Prima lezione del Corso di Formazione alla Politica 2024-2025
LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA E I SUOI DILEMMI
Claudio Sardo è un giornalista e scrittore italiano. Ha iniziato la professione giornalistica a Paese Sera. È stato direttore del settimanale delle ACLI Azione Sociale, poi cronista parlamentare dell’agenzia ASCA e de Il Mattino di Napoli, testata nella quale ha lavorato per 17 anni. Dal 2006 al 2011 ha ricoperto l’incarico di segretario dell’Associazione stampa parlamentare. Nel 2008 è diventato notista politico de Il Messaggero di Roma.
Dal 7 luglio 2011 al 16 ottobre 2013 è stato direttore de l’Unità, succedendo a Concita De Gregorio.
Dall’aprile 2015 lavora presso l’ufficio di segreteria del Presidente della Repubblica con compiti di studi e ricerche. (fonte Wikipedia)
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UNA NUOVA STAGIONE DI IMPEGNO
– Note a margine di “Sfidare il realismo” a cura di Claudio Sardo –
Questo libro è il portato di una serie di contributi provenienti da dirigenti dell’associazionismo (Giuseppe Notarstefano di Azione Cattolica, Emiliano Manfredonia delle Acli, Argia Albanese del Movimento dei Focolari, Francesco Scoppola dell’Agesci, Giancarlo Penza della comunità di Sant’Egidio e Ivana Borsotto di Focsiv), esponenti politici (Rosy Bindi, Graziano Delrio, Livia Turco, Mimmo Lucà, Pierluigi Castagnetti, Paolo Ciani … ), personalità del mondo della cultura (padre Francesco Occhetta, Marialuisa Sergio, Ernesto Preziosi, Massimo De Simoni Luisa Corazza, Ernesto Maria Ruffini e Chiara Tintori). Contributi scaturiti da un seminario a porte chiuse organizzato dalle Acli lo scorso 26 marzo, che ha poi deciso di “aprirsi” dando vita nei mesi successivi a una sorta di laboratorio, per dare un contributo fattivo e operativo alla riflessione che si è tenuta nell’ambito della Settimana sociale di Trieste.
I valori in campo sono quelli che conosciamo – e di cui la nostra Costituzione è imbevuta – del personalismo cristiano e della solidarietà evangelica. Qual è allora il punto di novità irrinunciabile? «Non è nemmeno tanto il fatto di essersi scoperti minoranza – spiega Sardo – perché minoranza sono anche gli altri. La vera novità è che la mediazione tradizionalmente presente nell’impegno politico dei cattolici non può più essere evocata come sinonimo di moderatismo. E nemmeno si può evocare un’identificazione fra cristianesimo e civiltà occidentale». Il Papa argentino spiazza ogni connotazione “territoriale” attribuita al cristianesimo, e lo fa in virtù di una visione universale che è da sempre quella della Chiesa, rilanciata in modo esigente – dirompente e quanto mai attuale – su principi e valori come la pace, il rispetto del Creato, la solidarietà fra gli uomini e fra i popoli, che non conoscono e non possono conoscere confini.
«Il Magistero del Papa – prosegue Sardo – è un messaggio di intelligenza della storia capace di innervarsi nella cultura del nostro tempo. È il Vangelo che irrompe sulla scena, chiede un cambiamento radicale e non consente risposte elusive, come se il Papa dicesse la sua, ma poi “la politica è un’altra cosa”, deve mediare». La necessaria mediazione non può eludere il carattere dirompente di quello che la Chiesa indica come urgente e irrinunciabile. Il libro curato da Sardo è, in fondo, il frutto di una consapevolezza condivisa, in ambito ecclesiale: «La politica, oggi, non ci arriva, non è capace di questa radicalità. Non è capace il sistema dei partiti, e nemmeno lo sarà un nuovo partito, una nuova corrente o una lobby».
