La fiducia. Salvatore Natoli: il rischio di fidarsi.

Corso di formazione alla politica

La fiducia è un elemento intangibile, legato alla disposizione di volontà del singolo verso qualcosa di esterno da sé e, prendendo avvio dall’interiorità, riguarda inevitabilmente anche ai rapporti umani.

Il volume di Salvatore Natoli delinea un percorso di comprensione della fiducia che può riassumersi in diverse sfere dell’intendere e dell’agire, nelle quali possono essere richiamati elementi critici che muovono oltre il filone filosofico da cui parte l’autore.

È cura di questa riflessione delineare una sintesi degli argomenti portanti ed esprimere qualche rilievo in merito ai rapporti di queste sfere della fiducia con la cultura contemporanea, senza la quale i “luoghi del potere”, di cui è oggetto il corso di quest’anno, non troverebbero concreta espressione.

La fiducia. Salvatore Natoli. Locandina.

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Presentazione di Luca Caputo 04′ 02″

Intervento di Giovanni Battista Armelloni 04′ 42″

Paolo Masciocchi introduce Salvatore Natoli 27′ 17″

Relazione di Salvatore Natoli 70′ 35″

Domande del pubblico 11′ 40″

Risposte di Salvatore Natoli con breve intervento di Paolo Masciocchi 31′ 37″

Domanda del pubblico 05′ 53″

Risposta di Salvatore Natoli e chiusura 08′ 35″


Paolo Masciocchi, Salvatore Natoli, Giovanni Battista Armelloni

Paolo Masciocchi, Salvatore Natoli, Giovanni Battista Armelloni

Introduzione di Paolo Masciocchi a Salvatore Natoli

La fiducia è un elemento intangibile, legato alla disposizione di volontà del singolo verso qualcosa di esterno da sé e, prendendo avvio dall’interiorità, riguarda inevitabilmente anche ai rapporti umani. Il volume di Salvatore Natoli delinea un percorso di comprensione della fiducia che può riassumersi in diverse sfere dell’intendere e dell’agire, nelle quali possono essere richiamati elementi critici che muovono oltre il filone filosofico da cui parte l’autore. È cura di questa riflessione delineare una sintesi degli argomenti portanti ed esprimere qualche rilievo in merito ai rapporti di queste sfere della fiducia con la cultura contemporanea, senza la quale i “luoghi del potere”, di cui è oggetto il corso di quest’anno, non troverebbero concreta espressione.

La fiducia ha a che vedere con la sfera intima; ci si fida per un fatto di credibilità, che attiene alla conoscenza di elementi che formano un convincimento da parte del fiduciante verso qualcosa o qualcuno. Wittgenstein ha richiamato in questo senso l’esempio dell’esperienza ingenua del bambino: anch’essa necessita di alcune basi per poter esprimere una volontà di fiducia, perfino verso i propri genitori. Se ne deduce che più la fiducia trova ostacoli e situazioni complesse, più necessita di fondamento. La prima criticità sul tema nasce quindi dal rapporto tra fiducia e conoscenza. Quale conoscenza permette di accrescere correttamente la fiducia, ben impiegandola nei rapporti? È importante ricordare che tanto lo sviluppo del pensiero moderno, tanto la sua crisi certificata sono un alternarsi di argomenti che muovono tra la certezza e il dubbio, e questa discontinuità è divenuta parte anche del discorso scientifico, delineando il tramonto, anziché l’ascesa di una classe di intellettuali di prestigio. Molta dell’esperienza occidentale è vissuta nell’illusione di poter proseguire in eterno con questo gioco di certezze e dubbi, di opposti, dando scontate convinzioni stabili su cui costruire una narrazione. Perfino i conflitti tra ideologie hanno permesso di avanzare con questa sicurezza, fino a quando l’apparente apatia del disgelo non ha trascinato con sé la stabilità delle nozioni civili più stabili e apparentemente intramontabili. Provvisorietà, visione di breve periodo, frammentazione, emotività giocano un fattore chiave di demolizione dell’ultima cultura diffusa e stabile (il moderno) a favore di una condizione perennemente instabile (il postmoderno). Da qui occorre ripensare alla necessità di un nuovo fondamento della conoscenza.

Si accennava che, oltre alla conoscenza, premessa per un intendere la disponibilità verso l’altro da sé, si rinviene nella fiducia una radice sociale. Natoli individua un passaggio chiave di distinzione, che mostra come l’aspetto della fiducia possa declinarsi in modi molto diversi: 1. Da un lato la fiducia quale premessa per un deposito di garanzia di un bene, tipico strumento delle convenzioni, private o pubbliche, di certe sfere civiche dell’agire (un semplice esempio privatistico, è il deposito bancario). 2. Da un altro lato, la fiducia può divenire anticipo di un bene, senza una garanzia, sul solo fondamento intuitivo che alcune capacità o risorse valutate dal fiduciante nel fiduciario concedano sufficienti premesse per fidarsi (in ambito cristiano questo concetto si avvicina a quello di “grazia preveniente”). Ecco un’altra domanda, che emerge anche nel pensiero dell’autore. La fiducia è dunque misurabile nell’ambito personale e in quello sociale? E come? Se si disponesse di premesse stabili nell’analisi comune dei bisogni e nella ricerca dei desideri (intrecciati e condivisi, come accade nell’amicizia), chiaramente vi sarebbe una risposta positiva e immediata a questa domanda, senza bisogno di stabilire la quantità della fiducia solo di fronte alla grandezza delle difficoltà che si presentano. La condizione postmoderna tuttavia riguarda anche i rapporti personali perché tocca la sfera più intima della percezione del mondo, della sua condivisibilità. Ecco perché la fiducia è sempre meno un elemento conseguente alla coscienza della realtà dei rapporti e sempre più un rischio (è emblematico il titolo del libro di Salvatore Natoli).

