Romano Prodi. La mia visione dei fatti.

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Corso di formazione alla politicaNel corso dei 5 anni del mandato Prodi, l’Europa ha portato a compimento alcuni dei più importanti cambiamenti della sua storia: l’ultima fase del passaggio all’Euro, la redazione della Carta Costituzionale e l’adesione all’Unione Europea (UE) – il 1° maggio 2004 – di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Ungheria.

Romano Prodi. La mia visione dei fatti.

1. leggi il testo dell’introduzione di Vincenzo Sabatino

2. leggi la trascrizione della relazione di Romano Prodi

3. clicca sui link sottostanti per ascoltare i file audio mp3

presentazione di Giovanni Bianchi (5’07”) – introduzione di Vincenzo Sabatino (15’24”) – relazione di Romano Prodi (52’30”) – prima serie di domande (5’43”) – risposte di Romano Prodi (19’12”) – seconda serie di domande (8’42”) – risposte di Romano Prodi (13’14”) – terza serie di domande (4’12”) – risposte di Romano Prodi e conclusione (8’58”)

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Testo dell’introduzione di Vincenzo Sabatino a Romano Prodi

Introduzione

Interpretazione politica del ruolo di Presidente della Commissione Europea

Nel corso dei 5 anni del mandato Prodi, l’Europa ha portato a compimento alcuni dei più importanti cambiamenti della sua storia: l’ultima fase del passaggio all’Euro, la redazione della Carta Costituzionale e l’adesione all’Unione Europea (UE) – il 1° maggio 2004 – di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Ungheria.

Alla fine degli anni ’90 si era arrivati ad una Commissione che amministrava politiche piuttosto che concepirle. Nel 1999 gli Stati Membri (SM) erano 15 e la Commissione era giunta ai limiti del suo adattamento. Questo portò ad una paralisi dei lavori. Serviva una riforma organica in vista del nuovo imponente allargamento che avrebbe portato nell’Unione i nuovi paesi membri e con essi un elevato numero di nuovi commissari. Il prestigio della Commissione europea era ai suoi minimi storici. Jacques Santer – precedente presidente – era stato travolto da alcuni casi di nepotismo e corruzione. Su pressione del Parlamento Europeo ci furono le dimissioni in blocco della sua Commissione nel 1999. Inoltre, serviva una cura contro la disaffezione che aveva colpito il progetto comunitario nel corso degli anni ’90, una cura contro un certo mal d’Europa.

Il Consiglio Europeo di Berlino del Marzo 1999 conferisce a Romano Prodi il mandato esplicito di riformare la Commissione, l’istituzione che aveva assicurato per oltre mezzo secolo l’avanzamento del processo di integrazione. Riformare la Commissione era difficile. Di riforma della Commissione si era parlato da sempre. Era un’impresa ardua e portarla a termine avrebbe avuto una rilevanza storica. Se la Commissione avesse fallito nel portare a termine una seria riforma interna, ci sarebbero state delle ricadute negative su tutte le altre politiche, in primo luogo sull’allargamento. Nel frattempo l’evoluzione dei trattati aveva portato ad uno sviluppo della figura del presidente della Commissione europea, che era investito adesso di un compito importante, ancor più che in passato, indicare il cammino, proporre la sua visione, e al quale si garantivano più poteri nei confronti dei singoli commissari proprio per poter pretendere una squadra coesa e forte.

Solo un approccio politico avrebbe potuto consentire il recupero di immagine e credibilità necessario dopo la profonda crisi istituzionale della Commissione seguita agli eventi del 1998 e 1999, probabilmente la crisi più grave di tutta la sua storia. “… non ho mai pensato di dover giocare il ruolo di un alto diplomatico, né, a differenza di altri, ho mai creduto che la Commissione fosse un semplice comitato di saggi o di burocrati illuminati. La missione storica della Commissione era e rimane a mio avviso quella di evolvere fino a diventare un vero e proprio Governo Europeo. So che questa idea rimane un obiettivo ancora lontano. Per questo intendevo dare un’impostazione politica al mio mandato”. A testimoniare l’interpretazione politica del ruolo di Presidente della Commissione da parte di Romano Prodi ci sono due episodi: 1) la scelta dei commissari, condivisa con i governi degli SM; 2) il trasferimento dei vari commissari presso i loro rispettivi servizi. Fino alla Commissione Santer, il presidente e i commissari avevano alloggiato tutti nello stesso edificio. Rinviare i commissari ciascuno presso i propri servizi significava, implicitamente, attribuire loro un ruolo di Ministri Comunitari.

