L’anno della misericordia, dovremmo ricordarlo anche noi, ha avuto inizio con l’apertura della porta santa a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana: la scelta del papa di partire di nuovo da una periferia esistenziale e politica del mondo ha una valenza che evidentemente non è solo simbolica. Ricentra per i credenti uno dei punti focali di questo giubileo: a noi occorre stare nei bassifondi della storia e operare concretamente per quei percorsi di giustizia sociale (e politica ed economica, quindi redistributiva) senza i quali nessun discorso sulla pace ha senso.
“Non c’è pace senza giustizia” è veramente il nocciolo duro di ogni azione di promozione dei luoghi abbandonati dalla storia, di risoluzione dei conflitti dimenticati, di percorsi di riconciliazione e di condivisione del medesimo destino di uomini e donne, qui ed ora su questa terra.
1. leggi il testo dell’introduzione di Marica Mereghetti
2. leggi la trascrizione della relazione di Giulio Albanese
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1. premessa di Giovanni Bianchi 15’07” – 2. introduzione di Marica Mereghetti 08’45” – 3. relazione di Giulio Albanese 1h 09’38” – 4. due domande con risposta 09’29” – 5. domanda e risposta con intervento Bianchi 15’39” – 6. domanda e risposta 11’17” – 7. domanda e risposta 09’42” – 8. due domande 10’20” – 9. risposta di Giulio Albanese 19’28” – 10. domanda e risposta 03’19” – 11. due domande e risposta 10’12”
Testo dell’introduzione di Marica Mereghetti a Giulio Albanese
L’anno della misericordia, dovremmo ricordarlo anche noi, ha avuto inizio con l’apertura della porta santa a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana: la scelta del papa di partire di nuovo da una periferia esistenziale e politica del mondo ha una valenza che evidentemente non è solo simbolica. Ricentra per i credenti uno dei punti focali di questo giubileo: a noi occorre stare nei bassifondi della storia e operare concretamente per quei percorsi di giustizia sociale (e politica ed economica, quindi redistributiva) senza i quali nessun discorso sulla pace ha senso.
“Non c’è pace senza giustizia” è veramente il nocciolo duro di ogni azione di promozione dei luoghi abbandonati dalla storia, di risoluzione dei conflitti dimenticati, di percorsi di riconciliazione e di condivisione del medesimo destino di uomini e donne, qui ed ora su questa terra.
Francesco ha coerentemente fatto seguire quel gesto accompagnandosi con l’imam di Bangui in un cammino visibile a tutti di presenza per le vie della città, a ricordare anche che compito delle religioni non può che essere un fraterno percorso di conoscenza e di rimozione delle cause della sopraffazione, nella consapevolezza che tanta strada deve essere fatta, ma che pure la si può percorrere.
E oggi Francesco è a Lesbo, di nuovo in un’isola del Mediterraneo, a ricordare a quell’Europa, premiata con un Nobel per la pace che sembra oggi giunto inopportuno e sterile, che lì su quell’isola dimora la disperazione di chi fugge guerre non scelte né volute, di chi cerca una possibilità di riscatto personale e familiare. Isole che nella storia sono state i luoghi di sosta in un mare piccolo e navigabile, culla di un intreccio di culture e di storie.
Un mare che non potrà mai diventare un muro: perchè il mare non permette la costruzione di fondamenta, solo solidarietà tra naviganti, e non dovrebbe essere una tomba. Ma l’Europa sembra essere tornata alla grande paura del 1529 e costruisce il suo muro a difesa di Vienna contro l’invasore senza agire quasi nessuna prospettiva di percorso di pacificazione lì dove occorre, e soprattutto lì dove sarebbe necessario riconoscere le proprie responsabilità.
Sia chiaro che le responsabilità non si limitano al passato colonialista di buona parte delle nazioni europee, ma a un presente di politiche nazionali che se da un lato cancellano parte del debito delle nazioni africane, dall’altra celano il gioco perverso dell’obbligo di sottoscrizione di fondi finanziari (tedeschi, inglesi, americani, cinesi) che indebitano ulteriormente quelle stesse nazioni.
Mentre si tace la grande svendita che sta avvenendo in Africa di territori, di risorse energetiche e di minerali preziosi e rari. L’infinita guerra somala è una guerra per il petrolio; il Congo e la Repubblica Centrafricana vengono privatizzate per le grandi risorse naturali che possiedono, e la prospettiva non potrà che essere l’ulteriore impoverimento delle popolazioni. La stessa agricoltura africana sta soffrendo la colonizzazione cinese delle risaie, oltre alle ben note problematiche economiche legate al diritto di proprietà delle sementi ogm che acuiscono la dipendenza dei paesi poveri dai paesi ricchi e che si determinano come tematiche commerciali di durissimo impatto sociale accompagnandosi al problema mai affrontato dell’iniqua distribuzione delle ricchezze.
Le armi in mano a Boko Aram e ad altre formazioni fondamentaliste le fornirà pure qualcuno e non sarebbe male chiedersi chi finanzi le forniture. Così come occorre chiedersi come le comunità musulmane intendano combattere al loro interno le posizioni radicali che ideologizzano la fede e operano con la violenza che ben conosciamo. E del resto rispetto a tutta la problematica dell’estremismo islamico non si può continuare a fingere che non ci siano responsabilità del primo mondo sempre correlate a interessi economici e di ordine politico.
Ma senza infingimenti dobbiamo anche sostenere fortemente che almeno due strade devono essere perseguite all’interno del mondo islamico se si desidera realmente che qualcosa si modifichi: quella dell’istruzione e quella dell’emancipazione femminile.
Se la politica e la finanza hanno colpe che sono evidenti e facilmente rilevabili a chi sappia leggere la realtà, non di meno il mondo dell’informazione nega l’accesso alla conoscenza delle situazioni reali: l’Africa fa notizia o per qualche grande carestia o disastro umanitario (titillare la commozione paga sempre in termini di riconoscimento di patenti umanitarie) o per qualche guerra “fratricida” (che serve a marcare la diversità tra noi e loro: noi evoluti e civili, loro divisi e primitivi) o ancora l’area più propriamente mediterranea ci interessa solo in merito ai trafficanti di disperati o nei legami con l’estremismo jiahdista. Poche informazioni quindi e ben filtrate a nutrire la paura, mentre ancora non sappiamo chi abbia ucciso Ilaria Alpi e molti si sono addirittura dimenticati di lei e del suo operatore.
Padre Albanese in questo piccolo volume molto denso non limita il percorso a quel terzomondismo fuori moda e fuori tempo massimo, ma svela le cattive coscienze e insieme suggerisce – con la sua pratica quotidiana – dei percorsi virtuosi di conoscenza e di impegno, direi di pedagogia e di formazione dei valori che sottostanno a una concezione del mondo come comunità e casa comune.
Nulla resta estraneo in questo percorso di formazione di coscienze adulte: né le responsabilità politiche, né quelle economiche e neppure quelle collegate al mondo dell’informazione (sempre meno indipendente in questo senso).
La prospettiva della pace, ça va sans dire, non è certo quella imperiale (la lezione di Tacito risuona attualissima: ubi solitudinem faciunt pacem appellant…), ma non può neppure sorgere senza la consapevolezza che siamo ancora alla cocienza dei primi ominidi che scoprirono le prime armi, asserviti al dominio del più forte e pronti alla vendetta o alla chiusura del clan. Senza una conversione dei cuori e ancor di più delle intelligenze non vi può essere speranza di riconciliazione, ma senza percorsi di giustizia non esiste pace e questo mi sembra in definitiva il punto centrale della riflessione di padre Albanese, che altro non è se non l’unica via possibile per cercare di raddrizzare il legno storto dell’unanimità.
