Francesco, punto e a capo

linea_rossa_740x1Giovanni BianchiTorniamo sull’elezione di Papa Francesco perché probabilmente si sono diffuse delle sensazioni sbagliate sul nuovo Vescovo di Roma, quasi che l’uomo semplice che si svela progressivamente sotto gli occhi di tutti noi fosse un sempliciotto. A parte che fra i Gesuiti di sempliciotti è difficile trovarne, il nuovo Papa ha chiarito immediatamente quali fossero le implicazioni della sua elezione fin dai primissimi giorni, almeno agli orecchi di chi voleva udire.

Ad esempio nell’incontro con i giornalisti tre giorni dopo l’elezione, quando ha spiegato le ragioni del suo nome, riconducendolo ad una breve conversazione con il cardinale brasiliano Claudio Hummes (francescano, successore dell’altro francescano Paulo Evaristo Arns nella guida dell’immensa Diocesi di San Paolo e poi uomo di Curia malgrè soi, uscito da lì con una pessima impressione e rapidamente tornatosene in Brasile a respirare aria migliore) che gli raccomandava l’attenzione ai deboli e ai poveri. Ma nella stessa circostanza il presule argentino ha voluto chiarire tre cose: la prima è che mentre lui e Hummes parlavano i voti “salivano e salivano”, e quindi la maggioranza che lo ha eletto al pontificato è ben superiore alla cifra fissata dei 77 voti, a segno di un convergere generale sulla figura dell’Arcivescovo di Buenos Aires, già papabile nel 2005.

In secondo luogo, parlando dei nomi che aveva scartato, ha voluto richiamare Adriano VI, l’olandese che succedette a Leone X e dovette gestire le prime conseguenze dello scisma luterano: un Papa umile e povero, ma anche un intellettuale che, fermissimo nella dottrina, ammise le gravi colpe morali della Curia romana che avevano dato propellente alla rivolta del monaco di Wittemberg , e giunse a scrivere che in certi casi anche i Papi possono sbagliare in questioni di fede. Poi, a proposito di Clemente XIV, il Pontefice che soppresse la Compagnia di Gesù, molti hanno scordato che quel Papa prima di salire al Soglio  era un frate francescano di nome Lorenzo Ganganelli, e la scelta come nome pontificale di quello del fondatore dell’Ordine cui apparteneva il persecutore del suo da parte del gesuita Bergoglio ha significato, in sostanza, il voler chiudere definitivamente, senza dimenticarla, un’antica controversia.

In sostanza il nuovo Pontefice, con estrema amabilità, ha voluto ricordare che ora spetta a lui gestire gli affari della Chiesa, e che il suo sarà uno stile governante più che docente, e che se all’esempio egli annette un’importanza decisiva al punto di aver compiuto tutta una serie di gesti che sono in piena coerenza con il vissuto della sua esperienza bonaerense, nello stesso tempo sarà capace di seguire le questioni di governo e dottrinali senza discostarsi dalle linee maestre del Concilio Vaticano II. D’altro canto ciò era evidente fin dal primissimo momento, quando ha voluto accanto a sé uscendo sul balcone di San Pietro, il Cardinale Vicario di Roma ( simbolo della consapevolezza che il ministero petrino è inscindibilmente legato a quello episcopale di Roma) ed il suo mentore Hummes, mentre al suo primo Angelus ha voluto ricordare il card. Walter Kasper, teologo non sempre in linea con Benedetto XVI sulle questioni ecclesiologiche ed ecumeniche.

Che tutto questo dispiaccia ai chiassosi tradizionalisti sui loro blog animati dalle stesse persone sotto pseudonimi diversi, quella gente a cui dispiacerebbe se l’inferno non ci fosse perché non potrebbero mandarci nessuno, è solo la garanzia di come Francesco stia operando bene.

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