I giudizi di vario tipo sull’ Enciclica “Laudato si’” risentono evidentemente delle diverse categorie interpretative dei commentatori: tuttavia spesso, soprattutto fra alcuni estimatori non si sa quanto disinteressati, sembra quasi che il Papa argentino sia una sorta di masso erratico piovuto da chissà dove. In realtà Francesco dice oggi ad una platea internazionale quello che il card. Bergoglio diceva ieri ad un più ristretto uditorio argentino.
Una chiave interpretativa della “politica” di Francesco ha provato a fornirla un suo amico, il prof. Francisco Mele, che gli è succeduto sulla cattedra di psicologia del Collegio gesuitico del Salvador di Buenos Aires. Egli guarda al nuovo Pontefice come ad un esponente della “teologia del popolo”, intesa come “superamento della teologia della liberazione, pur non rinnegandola. I teologi della liberazione si ispiravano ad un’interpretazione socio-strutturale di carattere marxisteggiante.
I teologi del popolo (…) non credono nelle classi ma appunto nel popolo. Con una speciale attenzione ai poveri, che in America Latina sono ancora tanti, troppi. Bergoglio vuole una Chiesa “dei poveri per i poveri”, schierata al fianco del popolo sofferente, umiliato, tradito dalle élite ed esposto alle insidie dell’individualismo edonistico-libertario, del capitalismo selvaggio e della globalizzazione imperialista (…) Per il papa vale l’idea per cui la dottrina ci insegna in chi credere, ma il popolo ci insegna come credere”
Va lasciata al prof. Mele la responsabilità di queste asserzioni, ma non si può negare che molti indizi in questo senso siano stati lasciati dal card. Bergoglio in alcune sue dichiarazioni degli scorsi anni, che ovviamente non ebbero alcuna eco in Italia e in Europa. Ad esempio, parlando della “condanna” della teologia della liberazione avvenuta sotto Giovanni Paolo II ad opera del card. Ratzinger, Bergoglio afferma: “Non parlerei neppure di una condanna in senso legale di certi aspetti, bensì di una segnalazione. […] Il rischio era di snaturare una cosa che la Chiesa ha chiesto nel Concilio Vaticano II e che da allora non ha mai smesso di ripetere: bisogna trovare il cammino giusto per rispondere alla preoccupazione per i poveri, esigenza evangelica assolutamente imprescindibile e centrale”. E ancora: “Più gli agenti pastorali scoprono la pietà popolare, più l’ideologia decade, perché si avvicinano alla gente e ai suoi problemi con un’ermeneutica reale, tratta dal popolo stesso”.
Dunque, la “politica” di Bergoglio è per i poveri e in mezzo ai poveri, in una logica che scarta la dimensione avanguardistica ed elitaria, ma che valorizza la dimensione complessiva dell’approccio alle problematiche sociali senza mai dimenticare che l’ottica da cui partire è quella della povera gente. E in qualche misura questo pensiero si riflette anche sulla comunità ecclesiale nel suo complesso, come quando afferma: “Vorrei anche chiarire che, quando si parla di ‘Chiesa’ – soprattutto sui giornali – si tende a parlare dei vescovi, dei preti, della gerarchia; ma la Chiesa è tutto il popolo di Dio”.
Salutare ammonimento, si potrebbe dire, sia nei confronti di una certa iattanza clericale, sia nei confronti della superficialità con cui di certe vicende ecclesiali si parla da parte di giornalisti che preferiscono dar credito ad ogni spiffero curiale piuttosto che all’esperienza vivente della comunità ecclesiale.
D’altro canto, poteva un vescovo venuto da una situazione come quella argentina o latinoamericana in generale parlare diversamente?
Già nel 2007, nel corso della grande assise continentale di Aparecida, il card. Bergoglio aveva detto che “viviamo in una delle più diseguali parti del mondo, che ha visto certamente una grande crescita economica, ma anche l’impoverimento dei più deboli.
L’ingiusta distribuzione dei beni persiste, creando una situazione di peccato sociale che grida al Cielo e limita le possibilità di una vita degna di questo nome per così tanti nostri fratelli”.
E questo in fondo è il filo rosso del suo messaggio sociale, dai confini del mondo al cuore della cristianità.
2 commenti
l’articolo di cui sopra dovrebbe ,assieme all’enciclica, essere letto dai tanti che posseggono il potere economico e dai politici , perchè i problemi del mondo sono li, da sempre
Peccato che la rivoluzione francese e poi quella russa, e poi quella di Mao, non abbiano portato quella maggior giustizia a cui tutte le creature hanno umanamente diritto ,bisognerebbe far riflettere le coscienze, come ? .
Concordo profondamente con le argomentazioni di Bianchi. A me risulta che, a titolo di esempio, Leonardo Boff, abbia ricevuto diverse sollecitazioni di riavvicinamento e di ripresa del dialogo da parte della S. Sede attuale.
Altro elemento, di non secondario interesse, è la continuità della “linea bonaventuriana” da Ratzinger a Francesco,su cui vado metitando, anche interpretando qualche “spiffero curiale”, dalla visita di Papa Ratzinger a Viterbo e Bagnoregio, il 6 settembre 2009, e sulle conseguenti dimissioni l’11 febbraio 2013.
Nessuno parla del simbolismo della data, anniversario dei Patti Lateranensi. Su di essa è calato l’interdetto. Elemento visibile e tangibile al Seminario annuale su Bonaventura a Bagnoregio di un mese fa.
Formulo l’invito a Giovanni Bianchi a venire a Viterbo per l’inaugurazione del prossimo anno scolastico (15 settembre 2015) all’Istituto che ho l’onore di dirigere. Metà dell’utenza studentesca, su di un totale di c.a 1100 studenti, è composta da studenti degli indirizzi professionali. Questo Istituto, raccoglie il più alto tasso di diversa abilità, BES-Bisogni Educativi Speciali e DSA-Disturbi Specifici di Apprendimento di tutta la Provincia di VT….a proposito di ultimi e di popolo.
Grazie e buon lavoro
prof. Pasquale Picone
-preside dell’Istituto Statale di Istruzione Superiore “F. Orioli” di Viterbo -www.orioli.gov.it
-presidente SFI/VT-Società Filosofica Italiana sezione di Viterbo
-psicoanalist junghiano ARPA-Torino/Roman; IAAP-Zurigo.