In questa prospettiva a fronte della grande paura che sta stringendo l’Europa, a fronte del rifiuto di mantenere salda la fede laica nella fraternitè, che nelle sue intenzioni apparenta tutti gli esseri umani, mi permetto di ricordare che esiste un modo di essere nella fraternità che è la scelta di condividere i dolori e le gioie sino alla testimonianza della vita.
Cadono quasi vent’anni dal martirio dei monaci di Tibhirine in Algeria (molti avranno visto lo splendido Des hommes et des dieux), la scelta di quegli uomini è stata anche una scelta di condivisione sino in fondo del destino degli uomini, la testimonianza di quella prossimità fraterna cui erano chiamati dalla adesione intima a Cristo ma anche, voglio credere, a una prospettiva di umanità capace di vivere insieme dolori e gioie in una comune casa che è questa terra affidataci perchè la possiamo trasmettere a chi verrà dopo di noi.
Chiudo con le parole di Francesco durante la sua visita africana perchè sono la chiosa da cui partire per questo incontro e insieme le arole che meglio commentano il titolo che quest’anno abbiamo scelto per questo corso:
«… siamo consapevoli di come gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi. Questa presa di coscienza profonda ci porta a sperare che, se l’umanità del periodo post-industriale potrebbe essere ricordata come una delle più irresponsabili nella storia, l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità.
A tale scopo è necessario mettere l’economia e la politica al servizio dei popoli dove l’essere umano, in armonia con la natura, struttura l’intero sistema di produzione e distribuzione affinché le capacità e le esigenze di ciascuno trovino espressione adeguata nella dimensione sociale. Non è un’utopia o una fantasia: al contrario, è una prospettiva realistica che pone la persona e la sua dignità come punto di partenza e verso cui tutto deve tendere.»
Trascrizione della relazione di Giulio Albanese
Io sono contento di essere con voi. Il tema che abbiamo di fronte è davvero faraonico, ma credo che abbiamo tutti davvero una grande responsabilità soprattutto guardando a quello che si sta verificando sul palcoscenico della storia. Cristianamente parlando, evangelicamente, è il caso di dirlo, si tratta davvero di riaffermare il primato della persona creata a immagine e somiglianza di Dio sugli idoli del nostro tempo, in particolare sul dio denaro, dio con la di minuscola. Questo in sostanza che cosa significa? Adottare il metodo del Concilio, avere il coraggio di osare, la parresia. In altre parole, forse mai come oggi ci viene chiesto di essere sentinelle del mattino, scrutare i segni dei tempi alla luce della Parola.
Credetemi, non è facile, non è facile perché purtroppo dal punto di vista culturale siamo davvero immersi nel grande contenitore del pensiero debole. Sapete bene che Baumann, grande amico di Giovanni Paolo II, questo sociologo polacco, di tradizione e di origine ebraica, parla di società liquida, parla di pensiero debole. In effetti, nel contesto, nella cornice del pensiero debole credo che sia necessario un aggiustamento: non parliamo più di società liquida, forse sarebbe più opportuno parlare di liquame. La verità è che vi è una totale assenza di discernimento, dunque l’incapacità a coniugare spirito e vita.
È evidente la confusione generata da quello che il grande Carlo Cipolla definiva lo strapotere degli stupidi. Io me lo sono portato dietro, perché lo considero davvero un breviario. Dove vado sento il bisogno istintivo di mostrarlo. Questo è un testo che dal mio punto di vista meriterebbe davvero il premio Nobel. Voi sapete che Carlo Cipolla era professore emerito di storia dell’economia alla Berkeley University, lui praticamente ha sempre insegnato in lingua inglese, scrisse nel ’76 questo libercolo in lingua inglese, che regalò come strenna natalizia a un manipolo di amici: poi questo testo è stato riproposto in più versioni, tradotto anche in italiano dall’editrice Il Mulino. Il titolo originale in lingua inglese è The basic laws of human stupidity, e in italiano Le leggi fondamentali della stupidità umana. Guardate, questa è la griglia ermeneutica interpretativa per capire il pensiero debole contemporaneo.
Lui qui dice diverse cose, adesso io le riassumo proprio in maniera molto concisa. Nella società vi sono diverse categorie dal punto di vista esistenziale, in particolare si distingue quella degli stupidi e gli stupidi nel nostro tempo giocano un ruolo determinante. Tant’è vero che poi lui scrive: vigilate perché dobbiamo temere lo strapotere degli stupidi, perché gli stupidi, spiega in modo perspicace, sono più pericolosi dei mafiosi, dei lobbisti, dei tangentisti, dei criminali, perché fanno male agli altri, ma poi fanno male anche a se stessi. Non solo, gli stupidi hanno una risorsa straordinaria, hanno la capacità innata di fare sistema. Più sono cretini e più vanno d’accordo. Vedete, gli uomini e le donne perspicaci purtroppo hanno un tallone d’Achille: l’autoreferenzialità e dunque spesso si fa fatica a relazionarsi. Dunque, nel circolo di coloro che sono per così dire, tra virgolette, intelligenti c’è sempre la tendenza istintiva a dividersi tra guelfi e ghibellini. Gli stupidi no, gli stupidi, senza saperlo, fanno cartello e condizionano le coscienze. I cretini, gli stupidi, sono coloro che diventano paladini del pensiero debole.
Io credo che oggi nella nostra società contemporanea, mi dispiace dirlo, anche nel mondo della politica, siamo di fronte a un allevamento per polli da batteria. Ma lo dico, credetemi con grande rispetto, nella consapevolezza che non dobbiamo scadere nel manicheismo: io sono convinto che anche oggi nel mondo della politica vi sono donne e uomini di buona volontà, chapeau, ci mancherebbe, però dobbiamo prendere atto che guardando che non solo a quello che sta succedendo in Italia, ma a quello che sta avvenendo in Europa, è stato ben detto nelle introduzioni, c’è davvero da preoccuparsi.
Uno dei segni evidenti del pensiero debole, di questa stupidità a 360°, è la confusione determinata dalla incapacità di cogliere la linea di demarcazione tra le cose complicate e quelle complesse. Cioè, oggi chi fa politica, chi opera nel mondo dell’informazione, gli stessi intellettuali non riescono a cogliere la differenza che c’è tra ciò che è complicato e ciò che è complesso. Questa è una mia convinzione personale, soprattutto riflettendo su quello che sta avvenendo in quelle che Papa Francesco definisce le periferie geografiche ma anche esistenziali del nostro tempo: l’incapacità di cogliere la linea di demarcazione tra ciò che è complicato e ciò che è complesso.
Una cosa complicata, cum-plicare, tu riesci a sfogliarla, è come se ti trovassi di fronte a un libro, per carità il libro può anche avere dei contenuti ostici, pesanti, difficili da digerire, però il libro ha un suo filo conduttore, una sua logica, il pensiero dell’autore, dunque tu cominci a sfogliarlo e con impegno e diligenza dalla prima pagina puoi arrivare all’ultima pagina. Le cose complicate si risolvono perché hanno una logica. A me dispiace ma la stragrande maggioranza dei nostri politici, dei nostri giornalisti, dei nostri opinionisti loro giudicano oggi la realtà contemporanea, quella della globalizzazione, come se fosse una questione complicata. Questa è una menzogna. Oggi il mondo è complesso, è il cum-plectere, è l’interazione tra più fattori che interagiscono tra di loro. Mi vengono in mente quei casi di chi opera nel mondo della salute, quei medici i quali di fronte a un paziente affetto da una determinata patologia, nel momento in cui viene somministrato un farmaco, a volte possono esserci i cosiddetti effetti collaterali, quelli che gli inglesi chiamano side effects, e tutto questo naturalmente può determinare un quadro clinico molto più complesso in cui è difficile intervenire perché quando c’è un diabetico è chiaro che determinati farmaci non possono essere somministrati e se questi non vengono somministrati poi si generano altre situazioni.
