sia posto come variabile condizionante l’intero paesaggio.
Indebolendo la posizione politica, più che di governo, di Conte: in effetti, a dare un minimo di credito alle sue dichiarazioni, l’unico che andasse criticato.
Forse dunque che il suo obiettivo non fosse di soddisfare i propri capricci, di assecondare le proprie nevrosi, di lucrare qualcosa di concreto, lecito o illecito che sia?
Forse che il suo obiettivo di questa prima battaglia fosse innanzitutto il proprio posizionamento nel nostro paesaggio?
Non lo sappiamo.
E rispetto alla maggioranza di governo, e a chi la compone?
La critica, sostanzialmente l’unica spendibile (magari nell’ottica di screditarne le mosse), era chiara: in questo momento così grave, irresponsabilmente ed egoisticamente indebolisce il governo per fini personali, facendo perdere tempo anche al Paese.
Eppure, assumendo che fosse in buona fede quando sosteneva che il Recovery Plan non aiutava il Paese, era costruito male e si sarebbe trasformato in un boomerang, che l’azione di governo mancava di visione e di futuro, in quale altro momento avrebbe dovuto sollevare le sue perplessità fino al gesto estremo di concordare con i suoi compagni di partito l’uscita dal governo?
Nè può sembrare meno solido il governo per questo: se Italia Viva non ritiene buono il Plan, se ritiene che al Paese serva di più e altro, non sarà certo tenendo la cenere sotto il tappeto che si possono impedire momenti difficili in Parlamento; piuttosto, la maggioranza di oggi può agire in maniera più compatta e spedita, avendo “solo” da limare con Italia Viva, e non con altri gruppi o i “responsabili” a titolo personale, le divergenze, volta per volta.
Ci pare insomma, che il paesaggio, dopo che Renzi ha aperto questa verosimilmente lunga ed estenuante partita, appaia un po’ più chiaro, e che egli abbia fatto da acceleratore delle dinamiche anche nella maggioranza di governo.
Dalle accelerazioni, dagli scatti improvvisi, di solito traggono vantaggio i più pronti, i più reattivi: se qualcuno aveva politicamente un interesse a gestire questa fase in tempi lunghi (magari nascondendolo dietro il vessillo della responsabilità), non sarà contento di questa iniziativa: che pure, ci è parsa trovare un atteggiamento molto prudente e non troppo conflittuale in qualche area del Partito Democratico.
Del resto, sarà forse per la lunga militanza di molti renziani nel PD, ci è sembrato che a molte critiche si potesse cancellare via il logo, sostituirlo, e sarebbero tornate buone anche per il partito di Zingaretti.
La sensazione, per concludere, è che l’iniziativa di Renzi sia tornata utile, per motivi diversi, ad un po’ tutto il partito: a quella parte a lui più vicina, che si può rafforzare avendo un soggetto un po’ più solido e non troppo dissimile; e anche all’area che vede forse nel PD un futuro da partito socialpopolare, più dirigista, più netto: sia quanto al posizionamento dentro al nostro paesaggio, sia quanto nelle tecniche di gestione e costruzione del partito.
E che forse scommette nell’assimilazione di una parte del MoVimento, laddove Renzi scommette sulla sua scomparsa per dissoluzione.
Del resto, se la golden share di Renzi pesa in un’ottica bipolare, al punto da insinuare il dubbio che possa apparentarsi con l’altro schieramento spostando gli equilibri (cosa che ci sembra tanto meno credibile quanto più egli rafforzi la propria posizione), è proprio ponendosi come presidio al centro che può condizionare ampiezza e connotati della futura coalizione: se la sinistra del partito non intende ampliare il perimetro della maggioranza, allora Italia Viva gli è indispensabile e le richieste di Conte perchè si ampli, non ricevibili.
Renzi può condizionare anche gli equilibri interni al PD ed i suoi connotati? Difficile a dirsi con certezza: il panorama sembra piuttosto instabile e mutevole. Che l’uscita dei Renziani avrebbe frenato parecchio la realizzazione del Partito Democratico come partito riformista, era una preoccupazione che avevamo espresso, proprio sul nostro sito, al momento della scissione. Sembra perciò ragionevole ritenere che le sue mosse possano ancora esercitare una significativa influenza nel suo vecchio partito, a cominciare dal rapporto con il MoVimento. Che forse sta attraversando una fase talmente critica da aver bisogno di tempi particolarmente lunghi per uscirne: da cui, la strenua difesa della conservazione (e gli aspri attacchi verso chi la mette a rischio).
Difficile capire, dal di fuori, se esiste una formula capace di mantenere l’attuale Partito Democratico come partito unitario, a vocazione maggioritaria e riformista; ancor di più, sapere se le diverse aree del partito la stanno cercando, o prevedere se una linea si affermerà a parità di composizione. La sensazione, però, è che nella morbidezza del Presidente del Consiglio, si sentissero, da questa parte, tutti diversamente a disagio; e che la contrapposizione Renzi-Conte abbia finito per giovare loro, e ai loro programmi.
La partita, ci sembra evidente, non è finita qui.
Luca Emilio Caputo