Il compito dei cattolici democratici, come ricorda nel suo intervento il Presidente delle ACLI Emiliano Manfredonia, è quello di considerare concluso “il tempo nel quale ci si accontenta della difesa (peggio: della pura e semplice enunciazione) dei buoni sentimenti e dei buoni propositi. Le associazioni e ancora di più le comunità parrocchiali (…) devono saper essere riparatrici delle ingiustizie sociali, supplire alla mancanza di istituzioni educanti e, senza crogiolarsi nel buono fatto, devono assumersi la responsabilità di stare nelle ferite delle persone con il coraggio di umiliarsi nella concretezza della vita e darne un’uscita politica”.
L’esperienza storica dei cattolici democratici può essere riassunta in alcuni tratti peculiari:
- La scelta fondante della democrazia rispetto alle molte esitazioni della chiesa e del mondo cattolico a riguardo, se non di vere e proprie deviazioni.
- Una significativa apertura di dialogo con le altre culture, quelle moderne e quelle sociali, con le loro espressioni politiche (in particolare socialiste e comuniste).
- Una scelta di fede spesso profonda, alla ricerca di come la fede potesse coniugarsi con la nuova realtà civile.
Questa esperienza, almeno in Italia ma non solo, si è svolta comunque all’interno del movimento cattolico (politico e sociale); la Chiesa a malincuore decise di dar vita a organizzazioni proprie, di fronte al fatto che altre ideologie le avevano già costituite, e non potendo più pensare di rappresentare l’intero Paese e la sua popolazione.
Tutte queste condizioni oggi o non esistono più o si sono nel tempo profondamente modificate, tanto da richiedere un cambiamento altrettanto radicale da parte del cattolicesimo democratico.
Se consideriamo la democrazia, il problema attuale non sta certamente nell’affermare una fede democratica, ma come e quale democrazia sia possibile oggi, democrazia che è messa seriamente in crisi dal predominio del mercato, dalle tensioni mondiali e migratorie e dalle forti tendenze individualiste (per non parlare della caduta dei partiti, dell’emergere del populismo, ecc…)
La situazione è ancora più difficile per quanto riguarda il dialogo con le altre culture; scomparsi i partiti socialista e comunista, non esiste più un riferimento della cultura di sinistra rappresentativo, e la cultura politica si presenta come un campo variegato di molteplici pensieri individuali. Lo stesso vale per il lavoro e per il sociale; più che forme di pensiero significative e consistenti abbiamo di fronte problemi, esperienze, situazioni, gruppi.
Si sposta radicalmente l’orizzonte e l’asse di riferimento dei cattolici democratici, perché il centro dell’impegno è la società nel suo complesso, nella ricerca di soluzioni e di idee per rispondere ai molti problemi nuovi che la attraversano. Ciò non significa abbandonare i nostri maestri, ma avere presente che in un mondo del tutto mutato le trasposizioni da fare sono notevoli e indispensabili.
I cattolici democratici dovrebbero seguire la strada più volte suggerita da papa Francesco:
- mettere al primo posto il vangelo e la fede (senza un cambiamento serio a riguardo, da parte del mondo cattolico, ci sono poche speranze di cambiare qualcosa);
- partire dai problemi e dalle persone reali (senza cui è impossibile parlare di partiti, sindacati, associazioni.. . oggi perlopiù autoreferenziali e autodifensive);
- collocare tutti i problemi dentro un modo di vedere globale, perché è l’unico modo per fare dei passi in avanti duraturi.
Contrariamente ad una certa vulgata diffusa da altri settori interni alla comunità ecclesiale, la realtà del cattolicesimo democratico non era né univoca né convergente nelle analisi e nelle scelte concrete. Ad esempio, è noto che molti esponenti dell’Azione cattolica, a partire dallo stesso Vittorio Bachelet, ebbero forti riserve verso la cosiddetta “scelta socialista” delle ACLI, mentre alcuni dirigenti dei rami “intellettuali” della stessa AC scelsero pochi anni dopo di entrare come indipendenti nelle liste del PCI, creando non poca tensione nella comunità ecclesiale a partire dalle persone e dalle associazioni a loro più vicine.