Noi oggi ci troviamo di fronte a una società complessa, questo non deve portarci a gettare la spugna, questo ci deve indurre, a mio avviso, a una ulteriore riflessione; nell’epoca della complessità dobbiamo avere l’umiltà di vedere, di aspettare, tra virgolette, di attendere, non perché vogliamo fare come l’asino di Buridano che era di fronte a due pietanze succulente e poi alla fine morì di fame perché non seppe scegliere, ma perché nel tempo della complessità non è facile trovare le ricette. E siccome invece l’homo faber, l’uomo del nostro tempo, è presuntuoso, noi vogliamo sempre e comunque arrivare alla soluzione finale.
E questo lo dico, per esempio, in riferimento alla questione migratoria, che se volete è la cuspide dell’iceberg di una questione molto più complessa che è stata determinata dalla globalizzazione dei mercati. Ci siamo preoccupati di difendere strenuamente gli interessi mercantili delle grandi corporation, dei grandi gruppi, dimenticando che l’aspetto mercantile non può prescindere dalla globalizzazione dei diritti. Ecco che allora ci troviamo di fronte a una situazione a dir poco inquietante.
Io da diversi anni sono in contatto con Oxfam (Oxfam è un cartello di 18 organizzazioni non governative britanniche) che ogni anno, nel mese di gennaio, pubblica un rapporto che viene solitamente realizzato grazie alla consulenza di esperti sia della Howard University, sia della London School of Economics. La London School of Economics è l’equivalente della nostra Bocconi, anzi, con tutto il rispetto, direi un po’ di più. Bene, la London School of Economics, tutto il gruppo, un pannello di esperti che collaborano appunto con Oxfam, cerca di fotografare la realtà dal punto di vista, non solo emergenziale, della povertà a livello planetario.
Adesso io qui vorrei tornare indietro un attimo con la moviola della storia perché è importante. Cioè vorrei tornare al primo Rapporto, o meglio quello forse più significativo, quello del 2014, per arrivare a quello del 2016 perché gli ultimi tre Rapporti sono estremamente importanti. Nel Rapporto del gennaio 2014 era scritto che 85 persone nel gennaio 2014 detenevano una ricchezza superiore a oltre metà della popolazione mondiale. Capite bene: 85 persone. Questo è un qualche cosa dal mio punto di vista moralmente inaccettabile, questo è un qualcosa di immorale. OK. Se abbiamo la pretesa di andare a esportare la democrazia da qualche parte siamo sepolcri imbiancati perché quando questo sistema genera tale concentrazione di ricchezza nelle mani di un manipolo di nababbi, lasciatemelo dire c’è qualcosa che non funziona. Qui non si tratta di essere di destra, di centro o di sinistra, si tratta semplicemente di avere buon senso. Oltretutto, questa concentrazione di denaro determina inevitabilmente situazioni di recessione perché la recessione da che cosa viene determinata? Dalla stagnazione del denaro: tu vuoi vincere la recessione e allora fallo circolare questo denaro, fallo camminare, no è tutto concentrato lì. È un denaro congelato nelle mani di 85 persone. Questo è lo stato dell’arte nel gennaio del 2014.
Gennaio 2015, cioè l’anno scorso, viene pubblicato un Rapporto in cui si dice che l’1% della popolazione avrà entro il 2016 la stessa quantità di denaro del restante 99%, questo entro il 1 gennaio del 2016. Dunque, nel Rapporto del gennaio 2015 c’è una sorta di profezia, una profezia che si realizza ma in largo anticipo perché è stato dimostrato che l’1% della popolazione mondiale ha raggiunto la stessa quantità di denaro del restante 99% il 1 settembre del 2015, quindi praticamente con tre mesi di anticipo.
Il 1 gennaio del 2016 Oxfam scrive: 62 persone, quindi non più 85, ma 62, hanno la ricchezza di oltre la metà della popolazione mondiale. Sessantadue. Ora, voi capite che in questa maniera non andiamo da nessuna parte. Io devo dirvi che provo davvero indignazione, disgusto, nel leggere i commenti della stampa nostrana rispetto ai Panama peoples, perché i casi sono due: o siamo in malafede, o facciamo come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia, come si dice nelle Afriche sub-sahariane.
Già nel 2012 venne pubblicato un interessantissimo saggio dal titolo Le isole del tesoro. Andatelo a trovare, lo trovate alla Mondadori. Le isole del tesoro, in cui si parlava dei paradisi fiscali, ma qui si metteva in evidenza il vero problema dell’economia contemporanea, che è lo strapotere dell’economia finanziaria, della finanza speculativa sull’economia reale. E in particolare veniva denunciato qualche cosa che nel 2013 è stato riconosciuto addirittura dal Finantial Stability Board che sapete è quell’organismo che riunisce i governatori della banche centrali di tutto il mondo, e naturalmente di questo organismo fanno parte anche il presidente del Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca Centrale Europea e via discorrendo. Ora, il Finantial Stability Board ha praticamente riconosciuto l’esistenza del cosiddetto shadow banking, quindi il sistema finanziario ombra. Che è una cosa criminale, che andrebbe giudicata da un tribunale penale internazionale.
Ho scritto questo libercolo Vittime e carnefici, in cui il sottotitolo recita così: nel nome di Dio, però dio è minuscolo anche se in copertina è maiuscolo perché è tutto a caratteri cubitali. All’interno, se andate a leggere, dio è minuscolo. E non è che si uccide solo nel nome di una divinità, nel nome di una ideologia, si uccide innanzitutto e soprattutto nel nome del dio denaro. E l’alta finanza, mi dispiace dirlo, da questo punto di vista, ha le mani che grondano sangue. Questo va detto! Questo va detto! Quando voi pensate che questa finanza speculativa ha messo insieme lo shadow banking che è fuori dal controllo degli stati sovrani per cui quei denari che circolano su quel circuito possono essere tenuti fuori dai bilanci delle compagnie. Questo significa davvero affermare la deregulation. Il vero problema non è la globalizzazione in quanto tale, la globalizzazione è come la televisione, la tua televisione la puoi utilizzare bene come la puoi utilizzare per vedere i filmetti a luci rosse. Il vero problema è la deregulation; questa è un’economia senza regole, immorale, criminale.
Criminale, diciamolo, come cattolici. Allora, o quello che hanno scritto i pontefici nel loro magistero (penso per esempio al Compendio della dottrina sociale della chiesa di Giovanni Paolo II che è l’ultimo documento che ci ha lasciato nel novembre del 2004 e che rappresenta davvero una stupenda sintesi di quello che è il pensiero cattolico), o quelle sono balle, e allora ci hanno davvero preso in giro, o altrimenti, signori miei, qui c’è qualcosa che davvero va cambiato e noi abbiamo dei cattolici cose che da questo punto di vista non si mettono minimamente in discussione.
Il sistema bancario ombra è criminale e sapete perché è criminale? Non lo dice soltanto il Finantial Stability Board, lo dice anche la Bank for International Assessment di Basilea che sapete bene ha il compito anche di monitorare i flussi di capitale e via discorrendo, che è arrivata a dire che il valore nominale dei prodotti finanziari OTC, i famosi derivati che hanno inquinato i mercati, over the counter, il valore nominale di questa schifezza, di questi prodotti tossici, che sono scatole vuote e quindi è una truffa rispetto alla quale la politica è stata latitante in tutti questi anni, bene, il valore nominale ammonta a 300mila miliardi di dollari. Ora scrivete la cifra, 300mila miliardi di dollari. Quanti zeri sono 300mila miliardi? 14 volte e mezzo il prodotto interno lordo del mondo.
