Gli impresari della paura

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Giovanni BianchiIn un articolo comparso recentemente su “Le Monde” il presidente del think.-tank progressista francese Terra Nova ha rilevato come i risultati delle elezioni cantonali svoltesi nel marzo scorso abbiano dimostrato una crescente porosità fra l’elettorato della destra tradizionale e quello dell’estrema destra, e ciò, sorprendentemente, per volontà della prima e principalmente di Nicolas Sarkozy, il quale nelle elezioni presidenziali del 2007 volle non solo vincere ma stravincere annettendo al campo della desta costituzionale anche le tematiche proprie del Fronte nazionale di Le Pen.

Solo che il presidente francese giocava col fuoco, e dopo quattro anni di polemiche securitarie ed identitarie e la costante ricerca di capri espiatori per le cose che non vanno (possibilmente islamici e con la pelle scura) e il pericolosissimo “dibattito culturale” su chi è francese e chi non lo è (un tema caro ai filonazisti di Vichy, e che suona paradossale in bocca a chi, come Sarkozy, discende da una famiglia di ebrei ungheresi trasferitisi in Francia da qualche decennio), l’unico effetto visibile è stato quello di un rafforzamento del FN che si presenta ora con il volto più “rispettabile” di Marine Le Pen , mentre la popolarità del Presidente cala a picco.

Nulla di nuovo, evidentemente, per noi italiani che questo gioco di sponda fra destra ed estrema destra , e magari anche settori neonazisti, lo vediamo praticare da anni dall’iperpopulista Berlusconi, specie sul tema delicato dell’immigrazione.

Certo, nessuno nel nostro Paese, salvo alcune frange ristrette di imbecilli o di pazzi molto attivi sul cyberspazio , delira di linciaggi o di violenze sul metodo di quelle del Ku Klux Klan e, sia pure senza troppa enfasi, i ceti imprenditoriali ricordano come la presenza degli immigrati dal Sud e dall’Est del mondo (sebbene non siano affatto nei numeri e nella qualità della presenza l’orda barbarica che taluno dipinge) sia ormai vitale per il mantenimento e lo sviluppo della nostra economia.

E tuttavia, sarebbe impossibile negare come il sottodiscorso generale di ben individuati settori politici abbia in questi anni largamente attinto a quella che qualcuno chiama “l’imprenditoria della paura” intesa come arma politica. Paura di che? Innanzitutto la paura atavica dell’altro, di quello che ha una pelle di colore diverso, che parla un’altra ed incomprensibile lingua, che adora Dio in forme e modalità diverse dalle nostre: queste paure sono ben radicate nell’animo umano in forme istintive, per quanto la cultura in senso lato abbia molto agito per superarle e per rilevarne l’infondatezza. In tale paura se ne insinua una più sottile, che è al fondo figlia del mutato clima sociale: in una fase in cui le aspettative di miglioramento della propria condizione economica e sociale sono alquanto ridotte, ed anzi aumentano i timori rivolti al futuro proprio e delle generazioni che verranno, è abbastanza facile che, per germinazione spontanea e/o per l’abile lavoro di indottrinamento di agenti esterni si diffonda la paura che sia la presenza dell’altro, dello straniero, a creare od aggravare la situazione di precarietà in cui veniamo a trovarci, a toglierci ciò che è nostro, o a ridurre ulteriormente risorse già ristrette che spettano a noi di diritto.

Questo tipo di discorsi, che sono parte integrante della proposta politica di settori non indifferenti delle attuali forze di governo, rientrano nella categoria di quelle che il neo Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman definisce “armi di distrazione di massa”, nel senso di quella veste ideologica che serve a nascondere il vero volto delle cose, ossia la crisi strutturale di un modello di riorganizzazione neo capitalistica che ha reso i ricchi  più ricchi ed i poveri più poveri e che ora non regge più, e cerca di dividere i “perdenti” della globalizzazione – in particolare il ceto medio in via di impoverimento e i lavoratori immigrati- per impedire che mettano in discussione un modello economico e sociale profondamente ingiusto.

Ciò dimostra in tutta evidenza come sia stato grave l’errore delle forze politiche e sociali che si richiamano ad un vago riformismo che non sono state in grado nel corso di questi anni di elaborare in termini politici risposte credibili e rassicuranti all’ansia del ceto medio e dei lavoratori, e che si trovano di fronte all’infezione della paura, che assume anche forme razziste e xenofobe (spesso vissute come una forma di liberazione dalle maglie di un “politicamente corretto”, della rivincita del “popolo” sulle “elites”), provando ad esorcizzarle con richiami ad un patriottismo della Costituzione che, pur importante e per certi versi decisivo, appare insufficiente ad arginare una tensione che viene dal più profondo del corpo sociale. Nello stesso tempo, una realtà ecclesiale che si è cristallizzata nel soffocamento delle istanze delle realtà laicali in nome di un prevalente centralismo, e che ha alimentato nel corso degli anni un “Progetto culturale” mai realmente filtrato nella base delle comunità parrocchiali, si trova anch’ essa a fronteggiare una realtà nuova in cui i credenti votano secondo le preoccupazioni e le ansie di tutti gli altri, e l’enfasi posta nel corso degli anni sulle cosiddette questioni “eticamente sensibili” ha avuto l’effetto di anestetizzare la capacità di reazione verso una cultura dominante che considera debolezza l’accoglienza e la solidarietà e pratica il culto della “tolleranza zero” (espressione ad un tempo incivile ed anticristiana).

Berlusconi prima o poi (speriamo più prima che poi) finirà, ma fra le tante macerie che lascerà quelle della paura come sistema di raccolta di consenso e di governo potrebbero essere le più simili a scorie radioattive: di difficile smaltimento ed altamente contagiose.

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