I dubbi intorno al cattolicesimo democratico si agitano da due decenni tra due mantra: il tantum aurora est, con il quale papa Giovanni XXIII annunciava il Concilio Ecumenico Vaticano II, e il dossettiano Sentinella quanto resta della notte, pronunciato a Milano il 18 maggio 1994 durante la commemorazione di Giuseppe Lazzati, che servì all’ex leader della sinistra democristiana per mettere in guardia dalle incipienti voglie di principato.
È qui che bisogna scavare, in questa perdurante “transizione infinita”, così come la chiamò Gabriele De Rosa. Perché gli effetti della politica in transizione sono tutt’altro che irrilevanti: in essa vengono macerate non soltanto le forme del politico, ma anche le culture che dovrebbero legittimarle. E come spesso accade, trovi in giro il richiamo della foresta, ma non ci sono più le foreste.
Non sono soltanto le forme del politico ad esserne interessate, ma quell’enigma storico che è costituito dall’indole degli italiani. Si è creato un vastissimo ed evidente spazio di indeterminatezza tra le diagnosi sulla fase e la decisione politica. I narcisismi dilaganti e i populismi hanno sostituito l’idea di “progetto”, comune alle politiche con fondamento, esibendo forme ed esiti giudicabili solo a posteriori. Quel che soprattutto difetta è un punto di vista dal quale osservare per prendere posizione. Pare a noi che il cattolicesimo democratico, perfino nei suoi reducismi, sia un’utile miniera nella quale addentrarsi per recuperare reperti utili alla costruzione di un punto di vista possibile.
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