Allora io dico che la politica da questo punto di vista deve smetterla di stare dormiente, silente, perché è inutile parlare di riforme, è inutile riempirsi la bocca di luoghi comuni, è inutile dire che il fenomeno migratorio va arrestato, queste sono chiacchiere, questi sono discorsi che si dissolvono in bolle di sapone. Dobbiamo avere il coraggio di mettere il dito sulla piaga. La verità è che c’è questa globalizzazione che è partita per la tangente. Il vero virus è rappresentato dalla deregulation. E questo naturalmente fa sì che l’economia reale viva in una condizione di sofferenza costante. Ma quando voi pensate che i denari che circolano in borsa in quattro giorni di attività finanziaria sono gli stessi che circolano nell’economia reale in un anno, ma, insomma, c’è qualcosa, amici miei, sulla quale dovremmo riflettere.
E dov’è la politica? A me è stato insegnato che la politica è res pubblica, è affezione, amore al bene comune; è la politica che deve governare l’economia, che deve dare delle indicazioni, affermare dei principi, innanzitutto quello dell’equità. E la verità qual è? È che noi abbiamo oggi una ricchezza concentrata nelle mani di un manipolo di nababbi, personaggi che fanno il bello e cattivo tempo e noi facciamo come le belle statuine, stiamo lì alla finestra a guardare.
Naturalmente, noi da occidentali guardiamo sempre ai fatti e agli accadimenti di casa nostra come se fossero i più gravi, i più drammatici. Ecco, io credo che dobbiamo fare uno sforzo, operare un decentramento narrativo, cioè fare quell’operazione su cui Papa Francesco insiste quotidianamente, seriamente nel suo illuminato magistero: mettiamoci dalla parte degli ultimi, di quelli che vivono nei bassifondi della storia.
E qui vi parlo come missionario. La situazione dell’Africa sub-sahariana, quella che conosco meglio, è decisamente drammatica, assolutamente drammatica, nonostante le balle che scrive il giornalismo italiota, e non solo italiota, devo dire europeo in senso lato. Perché è verissimo, noi abbiamo davvero bravi giornalisti nel nostro paese, e non solo in Italia, però devo dire che spesso purtroppo i piani editoriali sono fortemente condizionati dagli interessi delle proprietà che ci stanno dietro. Ecco, allora adesso bisogna dire, gli ordini di scuderia sono questi, che l’Africa rappresenta un’opportunità perché lo dice la Confindustria. E dico di più, bisogna dire che l’Africa rappresenta un’opportunità perché gli indicatori messi a disposizione, i world database messi a disposizione dalla Banca mondiale dicono che il PIL dell’Africa sub-sahariana cresce. OK. Allora bisogna andare a investire nell’Africa sub-sahariana perché questo è il modo per dare riscatto a quella economia.
Ora, il problema di fondo è che nessuno ci spiega davvero qual è lo stato dell’arte. Allora, è vero che il PIL dell’Africa sta crescendo, però per favore guardiamo le cifre non solo dal punto di vista percentuale, ma dal punto di vista aritmetico, ragionieristico. Allora, uno dei paesi che è cresciuto di più in maniera significativa in questi ultimi tre anni è il Ghana, anche l’Angola, anche l’ex Zaire, la Repubblica Democratica del Congo, anche lo Zambia, la lista è lunga. Queste nazioni sono cresciute fondamentalmente per due motivi: primo perché dieci anni fa qualcuno ha detto praticamente azzeriamo il debito. Non è vero che è stato azzerato, gliel’hanno convertito: oggi gli stessi paesi africani non ce l’hanno più con i governi, con gli stati, , ma ce l’hanno con i privati con la sola differenza che prima si trattava semplicemente di pagare gli interessi, con la finanziarizzazione del debito le speculazioni di borsa hanno degli effetti devastanti. È un po’ come succede con i mutui a tasso variabile. Ecco, l’Africa oggi vive sotto questo capestro. Non solo. È vero che ci sono stati investimenti da parte di grandi compagnie internazionali sotto la spinta dei creditori, ma la crescita percentuale del PIL è significativa in termini appunto percentuali, ma non dal punto di vista aritmetico.
Il Ghana attualmente ha un PIL di 50 miliardi di dollari. Sapete a quanto ammonta il PIL della Regione Lombardia? 350 miliardi di dollari. Quindi, noi possiamo dire che il PIL del Ghana è lo stesso della Regione Basilicata. Il PIL dell’Angola che è quello che ha attirato di più, pensate che l’anno scorso era arrivato al 12%, è di 120 miliardi di dollari. Quindi, sono cifre minimali, ecco che i creditori internazionali sapete che cosa dicono? Anche se il tuo PIL cresce, tu governo africano, tu governo dello Zimbabwe, governo della Nigeria, governo del Benin, governo del Burkina Faso, non sei in grado di darmi sufficienti garanzie, e allora sai che cosa ti chiedo? Ti chiedo la vendita del gas.
La parola vendita, in gergo tecnico si dice privatizzazione, in effetti è sinonimo di svendita, per cui gli assess strategici dell’Africa se li stanno comprando i privati. Adesso qui io non voglio fare l’antioccidentale perché in mezzo ci stanno i cinesi, ci stanno gli indiani, ci stanno i brasiliani. La verità è che se l’Africa va avanti di questo passo tra qualche anno gli africani non saranno più padroni dell’aria che respirano, del pane che mangiano e dell’acqua che bevono.
E vi chiedo: stacchiamo la spina delle valutazioni ideologiche. Qui non si tratta di essere di destra, di centro o di sinistra, scusatemi, ma con questo non voglio svalutare le convinzioni ideologiche di tizio, caio o sempronio, io dico che è una questione di buon senso, è una questione di buon senso. Non capisco gli amici della Lega, io dico amici perché gli voglio bene, per carità, anche loro sono creati a immagine e somiglianza di Dio, credibile ma vero… Adesso qualcuno mi scomunica ma ho dei carissimi amici che sono della Lega: alcuni anni fa mi hanno invitato anche a Tradate. Ieri sono stato in un paese del Veronese, lì l’80% sono leghisti, dove mi hanno invitato a parlare di Africa. Voi sapete: non hanno obiettato niente, perché tutte le cose che ho detto avevano un filo logico. Allora, sapete cosa mi hanno detto? “Padre, lei è bravo, però bisogna aiutarli a casa loro, questi”. Certo, e io sono il primo, come missionario a dire che dobbiamo aiutarli a casa loro perché a tutti fa piacere a stare a casa propria, è vero o no? Solo che il problema è un altro, che noi stiamo facendo di tutto perché questi vengano qui. Capite, questa è ipocrisia, l’ipocrisia del parlamento europeo in cui destra, centro e sinistra, Lega, Partito Democratico incluso, Forza Italia, Popolari sapete che cosa hanno fatto questi signori a Bruxelles? Hanno voluto gli EPA che sono entrati in vigore il 1 ottobre 2014.
E sapete che cosa sono gli EPA? Gli Economic Partnership Agreements. La stampa in Italia queste faccende non le tratta, beh direi che questo è uno degli esempi emblematici: tranne Avvenire, tranne l‘Osservatore Romano e tranne La Stampa in un piccolo articolo, nessuno ha detto, scritto una parola sugli EPA. Gli EPA sono fondamentali, io l’ho detto a Salvini: se vengono qui, vengono qui al 30-40% per questo sistema impositivo, criminale degli EPA. Voi sapete che la Cooperazione dell’Unione Europea ai tempi della CEE, della vecchia Comunità Economica Europea, andava avanti con la famosa Convenzione Lomé 1, Lomé 2, poi c’è stata Cotonou: c’era una cooperazione di tipo paritetico ma nella logica solidale, quindi l’Europa faceva investimenti per aiutare questi paesi e metteva quelle economie nelle condizioni di potersi difendere di fronte a quella che era l’aggressività delle aziende europee. Ma capite bene, questo era fisiologico, è fisiologico: è chiaro che il nostro sistema è più forte del loro. Loro non hanno il know how, non hanno le tecnologie, ci sono debolezze strutturali, se volete anche legate alla corruzione, e poi della corruzione parleremo, però, signori miei non possiamo pensare che il topolino possa competere con il gigante.
