Dolore e morte restano nonostante tutto una coppia indissolubile. Non c’è dialogo che possa riuscire un efficace esorcismo. (Anche se è doveroso provarci.) Perché né il dolore né la morte possono essere metabolizzati. Hanno la consistenza degli interrogativi reali che poggiano sul proprio vuoto fondamento come su lastre di granito. Un Nulla maiuscolo, come lo scriveva Turoldo nelle prime poesie ermetiche. Perché a ben pensarci neppure il nulla è soltanto nulla.
Il romanzo allora viene messo alla prova da un dialogo incessante con la figlia perduta. Il labirinto di un interminabile midrash e un ring dove le diverse discipline contendono tra loro fino a sfinirsi reciprocamente.
Una consolazione per la quale la parola deve alla fine dichiararsi impotente e lasciare il campo alle domande che risultano inevitabilmente più importanti delle risposte. Una ricerca dunque alla quale è comunque bene non sottrarsi e che prosegue ogni volta che pensi di avere messo la parola fine.
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