Prima presentazione della prima edizione italiana del volume. Sabato 1 febbraio 2020 dalle 9.30 alle 13. Centro Congressi casa Cardinale Schuster di Milano, via S. Antonio 5
Da millenni le città inclusive danno volto a quell’economia civica che permette convivenza, cultura, progresso. Eppure da almeno un secolo, queste città/volto stanno venendo trasformate in maschere di ferro in tutto il mondo, anche in Italia, secondo il modello delle enclosures e dello zoning eventualmente giustificati con ragioni igieniche, di sviluppo e di decoro.
L’architetta Marwa al-Sabouni (BBC 100 women 2019) testimonia col suo libro, che è un canto etico di allarme per tutti noi, come tale trasformazione abbia posto una delle principali precondizioni del tremendo conflitto siriano. Architettura e urbanistica sono divenute la magia nera che riduce gli angoli delle case in polvere d’odio e paura. (Stefano Serafini)
Leggi l’introduzione di Paolo Masciocchi a Stefano Serafini
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Premessa di Luca Caputo 08′ 20″
Introduzione di Paolo Masciocchi a Stefano Serafini 25′ 41″
Relazione di Stefano Serafini 62′ 58″
Breve precisazione di Stefano Serafini e domande del pubblico 11′ 04″
Risposte di Stefano Serafini 23′ 55″
Risposta di Paolo Masciocchi 07′ 30″
Domande del pubblico 18′ 57″
Risposte di Stefano Serafini e chiusura di Luca Caputo 15′ 06″
Filmato con le slide che Stefano Serafini ha proiettato durante la lezione.
(56 slide, l’avanzamento avviene ogni 6 secondi)
Introduzione di Paolo Masciocchi a Stefano Serafini
Marwa al-Sabouni è ritenuta una delle donne più influenti a livello globale per la straordinaria battaglia che conduce sul tema della casa e dell’abitare come elemento di coesione sociale, soprattutto perché tale battaglia è condotta in Siria, in luoghi devastati dalla guerra. Questa estate è stata ospite ad Artena, vicino a Roma, della Summer School dell’International Society of Biourbanism (ISB), diretta dall’odierno relatore Stefano Serafini, e ha portato al pubblico italiano il dibattito contenuto nel suo volume. Il contributo di questa giovane architetto è di notevole spessore contenutistico. Si direbbe che sia impossibile che le memorie di una trentenne possano costituire un peso specifico interessante per le convergenze di argomenti complessi che vanno dalla tecnica architettonica alla genesi dei conflitti, eppure la lettura del volume e la sua testimonianza di relatrice competente hanno dimostrato tutta la correttezza e la coerenza dell’impostazione editoriale.
Il volume propone una tesi oltremodo originale e assolutamente fondata. Le strategie urbanistiche sono un elemento chiave per determinare la maggiore aggregazione di una comunità o il suo disfacimento, nonché possono costituire l’eziologia dei conflitti sociali. La Siria ha offerto questo panorama in entrambe le declinazioni, e nello spazio di vita di una generazione è stato possibile conoscere le due facce di questa medaglia. Città come Damasco e Homs, prese ad esempio nel volume, hanno mostrato nel tempo che le contrapposizioni sociali non nascono laddove vorrebbe la retorica di talune letture superficiali contemporanee: in particolare occorre scagionare dalle accuse le ravvicinate differenze culturali e le religioni presenti in un popolo. Per secoli la Siria ha vissuto stagioni di scambi, commerci, passaggi, che hanno arricchito un carattere aperto e al contempo attento alla composizione delle tradizioni, senza che i fattori differenziativi più evidenti per i nostri media contemporanei rappresentassero un problema dirimente.
Aderenti all’Islam e al cristianesimo non hanno mai provocato una guerra per la stringente ragione della fede, e i conflitti non sono stati prodotti direttamente né per via delle differenze sociali, né a causa delle distanze geo-sociali della campagna e della città. L’incrocio arricchente di esperienze storiche e architettoniche è stato visibile nei suk e nei centri storici, così come nelle organizzazioni rurali e nelle periferie, e ciò pur in una dimensione di naturale differenza percepita nelle comuni rivalità culturali dei luoghi. Il cambiamento che ha mobilitato uno stato di degrado progressivo della vita siriana si è generato con la colonizzazione culturale europea, specie di area francese. La pianificazione urbana importata da figure di scuola modernista (emblematico il caso di Michel Ecochard a Damasco) ha modificato in modo repentino il sentire comune, polarizzando interessi economici speculativi e generando progressivo contrasto sociale.