Ecco che allora, rispetto alle importazioni, l’Unione Europea aveva concesso, permesso, che ci fossero dei dazi che in un certo qual senso servivano a tutelare gli interessi di queste economie africane, dico africane ma anche dei Caraibi e dei paesi più deboli. Invece, con gli EPA che cosa abbiamo fatto? Il nostro rapporto deve essere on equal ground perché adesso l’Africa è matura, adesso l’Africa ha il PIL che cresce e quindi basta ad avere un occhio di riguardo, noi dobbiamo affermare il liberalismo, dobbiamo affermare le logiche che sono nell’interesse del mercato. Frame, diceva Clinton, not aid, non aiuti.
Sapete qual è il risultato per capire gli effetti degli EPA? Vado a Nairobi, vado al mercato, vado a comprare i pomodori e scopro che i pomodori sono stati prodotti e coltivati da africani, ma non gli africani kikuyu della Rift Valley specializzati nella produzione di ortaggi e quant’altro, no! Sapete da dove vengono i pomodori? Da Villa Literno. Attenzione, ci sono i pomodori spagnoli, i pomodori generali italiani, i pomodori greci che vengono esportati verso l’Africa dall’Europa che, godendo dei sussidi benedetti, messi a disposizione, concessi, autorizzati dell’Europa, dalla Unione Europea, costano quei pomodori di meno in Africa di quelli prodotti localmente. Col risultato che il contadino africano va al mercato, dice: che, sono scemo io a vendere i pomodori al mercato? Ci rimetto. Io a questo punto me ne sto a casetta mia e la mia produzione servirà per soddisfare il fabbisogno familiare, punto. Noi aiutiamo l’Africa così? Guardate che vi ho portato un esempio, potrei portarvene tanti altri.
Mi è stato chiesto un mese e mezzo fa dalla presidente degli Affari Costituzionali del Senato Anna Finocchiaro di fare una relazione sull’Africa in Commissione e ho parlato degli EPA e sono rimasto sconvolto. Cioè, quando si parla della politica, la politica è una cosa seria ma non quella di oggi. Ho scoperto che gli EPA, essendo un trattato internazionale hanno avuto il semaforo verde da Bruxelles, dal Parlamento, ma poi naturalmente dovevano essere votati dai parlamenti nazionali. Bene, ho scoperto che li hanno votati in quattro minuti e trenta secondi. Nessun deputato, nessun senatore sapeva che cosa fossero gli EPA. Un trattato del genere andava visionato, discusso, esaminato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato e della Camera. Non è passato. C’è stata una supervisione della Commissione Affari Esteri.
Io l’ho detto agli amici della Lega: amici non parlate, voi avete votato gli EPA, vergognatevi, vergognatevi. Mi venite a dire che devono stare a casa loro, ma se siete i primi responsabili insieme alle altre forze politiche. E qui davvero sono super partes, davvero ignoranza grassa suina, o supina, che dir si voglia.
Non è ammissibile, l’atteggiamento nei confronti del sud del mondo, delle periferie, è predatorio e quando parliamo di EPA parliamo di un qualche cosa che si inserisce in un capitolo molto più complesso che è quello delle regole del commercio. E le regole del commercio che voi sapete sono state benedette, enunciate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio che è la prima responsabile del deterioramento dell’economia mondiale. Perché la verità qual è? È che oggi noi abbiamo paesi del sud del mondo che sono costretti per queste logiche predatorie a svendere le loro ricchezze.
Allora, chi vi parla ha seguito molto da vicino sia in Sierra Leone come nella Repubblica Democratica del Congo, particolarmente nel nord del Kiwu, la questione del rutilio. Voi non avete mai sentito parlare del rutilio? In inglese si dice rutilius, in francese si dice cotam; è una lega naturale di columbio e tantalio. Il columbio in italiano si dice anche niobio. Per chi ha studiato chimica dovrebbe essere nella tavola degli elementi al numero 40 o 41, comunque uno di quei numeri. Il columbio detto niobio insieme al titanio è il migliore superconduttore al mondo, tutti i circuiti degli shuttle e degli aeroplani sono fatti con questo tipo di lega. Il columbio detto niobio viene anche utilizzato per assemblare i satelliti perché nello spazio resiste alle grandi variazioni di temperatura.
Nel 2002 il prezzo del columbio detto niobio è arrivato a toccare i 18 dollari al grammo, il che significa 18 mila dollari al chilo, il che significa un valore più alto del platino. Nel cotam detto in italiano rutilio, in inglese rutilius, non c’è soltanto il columbio detto niobio, ma c’è anche il tantalio che è presente anche in un altro minerale in percentuali più alte che è la tantalite. Ma noi parliamo del tantalio che sta dentro il cotam. Il tantalio a che serve? Serve a fare i nostri cellulari, tutta la componentistica interna, i microprocessori e voi potete immaginare la richiesta che c’è da parte del mercato perché serve per i nostri cellulari, serve per i nostri computer, per tutti i nostri gadget, addirittura per i nostri orologi. Attenzione, viene anche utilizzato nella tecnologia militare in sostituzione dell’uranio impoverito perché ha una forte capacità di penetrazione.
Bene, io che cosa ho fatto? Sono andato a fare, tra virgolette, una inchiesta. Volevo sapere quanto guadagnassero questi ragazzini che grattavano questa roba al giorno. Sapete quanto gli danno? Ottanta centesimi di euro, 80 centesimi, non arriva a un euro. L’Africa non è povera, l’Africa è impoverita. E vi dico di più, l’Africa non sa che farsene della nostra carità pelosa. Io sono imbestialito con Save the Children, gliel’ho anche scritto. Save the Children è un’organizzazione non governativa di cui ho sempre avuto un grande rispetto perché ha dei valenti cooperanti, volontari che operano nel sud del mondo, ma il loro modo di comunicazione oggi grida vendetta al cospetto di Dio con questi spot demenziali in cui ci fanno vedere i bambini che muoiono di fame, sparano sms, aiuterai un bambino, salverai una vita. Questa è la carità pelosa del ricco Epulone che si sentiva con la coscienza a posto perché faceva cadere delle briciole da tavola per sfamare quel morto di fame di Lazzaro. L’Africa di questa carità pelosa non sa che farsene. L’Africa chiede giustizia, l’Africa chiede regole.
E smettiamola (qui ritorniamo alla complessità dello scenario) di dire che l’Africa è il continente dei corrotti. Non è vero. Ci sono ong specializzate come Trasparency International che ogni anno fa la pagellina dei paesi virtuosi e di quelli invece discoli rimandati a settembre e di quelli addirittura bocciati, un crogiuolo di falsità e vi spiego perché. Se la corruzione è un’operazione di business significa che da una parte c’è la domanda e dall’altra l’offerta, giusto? Significa che da una parte c’è il corrotto e dall’altra il corruttore, ma fanno parte dello stesso sistema, giusto? Bene, quando si fa il computo si parla solo dell’offerta, non si parla mai della domanda, quindi la colpa è del presidente padrone, paladino di interessi stranieri, che si è venduto la propria anima al dio quattrino, ma non si parla mai di coloro che istigano determinati interessi, tra virgolette, stranieri. Il problema è sempre del corrotto, mai del corruttore. Se si facesse un computo complessivo di tutto il business, la pagella andrebbe definitivamente riscritta e allora scopriremo che i paesi più corrotti al mondo sono Stati Uniti, Cina, Unione Europea, Svizzera: questa è la verità. Siamo noi i più corrotti. Perché i presidenti africani non stanno lì per servire il bene comune, la res pubblica, della loro gente, sono lì per rappresentare interessi stranieri.