Vi è poi una sfera dell’agire sociale in cui la fiducia assume una connotazione più ampia, di riconoscimento dei cittadini in una sfera pubblica. In questo ambito la fiducia è necessariamente correlata alla presenza di una “concordia”, che rinvia necessariamente alla giustizia conseguenza. Dove vi è concordia, può trovare spazio la giustizia, direbbe S. Agostino. La concordia è inserita a sua volta nell’ambiente più ampio di un ambito verticale (del potere istituzionale) e di un ambito orizzontale (dato dagli scambi e dalla relazione comunicativa e informativa tra pari), che mutano nel tempo sulla base delle variabili di governo e della coscienza civile.

Il volume si sofferma su alcuni punti essenziali, senza pretese esaustive. Ad esempio, l’autore si interroga sul peculiare sviluppo del modello consensualistico coniato dal diritto rimano, in cui la sfera degli obblighi reciproci ha stabilito prassi stabili di verifica degli intenti e di applicazione costante di temi di giustizia. Qui si aggiunge che il modello consensualistico sorge (per importanza nelle fonti) dopo quello giuridico-istituzionale degli status. Al secondo modello, più che al primo dobbiamo la pesante eredità della formazione dei diritti, come declinazione matura degli status personae, familiae, civitatis. Ne discende un interrogativo fondamentale. Quale il rapporto tra concordia e giustizia, misurato in questa analisi? Il modello consensualistico è un modello efficace per le società complesse? Esso si è certamente diffuso oltre i limiti degli scambi commerciali e ha quindi invaso la sfera di competenza degli status, determinando un cambiamento di cultura riduzionistico. È certamente più facile ridurre al consenso e alla materialità le questioni pertinenti la sfera personale, familiare e civica, ma a quale prezzo? Il contratto ha la proprietà di ridurre ciò che è intangibile allo scambio o alla ratifica di volontà, alla mera disposizione senza la cura di ciò che ne costituisce più ampio oggetto, apparentemente rendendo più semplici le soluzioni. Definire la dignità di una scelta sulla vita o la definizione ultima di cosa sia o come finisca una famiglia, legare una scelta di strategia politica a un “sì” o a un “no” sui fondamenti primi di una Repubblica, restringendo l’analisi alla volontà dispositiva, ha messo in luce la fragilità di questo modello, e ha ingenerato per sua stessa costituzione più instabilità sociale. Certamente, in tema di fiducia, questa scelta (moderna prima, e postmoderna poi) non ha giovato alla costruzione di una concordia e ha annacquato la giustizia.

Da ultimo, Salvatore Natoli si impegna a fornire chiarimenti sulla fiducia anche nell’ambito religioso, in una forma di crescendo argomentativo. In questa parte del volume sono contenute preziose indicazioni che vengono soprattutto dalla coscienza storica dello sviluppo umano secondo l’Antico e nel Nuovo Testamento, con riferimento primario quindi alle tradizioni ebraiche e cristiane. Uno spazio importante in questo senso è dato alla fiducia intesa come impiego di una virtù e come progetto manifesto di un credo. Dati fondamentali sono, ad esempio, la fiducia incondizionata della presenza di Dio nella storia di concezione ebraica (‘emunah ed emet, che indicano la fede e la verità hanno la stessa radice), e la carità (espressione operativa e visibile della fiducia). Proprio nella chiusura del volume emerge un’ultima domanda essenziale. Come si concilia la fiducia legata a un credo col venire meno nelle società del senso del peccato (e quindi di uno dei fattori critici della fiducia)? È sufficiente una religione che si impegni maggiormente nel lato materiale della tutela dell’uomo nei suoi diritti, passando dal Cristo eterno al Cristo dei poveri?

È ovvio che una visione pagana possa vedere con positività una priorità dei fini umanistici della religione, magari intuendone prospettive migliorative per la società tratte dal nucleo della più ampia dottrina. Eppure lo statuto stesso della fiducia religiosa (non solo quella cristiana) parte da un presupposto diverso, ossia del primato della morale nella sua massima e totale proposta, quello che i cristiani vedrebbero come il Cristo eterno che vive ogni giorno nella vita evangelica, o gli ebrei nel vivere il disegno di salvezza, trovandone poi concrete declinazioni; come la fiducia perde i suoi connotati se non è disegnata in un alveo di conoscenze condivise importanti da cui trarre stabilità, così le conseguenze negative verso i più deboli si affacciano proprio quando la religione cede a ragioni meramente umanistiche, facendosi cultura. Come i diritti sono nati dalle complesse dinamiche evolutive degli status e non certo da forme trancianti di consensualismo, così la morale religiosa trova declinazioni più profonde nella sua radice più alta. È lo stesso discorso immutato che muove, in tempi recenti, dall’enciclica Caritas in Veritate fino all’accoglienza del Papa degli immigrati a Lampedusa.


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  1. Presentazione di Luca Caputo 04′ 02″
  2. Intervento di Giovanni Battista Armelloni 04′ 42″
  3. Paolo Masciocchi introduce Salvatore Natoli 27′ 17″
  4. Relazione di Salvatore Natoli 70′ 35″
  5. Domande del pubblico 11′ 40″
  6. Risposte di Salvatore Natoli con breve intervento di Paolo Masciocchi 31′ 37″
  7. Domanda del pubblico 05′ 53″
  8. Risposta di Salvatore Natoli e chiusura 08′ 35″

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