La ricostruzione radicale di parti importanti delle città siriane è avvenuta secondo un tema caro ai discepoli di Le Corbusier, ossia la ridefinizione degli spazi, per aggregare, intorno a centri di interesse precisi, l’attenzione patrimoniale delle città. Tutto ciò è avvenuto senza alcun rispetto delle tradizioni costruttive locali e degli equilibri tra elementi di decoro urbano che, nei secoli, avevano sviluppato l’identità sociale nella misura delle realizzazioni concrete visibili da tutti. Il senso della novità e la persuasione delle classi medie ad abbracciare i contorni di questo sentire, nel contrasto con il passato verso la novità razionalista e allusiva a nuove ricchezze (tipico segno del modernismo), ha generato un’attrazione smodata per questi modelli, che hanno trovato terreno fertile anche grazie alla corruzione che tali atteggiamenti hanno stimolato nelle amministrazioni pubbliche.
È pertanto possibile definire un ambito di criminogenicità della scelta urbana, a partire dalla considerazione del valore economico, culturale e sociale dell’approccio al cambiamento offerto, e questo è chiaro in Siria a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Laddove si è inteso intervenire per portare il modello del cambiamento modernista, le tensioni sono cresciute. Le tecniche di enclosures e di zoning (aggiornate al contesto siriano) sono le principali responsabili del progressivo degrado, nell’ambito della pianificazione urbana.
Con le prime, si portava a maturare un approccio nuovo agli ambienti rurali, semirurali e artigianali e alle strutture urbane informali esterne alla città. Nei primi anni del millennio, luoghi come Baba Amr, tradizionalmente visti come poco interessanti per gli abitanti delle città, subirono una speculazione edilizia travolgente e così feroce da alimentare i conflitti delle nuove generazioni. Perduta nel tempo la base tradizionale della fede religiosa quale collante sociale, i due esiti di tale trasformazione, l’integralismo e il materialismo laico, furono entrambi alimentati dall’odio sociale generato dalle prevaricazioni delle amministrazioni.
Lo zoning (zonizzazione) è una tecnica nota nelle città europee, per la quale gli ambiti urbani furono suddivisi, nel corso dei più recenti periodi dell’industrializzazione, in aree funzionali e legate alle esigenze economiche della produzione e dello sfruttamento patrimoniale della città. In Siria tale approccio, ridimensionato al territorio delicato dei centri storici e delle periferie, ha prodotto l’aumento delle differenze sociali e una costante pressione a misurare l’interesse civico sulla base dei modelli di arricchimento modernisti legati allo sviluppo urbano. Il paradosso è insito, per dirlo con Marwa al-Sabouni, nella tendenza ad abbracciare questo senso di distruzione come unica risorsa di desiderio sociale, vista la continua perdita dell’identità dei luoghi.
La guerra non è stata altro che l’epigono di tali eventi. L’autrice è attenta a non affermare che l’urbanistica e l’architettura sia l’unica base dei conflitti, ma comunque ne è una concausa importante. Colpisce un’immagine lasciata tra le pagine del libro: la disperata ricerca di elementi di identità tra le rovine degli edifici da parte dei cittadini dopo i bombardamenti, una reazione psicologico-sociale volta alla ricerca di qualcosa che è perso dentro di sé, oltre che nell’ambiente, e sfogo di una frustrazione ben più risalente delle distruzioni dei mortai e dei missili.
In questa esposizione dei contorni principali del volume, la figura di Marwa al-Sabouni è centrale non solo nei ricordi, ma anche nell’esperienza di architetto, prima come studiosa figlia riconosciuta del suo popolo e poi parìa, combattuta dalla diffidenza della sua stessa patria, quando i propri progetti di riqualificazione urbana vennero premiati con riconoscimenti importanti. Ne emerge una figura delicata e imponente nello stesso tempo, davvero simile ad alcuni caratteri del Paese che ne ha dato i natali. Il contributo dell’architetto e della donna non sono mai disuniti, e tuttavia è evidente un appello, che deve poter crescere e trovare supporto. La Siria può essere aiutata nella misura in cui le basi della ricostruzione sono intese nella loro portata complessa, e possano essere supportate da una rete globale capace di intervenire in tale complessità, riconoscendo anzitutto che errori sociali, economici e culturali sono presenti e vivi anche nella nostra patria, feriscono noi stessi con la stessa ferocia disumana di una guerra, e ci rendono responsabili delle scelte di discordia o concordia per le nostre generazioni.
Paolo Masciocchi
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- Premessa di Luca Caputo 08′ 20″
- Introduzione di Paolo Masciocchi a Stefano Serafini 25′ 41″
- Relazione di Stefano Serafini 62′ 58″
- Breve precisazione di Stefano Serafini e domande del pubblico 11′ 04″
- Risposte di Stefano Serafini 23′ 55″
- Risposta di Paolo Masciocchi 07′ 30″
- Domande del pubblico 18′ 57″
- Risposte di Stefano Serafini e chiusura di Luca Caputo 15′ 06″