E qui si apre, signori miei, un altro capitolo. Che è quello della massoneria di cui nessuno parla, perché è un tabù. Lo diceva anche il grande De Gasperi che quando si parla della massoneria, la massoneria va studiata, va seguita, ma non bisogna parlare della massoneria. E no, bisogna parlare della massoneria, perché i presidenti africani sono tutti massoni. Io ho scritto una pagina su Avvenire su questo, e la trovate in Internet: se mettete il mio nome e aggiungete “massoneria” vien fuori il paginone che ho fatto. Tutti i presidenti africani sono tutti massoni. E guardate che la storia del Boko Haram, del fondamentalismo, della Somalia, rientra in questa cornice della massoneria. Peccato che non si dica.
Parliamo dell’Africa Occidentale perché è un po’ il paradigma. Tutti i presidenti dell’Africa Occidentale sono sotto l’influenza in gran parte del Grande Oriente di Francia. Voi sapete che Pompidou, Valeriy Giscard d’Estain, M. Mitterand, M. Chirac, M. Sarkozy, M. Hollande, sono tutti membri del Grande Oriente di Francia. È una cosa allucinante. Ora la cosa divertente è che i vari presidenti africani sono sempre stati inseriti a pieno titolo (leggete Jeune Afrique)e fanno la loro riunione, la loro assemblea, quella dei soci a gennaio, ogni anno, adesso non mi ricordo l’indirizzo ma non è molto lontano dalla Gare de Lyon. Comunque, in ogni caso, la cosa divertente sapete qual è? È che adesso, da qualche tempo, qualche presidente africano ha cominciato a dire: io non ci sto più perché sostanzialmente la massoneria è stato un modo per rimodulare le logiche coloniali. Che significa? Significa che io permetto alle multinazionali di accedere alle commodities a cifre irrisorie. Queste politiche predatorie vengono legittimate dalle classi dirigenti locali che non sono state scelte dagli africani, dalle popolazioni autoctone, sono state scelte da noi.
Ora, il modello degli anni Ottanta, degli anni Novanta qual era? Il modello era questo: io ti do la bustarella, tu però mi devi permettere di fare quello che voglio a casa tua. Nel momento in cui un presidente cominciava a dire: non ci sto, saltava: colpo di stato. Il paradigma, l’emblema, la metafora di questa politica predatoria è la Repubblica Centrafricana. La Repubblica Centrafricana tre anni fa ha subito uno sconvolgimento, un terremoto; il presidente Bozizé è saltato e sapete perché è saltato? Perché ha messo le corna a M. Sarkozy prima e poi a M. Hollande, cioè ha messo le corna al Grande Oriente di Francia. Perché il Grande Oriente di Francia gli diceva: amico mio, il Centrafrica ha tante commodity, ha tante materie prime, c’è il petrolio al confine col Sudan, a Bakouma, 500 km da Bangui c’è il grande giacimento di uranio, poi nel settore orientale del paese ci sono i grandi depositi alluvionali di diamanti, poi c’è il legname, c’è oro. La Repubblica Centrafricana ha una superficie di due volte la Francia, la popolazione è di 4 milioni e mezzo di abitanti. Se i centrafricani potessero godere della ricchezza di questo paese sarebbero più ricchi degli abitanti del Canton Ticino e invece sono il fanalino di coda.
Allora ci si comincia a domandare, ma che c’entra il jihadismo, che c’entrano i terroristi, che c’entrano gli Anti-balaka? Perché noi, chiaramente, quando raccontiamo la cronaca della Repubblica Centrafricana la banalizziamo confondendo le idee alla gente. La gente è convinta che nella Repubblica Centrafricana tutto questo casino è venuto fuori perché le contaminazioni, le pressioni jihadiste che venivano dal Sudan hanno fatto sì che le comunità cristiane fossero impalate, sacrificate come vittime sacrificali sull’altare dell’egoismo, ma l’originale è un po’ diverso. È vero che poi sono venute tutte queste robe ma questi sono effetti collaterali. Il vero problema sapete qual è? Che il presidente Bozizé ha cominciato a dire a Sarkozy: amico mio, per favore rivediamo le royalty, tu non mi puoi dare quattro soldi sul petrolio, tu non mi puoi dare quattro soldi sull’uranio. Pensate che le fonti dell’uranio della Repubblica Centrafricana non sono mai state registrate ufficialmente perché c’è un aeroplano francese di quelli piombati che tutte le settimane parte e va nel Niger perché le quote di uranio del Centrafrica di fatto sono omologate all’interno di quello nigerino. Voi andate a leggere qualche atlante di geografia economica e leggete quali sono le risorse economiche strategiche del Centrafrica: c’è scritto la manioca, il legname, mica si parla delle vere commodity, delle materie prime, fonti energetiche in primis. Non se ne parla. Omertà.
Lì però ci sono i banditi, ci sono i ribelli, ci sono i criminali, ci sono i terroristi e ci fa comodo scrivere queste boiate perché non abbiamo il coraggio di dire la verità. Che cosa è successo? Che il presidente Bozizé dice: ho provato con Sarkozy e mi ha risposto picche, io provo a chiedere ai cinesi e i cinesi diranno cinque volte tanto. Voi che cosa avreste fatto se foste stato al posto di Bozizé? Ovviamente, accetto l’offerta cinese, giusto? Il giorno prima della firma è scoppiata la ribellione dei Seleka all’interno dei quali vi erano mercenari francesi, gente della legione straniera, ma questo non lo si è detto. E i Seleka sarebbero jihadisti, criminali. E M. Hollande si deve cucire la bocca, perché M. Hollande è inutile che pianga le vittime di Charlie Hebdo, è inutile che M. Hollande pianga le vittime del venerdì nero di novembre dove davvero è morta tanta gente innocente e nei confronti di quelle vittime e dei loro familiari il massimo cordoglio, ma vorrei ricordare a M. Hollande che con questi criminali il suo governo ci va a braccetto. Non dimentichiamo che dieci giorni prima degli attentati di Parigi è andato a Riad a firmare accordi con le petro-monarchie.
Vi sto confondendo le idee? 10 miliardi di euro, gran parte in armamenti perché quando si tratta di fare quattrini ci si vende l’anima al diavolo e qui aveva ragione un grande economista francese morto a Roma nel 1850, Fredéric Bastia: dove non passano le merci, passano gli eserciti. E allora che cosa è successo? Che a quel punto in Centrafrica c’è stata la guerra, sono arrivate le formazioni jihadiste, certamente perché poi il wahabismo e il salafismo rappresentano il terzo incomodo, e qui arriva la questione della centralità della massoneria. Mentre fino a ieri noi avevamo logge massoniche in Africa che erano di obbedienza europea, quindi legate alle logge francesi, inglesi, americane, oggi in Africa stanno nascendo le logge autoctone che sono deiste e quindi non sono più soteriche e interloquiscono indovinate con chi? Con i cinesi e gli wahabiti e i salafiti.
Noi addirittura in Africa abbiamo presidenti mussulmani che sono entrati nella massoneria. Il primo è un defunto, si chiamava Omar Bongo. Suo figlio, Ali Bongo, è l’attuale presidente del Gabon. Suo padre è stato il primo massone mussulmano, queste cose non si dicono. Il vero problema di Bocu Haram qual è? È che dietro a Bocu Haram in Nigeria ci sono le logge deiste e dall’altra parte ci sono le logge filooccidentali, quelle delle sette sorelle, quelle delle compagnie petrolifere e purtroppo è uno scontro che avviene su questo piano. Questi sono gli scenari occulti di cui nessuno parla.
