In realtà ci sarebbe veramente poco da dire: basterebbe semplicemente citare le parole ferme, pur se sconsolate, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la sera di domenica 27 maggio, quando, fallito il tentativo del prof. Giuseppe Conte, ha spiegato per quale motivo il Governo fra Lega e Cinquestelle non sarebbe nato. Il Capo dello Stato ha ricapitolato tutti i punti salienti della trattativa che ha fatto seguito alle elezioni del 4 marzo, evidenziando come egli avesse voluto assecondare, al solo fine di permettere la nascita di un Governo, le tortuose manovre delle due forze politiche uscite con maggior forza dalle urne elettorali, dalla richiesta di “più tempo” all’elaborazione di un irrituale “contratto” che prevedeva addirittura l’attivazione di organismi di consultazione extracostituzionali fino alla scelta come Presidente del Consiglio di un illustre sconosciuto dal curriculum indubbiamente importante (per quanto un po’ gonfiato) ma totalmente estraneo alla politica, in nessun modo partecipe dell’abborracciato accordo programmatico e visibilmente succube dei capi delle due forze politiche che stavano dando vita al Governo.
L’accordo, a quanto pare, è saltato per il rifiuto del Presidente Mattarella, nel pieno dei poteri che la Costituzione gli accorda, di destinare la delicata funzione di Ministro dell’Economia e delle Finanze, ed interlocutore primario dei nostri partner europei, al prof. Paolo Savona, anziano economista di lungo corso, già consulente di Ministri e Ministro lui stesso, da qualche anno convertitosi all’idea che il nostro Paese debba uscire dalla moneta unica europea. Da notare che nel “contratto” non vi era nulla di tutto ciò, ma la stessa presenza del prof. Savona rendeva possibile interpretare la cifra del nuovo Esecutivo in chiave nettamente antieuropeista, per di più in via surrettizia.
Come ha argomentato efficacemente il costituzionalista Marco Olivetti: “sono in discussione i principi fondanti del sistema costituzionale, che oggi non possono non essere letti alla luce della collocazione europea e atlantica dell’Italia, dato che la Costituzione italiana è stata occidentalizzata dalle solenni scelte su NATO e CEE nei primi anni del secondo dopoguerra novecentesco”. Pensare di poter alterare questo quadro magari con un “piano B” da attivare nottetempo o durante un finesettimana a mercati chiusi oltre ad essere aberrante è quindi anche anticostituzionale in senso lato, e il fatto che il prof. Savona si sia dichiarato più volte favorevole a questo famoso “piano B” valeva a qualificare la sua presenza nel nuovo Governo – dove la sua sarebbe stata, insieme a quella di Salvini e Di Maio, la presenza politica di maggior rilievo vista l’evidente debolezza del profilo politico del Premier – e a mandare un messaggio inequivocabile ai mercati e alla Cancellerie europee.
Ciò spiega anche a quali criteri risponda la scelta di Carlo Cottarelli come Presidente del Consiglio alla guida di un Governo dalla vita necessariamente breve.
Cottarelli infatti appartiene a uno dei tre soggetti che formano la cosiddetta “Troika”, cioè il Fondo Monetario internazionale (gli altri due sono la Commissione europea e la Banca centrale europea). Per quanto non piaccia sentirselo dire, noi come Paese siamo sotto osservazione perenne, e siamo anche dalla parte del torto. Perché? Perché come ricorda giustamente un altro giurista, Paolo Bonetti: “Anzitutto l’Italia per scelte di tutte le maggioranze politiche dagli anni ‘80 ad oggi (anche quelle di cui il prof. Savona è stato ministro o consulente…) ha un debito pubblico enorme, che è più del doppio dei limiti previsti da decenni nei trattati UE ad ogni Stato membro. Questo debito è stato fatto anche violando in vari modi l’art. 81 Cost. che non a caso è stato recentemente riformato. Questo debito è oggi per i 2/3 in capo a risparmiatori italiani e per un terzo in capo a risparmiatori stranieri. Costoro in qualsiasi momento lo stanno rivendendo ritenendo non più affidabile il debito pubblico italiano. In un contesto del genere non stiamo ragionando in astratto dell’esigenza di riformare i trattati UE, giustissima, ma di ragionare sull’effettiva sostenibilità delle future ingenti spese e del pregresso debito pubblico italiano. In questo contesto finanziario già critico e fuori dai limiti dei trattati UE la nuova maggioranza ipotizza infatti un’enormità di ulteriori nuove spese di cui ancora però non indica tempi e modi di copertura finanziaria, il che ovviamente non può che impensierire ancor più sia i detentori di titoli del debito pubblico italiano, sia i partners dell’euro che si regge sulla disciplina omogenea delle finanze pubbliche degli Stati aderenti.”
Mettendo alla guida del nostro Governo una personalità dalla grande e apprezzata esperienza a livello internazionale, e che conosce bene uno dei tre soggetti che potrebbero chiamarci al “redde rationem”, si rende possibile rassicurare coloro che sono in credito con noi e cercare le vie migliori per evitare soluzioni traumatiche che sfiorerebbero appena i ricchi (le odiose elites) e invece peserebbero come un macigno su quel popolo minuto che i nostri apprendisti stregoni pretendono di rappresentare.
E in fondo, si tratta di un riconoscimento implicito della bontà di quel progetto di revisione della spesa che Cottarelli elaborò cinque anni fa e che venne accantonato forse troppo frettolosamente.
Perché, è ovvio, sacrifici dovremo ancora farne: la cosa decisiva è che siano ripartiti equamente.
La prossima campagna elettorale sarà quindi dominata dalla tematica se il nostro Paese debba o meno alterare quell’aspetto fondamentale della sua Costituzione formale e materiale che è l’appartenenza occidentale ed europea. Va detto che il punto è stato colto da tutte le forze della società civile: associazionismo, sindacati, organizzazioni professionali si sono rapidamente schierate con il Capo dello Stato non perché non vedano la necessità di riformare l’attuale impianto delle istituzioni europee, ma perché avvertono che la rottura del rapporto con l’Europa avrebbe delle serie conseguenze per il nostro Paese non solo in termini economici ma anche in termini istituzionali, mettendo a rischio non soltanto i nostri risparmi, ma anche le nostre libertà.
Ed è un rischio reale.
Lorenzo Gaiani