E tuttavia in generale costoro condividevano la visione di un pensiero politico che si definisce in primo luogo attraverso la categoria del limite come interno alla politica stessa. L’accettazione della convinzione che la politica non produce salvezza. Che principi e valori la animano sul territorio, e nelle coscienze di quelli che un tempo si chiamavano “militanti”, ma che principi e valori – tutti – non possono essere direttamente versati nelle decisioni della politica e neppure nella legislazione di un Parlamento.
La forza tradizionale del cattolicesimo democratico, nella sua versione intellettuale e politica, stava nel fatto di essere interno (anzi per certi versi di avere la leadership) di una realtà popolare diffusa, assumendone le problematiche e cercando di interpretarle in modo originale e creativo. La secolarizzazione, l’emergere di nuove ed aggressive forme di integrismo militante, la pervasiva forza insieme burocratica e politica del “progetto culturale” ruiniano, e peraltro anche una certa tendenza all’elitismo intellettuale hanno progressivamente estraniato l’establishment del cattolicesimo democratico da questa dimensione popolare, riducendone spesso le linee di ricerca culturale, pur pregevoli a monologhi nel vuoto. E’ del tutto evidente che ogni proposta di tipo riformatore, se viene concepita in assenza del soggetto collettivo che dovrebbe farsene portatore, risulta in ultima analisi priva di fondamento, astratta, limitata alla radice dalla sua incapacità di interagire con la realtà concreta delle persone, le quali sono soprattutto alla ricerca di risposte ai loro problemi che, senza mettere fra parentesi la complessità come fanno i demagoghi e gli integristi di ogni tipo, possano però essere spendibili nel terreno della dinamica politica e sociale.
E’ fuor di dubbio, peraltro, che la cultura cattolico democratica sia stata quella che più direttamente ha contribuito a preparare il Vaticano II, a seguirlo nei suoi sviluppi e a curarne l’applicazione nel nostro Paese. La stessa figura di Dossetti, ad un tempo padre costituente della nostra Repubblica e perito conciliare di punta accanto al cardinale Lercaro, sta a significare una linea comune fra riforma politico-sociale e riforma ecclesiale che peraltro è stata comune a tutti i grandi spiriti che, con alterne vicende, hanno in qualche modo aperto la strada alla riforma ecclesiale del XX secolo.
L’opacizzarsi progressivo di quella stagione di grandi speranze, l’evidente propensione dell’establishment ecclesiastico per i nuovi movimenti “carismatici” privi di agganci diretti con la stagione conciliare o magari anche in velata polemica con essa, se non altro per esigenze di visibilità e potere, la concezione dell’ “ermeneutica della riforma” del Concilio nel senso spesso corrente della parola “riforma”, ossia come arretramento e non come spinta propulsiva, hanno messo in crisi questa impostazione, rendendo incerto anche il cammino della realtà associative tradizionali, e impedendo l’emergere di un’ opinione pubblica e di un vero protagonismo laicale all’interno di una comunità ecclesiale oscillante fra indifferenza e conformismo.
Il cattolicesimo democratico, che ha un’autentica vocazione riformista e quindi aliena da gesti di rottura tanto clamorosi quanto inutili (che ne è stato, in definitiva, del dissenso ecclesiale degli anni Sessanta e Settanta in termini di fecondità di proposta di fede e di vita all’interno della comunità ecclesiale ?) si trovò quindi su di un crinale molto difficile, stretto fra la compressione degli spazi di autonomia del laicato e la difficoltà a dar ragione di una tradizione culturale fortemente connotata in uno scenario culturale ed antropologico sostanzialmente mutato.