E allora credo che da questo punto di vista quando noi parliamo di bene comune dobbiamo metterci in testa che il bene comune non è quello di casa nostra e basta; in un mondo villaggio globale dobbiamo cominciare a ragionare in una prospettiva davvero planetaria, dobbiamo pensare globalmente e poi agire localmente, ma dobbiamo avere questo respiro internazionale. Mi viene in mente la diatriba che c’era tra Machiavelli e Guicciardini, perché Machiavelli, lo sapete meglio di me, aveva comunque il sogno dell’unità d’Italia già in epoca rinascimentale, anche se poi il nostro paese era diviso in staterelli, in combutta l’una contro l’altro; Guicciardini, che era molto più cinico e realista, un giorno in una missiva gli scrisse: o grullo, l’italiota è affetto da lo particulare. Che cos’è lo particulare? L’individualismo.
Oggi purtroppo questo lo particulare non è solo dell’Italia, è dell’Europa. È sintomatico dei nazionalismi, dei regionalismi, dei provincialismi che ci impediscono di capire che i problemi del sud del mondo sono i nostri problemi. Il grande Léopold Sédar Senghor, il grande maestro della negritude, questo grande statista senegalese diceva: il passato ci ha trovato divisi, voi eravate i colonizzatori e noi eravamo i popoli vittime sacrificali. Però attenzione, oggi guardando al presente, e soprattutto al futuro, dobbiamo capire che dobbiamo sforzarci di incontrarci all’appuntamento del dare e del ricevere. Perché? Perché abbiamo un destino comune. Perché i problemi del sud del mondo sono i nostri problemi. La questione migratoria non può essere affrontata prescindendo da quelli che sono i problemi che la determinano; come i problemi nostri sono inevitabilmente i problemi dell’Africa perché gli effetti speculativi di borsa hanno effetti devastanti in Africa.
Vi devo dire due parole ancora, poi mi fermo. Chiedo scusa se sono stato eccessivamente lungo.
Voi sapete che c’è una borsa che tratta le commodity alimentari a Chicago negli Stati Uniti? Questi si sono inventati le feature alimentari e questo è criminale. Il tribunale penale internazionale deve dire qualcosa. È criminale, cri-mi-na-le. Perché? Dobbiamo partire dall’inizio. Cinque anni fa io mi trovavo in Etiopia, sull’Acrocoro etiopico, zona di Bale, campi biondeggianti di grano, di orzo, uno spettacolo, 50, 100, 200 chilometri. Scendo a valle, vado ad Addis Abeba, poi a valle per modo di dire perché poi Addis Abeba è comunque alta, comunque scendo, vado ad Addis e partecipo a una conferenza stampa dell’allora primo ministro Meles Zenawi: è successo un anno prima che morisse. E Meles lancia l’appello: il nostro paese rischia una nuova carestia. Ma come, sono stato lì, c’erano tutti i campi di grano. Due settimane dopo con i miei confratelli missionari ritorno a Bale, non c’era più niente, avevano raccolto tutto. Che fine ha fatto? E vado a parlare con il mio amico Peter Sachiwo, diplomatico esperto di queste faccende. Mi dice: sai Giulio, noi ogni anno dobbiamo vendere il grano alle compagnie di agro-business a cifre irrisorie, al ribasso, per pagare gli interessi del debito. Quindi, è chiaro che rinunciando a questa risorsa, fondamentale per la popolazione, per il sostentamento della popolazione, è chiaro che scatta la carestia.
Le compagnie che fanno? Acquistano queste derrate alimentari a quattro soldi, le mettono in questi grandi silos, le trasportano oltre oceano, le trasportano in Europa. A ogni silos viene associato un feature, un prodotto finanziario. Ora voi potete immaginarvi cosa rendono questi feature perché non sono scatole vuote come gli OTC, gli old the capitaly, i derivati, sono scatole piene, tutte quelle feature hanno un valore, un valore reale che è quello dei cereali che rappresentano, quindi rendono una barca di soldi. I fondi pensione negli Stati Uniti d’America hanno tutto investito su questi prodotti alimentari.
Siccome qui non siamo analfabeti, siamo persone in grado di intendere e di volere è chiaro che i profitti determinano inevitabilmente nella vendita al dettaglio del prodotto in periferia una impennata spaventosa dei prezzi. Le feature di Chicago, la borsa di Chicago genera ogni anno milioni di morti di fame, milioni di morti di fame. E poi ci lamentiamo che vengono qui. Questa è la cuspide dell’iceberg, non l’abbiamo capito?
Io l’ho detto l’altro giorno al Senato, li ho fatti spaventare. Ho detto: amici miei, io seguo il fenomeno migratorio dall’Africa… Siete stanchi, vero? Posso parlare ancora dieci minuti?
Io mi diverto a seguire il fenomeno migratorio dall’Africa perché mi interessa, mi appassiona. Vi racconto un aneddoto. Quando ero bambino negli Stati Uniti, nel 1965 ero lì sotto Natale, sarà stato fine novembre, primi di dicembre, abbiamo avuto un black-out, per tre giorni non è stata erogata l’energia elettrica ed è stata una tragedia, faceva freddo, non funzionavano i riscaldamenti, le pompe di benzina non erogavano carburanti, un macello. C’erano i barboni di notte che poverini morivano assiderati perché non c’era più il riscaldamento che veniva dagli alberghi. Non c’era neanche la televisione, voi sapete che la televisione gioca un ruolo strategico, è un contraccettivo naturale permesso dalla Chiesa perché disturba la vita di coppia. Cos’è successo? Tre giorni in casa. Mamma e papà che cosa fanno? Si fanno le coccole, si vogliono bene e fanno l’amore e nove mesi dopo abbiamo avuto il baby boom. Trasportavano le donne gravide col pancione addirittura al di là del fiume Hudson nel New Jersey perché tutti i reparti di ostetricia dello stato di New York erano strapieni.
Ora io dico, se gli americani hanno sperimentato il baby boom perché gli è mancata la corrente per tre giorni, che cosa dire dell’Africa dove non manca solo la corrente, non solo da tre giorni; cioè smettiamola con la teoria maltusiana che fa ridere i polli. Il problema demografico non è la causa del sottosviluppo, è l’effetto del sottosviluppo. Vuoi che facciano meno figli, vuoi che abbiano quello che Papa Francesco chiama giustamente la genitorialità responsabile? E cavolo, mettili nelle condizioni di vivere bene, mettili nelle condizioni di vivere in pace. È inevitabile che poi a un certo punto in una famiglia invece di mettere al mondo tre figli se ne mettano dieci.
C’è stato un mio amico carissimo, un vecchio fotoreporter italiano celebre, il grande Colussi, il fotoreporter della Dolce Vita, lui mi regalò, un 15 o 20 anni fa, un bel libro di fotografie che lui scattò con la sua Laica dal 1947 al 1949. Lui partì da Bolzen e finì a Caltanisetta: si è fatto l’Italia in autostop, ma non c’era l’autostrada del sole. E con la sua Laica in bianco e nero ha fatto delle foto spettacolari, ha fotografato l’Italia dopo la guerra. Non ha fotografato l’Italia delle città, ma l’Italia delle campagne: eravamo un paese di morti di fame, le nostre famiglie 10-15 figli, era l’unico modo per sbarcare il lunario. Chi è che poteva preoccuparsi degli anziani? Chi è che poteva garantire una vecchiaia serena ai propri genitori? I figli, ma un figlio non bastava, due non bastavano. Tre. Quand’è che in Italia la curva demografica ha cominciato a scendere? Quando abbiamo cominciato a fare meno figli, quando abbiamo cominciato a stare meglio, il boom economico degli anni Sessanta. Non è che uno deve essere Pico della Mirandola per arrivare a simili conclusioni.