L’arrivo di Francesco, evidentemente, ha cambiato il gioco, ma non perché il Papa sia venuto dall’Argentina a Roma a regolare certi conti interni alla Chiesa italiana, di cui non sa e non gli interessa nulla, ma perché nella sua peculiare metodologia – a partire da quella autenticamente riformista per cui è più importante avviare processi e non occupare spazi- egli suggerisce un percorso che definitivamente prende atto del superamento del regime di cristianità e rende la Chiesa libera di parlare apertamente per affermare il concetto dell’unicità e della dignità della difesa umana in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale ma anche nel vivo delle lotte sociali, nell’accoglienza dei migranti, nella difesa dell’ambiente…
In questo senso ha ragione Sardo quando nella sua introduzione ricorda che la costruzione della democrazia è un processo permanente e che, in pari tempo, la democrazia non è garantita per sempre. C’è una “stanchezza della democrazia” che deriva dall’esaurimento di una radice valoriale profonda, e non a caso Sardo cita la famosa sentenza del grande giurista tedesco Ernst – Wilhelm Bockenforde (cattolico e socialdemocratico), per cui «Lo Stato liberale, secolarizzato, vive di presupposti che esso di per sé non può garantire», perché non essendo Stato etico non può incidere sulla sostanza morale della persona: diversamente, rinuncerebbe al suo liberalismo. Bockenforde peraltro riteneva che l’espansione virtualmente illimitata dei diritti individuali, associata alla globalizzazione, ha frantumato dall’interno le comunità di appartenenza e ha assoggettato a corrosiva critica i consueti fattori di omogeneità (costumi, tradizioni, mentalità, fedi religiose, radicamenti territoriali etc) delle comunità statali. L’estremo individualismo dei diritti umani sta smantellando «la forza unificante» della società mentre il processo di globalizzazione getta i cittadini in un anonimo mercato mondiale.
Certamente questa è una sfida per il cattolicesimo democratico, che, nutrendosi di una forte ispirazione religiosa, non può rimanere indifferente di fronte al cedimento delle evidenze etiche che dovrebbero fondare l’azione politica e, più radicalmente, le ragioni stesse della convivenza civile, e le forze di sinistra sembrano più interessate ad affermare le pretese di diritto dell’individualismo piuttosto che a ricostruire le fratture sociali (quella che si chiama “cultura radicale”, che poco ha a che fare con la radicalità, così come il moderatismo non c’entra con la moderazione).
Nello stesso tempo, occorre operare nella realtà quale essa è, per cercare di indirizzarla verso il bene concreto possibile, e in questo senso condivido il pensiero di Sardo per cui se le associazioni ed i movimenti cattolici (non necessariamente tutti) “fossero consapevoli maggiormente di una loro responsabilità collettiva, se avessero il coraggio di forzare le abitudini per dire le cose che pensano con la franchezza di papa Francesco, anche le rappresentanze politiche potrebbero trarre vantaggio dall’incontro e dal confronto. Potrebbe svilupparsi una nuova circolarità. Potrebbe venir fuori più energia e determinazione su alcuni temi chiave”.
Ecco dunque che questo libro può diventare un utile strumento di lavoro, un punto di partenza per una riflessione che è ancora aperta e che dovrà trovare specifici luoghi di riflessione: i Circoli Dossetti si candidano per esserne uno.
Milano, 12 ottobre 2024
File audio da scaricare (clicca sul link)
- Introduzione di Martino Troncatti presidente delle ACLI regionali – 11:16
- Luca Caputo, presidente del Circolo Dossetti presenta il corso e la lezione – 6:53
- Lorenzo Gaiani introduce la lezione e il relatore – 26:31
- Relazione di Claudio Sardo – 49:51
- Domande dei presenti in sala – 19:21
- Risposte di Claudio Sardo – 24:55
- Intervento di Luca Caputo e domande dei presenti in sala – 18:04
- Risposte di Claudio Sardo e chiusura della lezione – 8:27