E allora il problema è il riferimento all’Africa sub-sahariana perché, e qui vengo al dunque. Ho sconvolto gli amici della Lega, quando gliel’ho detto. È stato una volta: ma non puoi dircele queste cose! Cosa dobbiamo fare? Voi sapete a quanto ammontava la popolazione dell’Africa nel 1960? 265 milioni di abitanti. Sapete a quanto ammonta oggi la popolazione del continente africano? Un miliardo e 250 milioni. Ora la cosa divertente è che l’Africa è tre volte l’Europa. Lo sapevate che l’Africa è tre volte l’Europa? Noi siamo tutti condizionati fortemente dalla proiezione di Mercatore. La proiezione di Mercatore, ve lo dice un ex ufficiale di Marina, tutto quello che è compreso tra i tropici lo rappresenta fedelmente, ma essendo una proiezione cilindrica, tutto quello che dai tropici tende verso il polo nord o il polo sud isi spalma a dismisura, per cui la Groenlandia è enorme. Aspettate, ho portato la carta di Peters, ve la voglio far vedere. Ve la ricordate voi la carta di Mercatore, vero? Ve la voglio far vedere perché è importante per dare senso e significato a quello che abbiamo detto pocanzi. Da qualche parte sta, l’ho conservata apposta perché dovevo farvela vedere, eccola qua. Allora, la carta di Mercatore ve la ricordate, l’Africa al centro piccolina, poi c’è la Siberia enorme, la Groenlandia enorme. Questa è la carta di Peters, di Arno Peters. La vedete? Vedete l’Africa come è grande? Allora, questa è una carta che non può essere utilizzata per la navigazione. I continenti, qui, le sagome, sono deformate, ma questa carta ha un errore dello 0,4%, poi ci sono i cartografi che sono pignoli e dicono: sì, però… Diciamo che c’è un errore di rappresentazione inferiore all’1%, ma non me ne frega niente perché questa carta non mi serve per navigare, questa carta ha un altro significato.
Essendo la terra un ellissoide di rivoluzione schiacciato, dovendola rappresentare su una carta o usi il sistema di Mercatore e quindi varia la scala delle latitudini per cui oltre i tropici la latitudine cresce dal punto di vista della dimensione segnata con il compasso, o altrimenti uso la carta di Peters che mi mantiene il rapporto di superficie tra i continenti. Che significa? Che guardando questa carta io mi rendo conto della differenza che c’è dal punto di vista della superficie tra un continente e l’altro. Guardate che cos’è l’Africa, guardate che cos’è il continente latino-americano. Peters diceva: questa carta è importante perché è la magna carta della educazione alla mondialità. Questa carta ci aiuta a guardare il mondo dalla parte degli altri, della alterità. Questa carta ci spiega che tre quarti della popolazione mondiale vive nel sud del mondo perché questo non lo dice solo la demografia, lo dice anche la geografia. Guardate che cos’è il sud del mondo geograficamente.
Bene. Oggi in Africa noi abbiamo un miliardo e 250 milioni di abitanti. L’index of dependance, ovvero, tradotto in italiano, l’indice di dipendenza è il più alto nei cinque continenti. Che significa? Che la popolazione è giovanissima e la popolazione degli anziani, quindi la popolazione del continente che non lavora, percentualmente è più alta di quella della cosiddetta fascia lavorativa. Nel 2050, quindi tra 35 anni, l’Africa sarà il continente con il più basso index of dependance, quindi con la quota percentuale, numerica e aritmetica più alta di lavoratori a livello planetario. La popolazione dell’Africa sub-sahariana nel 2050 sarà intorno ai 2,8 miliardi. Attenzione, nel 2100, è chiaro che è difficile fare previsioni di questo tipo, potrebbe arrivare a 4 miliardi. Quindi, i fenomeni migratori sono ineluttabili, inevitabili, a meno che non ci sia la capacità, la perspicacia da chi è nella stanza dei bottoni, di governare questi fenomeni. E io lo dico a chi fa business, lo dico agli amici imprenditori della Confindustria, facciamolo anche nell’interesse del mercato perché, signori miei, se il numero dei morti di fame continua a crescere in maniera spropositata, noi a chi li vendiamo i nostri prodotti?
E qui vorrei concludere con un fatto di storia. Io ho sempre avuto la passione per la storia. In uno dei miei recenti editoriali, quello di gennaio su Popoli in Missione, ho parlato di un certo Damiano Marcellino che era uno storico del quarto secolo, il quale, poverino, lui si mise a studiare, se volete anche con il vezzo del giornalista, e non solo dello storico, el’origine, la genesi delle invasioni barbariche. Che cosa dice? Lui si accorge che le popolazioni dei Goti al di là del Danubio premevano sull’impero. Badate bene che molti dei Goti avevano già passato il fiume e si erano in parte mescolati alla popolazione romana, tant’è vero che molti di loro erano diventati legionari, e addirittura molti di loro erano diventati cittadini romani. La stragrande maggioranza della popolazione di origine gota però aveva fatto la scelta di rimanere al di là del grande fiume. Siccome stava arrivando Attila, stavano arrivando gli Unni, questi avevano chiesto aiuto. Allora, cos’hanno fatto i generali romani che difendevano i confini dell’impero? Hanno informato l’imperatore Valente che stava a Costantinopoli. Valente stava partendo con dieci legioni, una roba allucinante, perché il suo sogno era di conquistare la Persia. Quando riceve la missiva da parte degli alti ufficiali romani circa la richiesta dei Goti di entrare nell’impero pacificamente lui disse: e che problema c’è! Molti di loro sono già diventati cittadini romani, molti di loro sono miei legionari, combattono nelle mie legioni che adesso voglio utilizzare per conquistare la Persia. Che problema c’è. L’importante è che rispettino le leggi di Roma. Vanno rispettate le leggi, l’importante è che lavorino, che non creino problemi, per il resto ok; addirittura decise di far partire quattro carri carichi di oro, gemme, diamanti e quant’altro destinati a quelle popolazioni per finanziare l’operazione umanitaria.
E come è successo duemila anni dopo con mafia capitale, che cos’è successo allora? I generali romani si sono fottuti tutto quanto, se lo sono messo in tasca e hanno preso quella povera gente e l’hanno messa in enormi campi di sterminio. I goti ci sono stati dentro neanche un anno, dieci mesi, poi a un certo punto hanno chiesto di ritornare dall’altra parte: è inutile che stiamo qui, viviamo come bestie in questi campi di accoglienza, non ci fate fare niente, ci chiedete solo soldi, non ce la sentiamo; a questo punto è meglio che torniamo dall’altra parte e saremo noi a difenderci dagli Unni. Beh, sono stati geniali, si sono organizzati tra di loro, hanno messo in piedi un esercito che ha affrontato le legioni di Roma ad Adrianopoli e ha sconfitto Roma, nel 386 se non vado errato.
Il che significa che da quel momento è l’inizio delle invasioni barbariche. Allora, perché iniziano le invasioni barbariche, perché crolla l’impero? La scintilla è stata l’incapacità da parte delle classi dirigenti del tempo, bisogna riconoscerlo non dell’imperatore, di capire, di comprendere che il fenomeno migratorio è sintomatico di un malessere. Gli Unni si spostavano perché c’era una gravissima siccità che colpiva le regioni orientali e quella siccità si è poi gradualmente trasferita verso occidente. Non dimenticate che la crisi siriana è scoppiata, la guerra civile siriana è scoppiata quando le popolazioni che vivevano a oriente della Siria per una prolungata siccità hanno cominciato a fare pressione verso Damasco. Queste cose noi lo diciamo noi, c’è un rapporto di Word Full Program che spiega bene come sono andate le cose, quindi tutta la protesta sindacale, l’opposizione e quant’altro.
È per questo motivo che non possiamo essere dormienti. Mi viene in mente quello che diceva il grande Martin Luther King: non dobbiamo aver paura delle parole dei malvagi ma del silenzio degli onesti. Io credo che da questo punto di vista non possiamo far finta di niente. Io vi ho vomitato addosso tante cose, spero che non mi scomunichiate.