Romano Prodi è il primo presidente politico della Commissione. Sono chiari, durante il suo mandato, questi obiettivi: “… ho interpretato il mio ruolo di presidente della Commissione come un ruolo principalmente politico e quello della mia squadra come quello di una vera e propria squadra di governo in divenire”

Sfide globali e interdipendenze

Mai prima d’ora i destini e le vite degli uomini di tutto il mondo sono state così strettamente legati e interconnessi dal commercio che non conosce barriere, dai mercati finanziari, dalla televisione satellitare, dalla telefonia mobile e naturalmente da internet. Skype, Google, Yahoo! Amazon, Ebay sono i simboli di questa trasformazione. Oggi viviamo in un mondo che è globale e allo stesso tempo molto frammentato in cui vi sono crescenti interdipendenze che non vengono però governate. Le nuove sfide del nostro tempo sono la globalizzazione, il cambiamento climatico e le nuove minacce come il terrorismo internazionale. Sfide a cui non si può rispondere senza un’azione europea. Ciascuno di questi problemi esiste in una fitta rete di connessioni e interdipendenze che sfugge inevitabilmente alla possibilità di controllo di qualsiasi governo nazionale. Per trovare soluzioni a questi problemi è dunque necessario sedersi ad un tavolo e trattare tutti insieme, grandi e piccoli, Nord e Sud. La forza dell’Europa sta nel dialogo, nello stato di diritto, nella sua capacità di esportare pace e prosperità

Nuovo Corpo Europeo

L’insieme di tutti i cambiamenti, le visioni, le strategie e le idee per far compiere all’Europa un forte balzo in avanti e dotarsi di un Nuovo Corpo Europeo al fine di rafforzare la propria posizione nell’ambito della politica internazionale e delle istituzioni internazionali per essere un protagonista attivo del futuro

Mission

Gestire il passaggio dell’Unione Europea (UE) dalla fase continentale alla fase globale, progettando l’Europa del futuro attraverso l’azione di un Governo Europeo in divenire. Progettare la Nuova Europa, un’Europa unita negli obiettivi, ferma nei suoi valori, differenziata al suo interno, flessibile, efficace e creativa nei suoi rapporti con i vicini e proprio per questo credibile sulla scena globale

Sintesi dei contenuti del libro do Prodi

Keywords

Allargamento

La parola allargamento descrive il processo in termini tecnicamente corretti ma politicamente neutri. Indica bene l’ingrandimento della dimensione territoriale, economica e commerciale della nostra Unione. Tuttavia, poco o nulla dice del dato più politico o storico. L’allargamento ha:

  1. accresciuto la dimensione dell’UE, soprattutto per averla avvicinata a quegli ambiti territoriali di importanza strategica essenziale come la Russia e il Medio Oriente che si trovano adesso appena al di là delle nostre frontiere, dando origine così ad una nuova politica di vicinato;
  2. esportato democrazia, pace e stabilità;
  3. permesso di realizzare gran parte dell’unificazione del continente

Unificazione

La CEE prima e l’UE poi hanno indicato nella forza del diritto, l’alternativa pacifica e durevole al diritto della forza nelle relazioni tra Stati. E’ da questa nuova visione che è germogliata quella proposta politica e ideale di unificazione che è una novità assoluta nella storia delle relazioni tra i popoli. Un’idea innovativa da riuscire ad affermarsi per la sua forza intrinseca, attraendo lentamente ma inesorabilmente tutti i nostri vicini. Per questo processo democratico e consensuale, fatto di progressivo avvicinamento e comprensione reciproca, il termine unificazione resta quello più adeguato. L’unificazione è stata la priorità della Commissione sotto la presidenza Prodi ovvero l’ingresso simultaneo di 10 nuovi Stati nel 2004: “… abbiamo assistito per la prima volta all’unificazione pacifica del continente.”

Riunificazione

Qualcuno ha parlato di riunificazione dell’Europa. E’ un termine addirittura fuorviante. Rimanda ad un’idea di unità antica che non è mai esistita in passato se non frutto di sanguinose guerre

Frontiere Aperte

Quello di frontiera è un concetto intimamente legato all’idea di nazione, di sovranità territoriale, di esercizio del potere, di identità politica, culturale e linguistica. Il presidente Prodi riteneva che fosse necessario esportare l’idea di Robert Schuman di “frontiere svalutate”: l’idea di frontiera che da tradizionale luogo di divisione si fa nuova area di incontro e cooperazione. Bisognava promuovere “frontiere aperte”che fungessero da ponti, da luoghi di passaggio, che diventassero, da vecchie periferie, i nuovi centri nevralgici della costruzione europea. Parlare di “frontiera aperta” significa prendere atto che le frontiere nazionali sono oramai inadeguate perché non coincidono con l’ampiezza dei problemi da risolvere

Politica di Vicinato

Una unificazione europea sempre in progress generava continuamente nuovi vicini. Diventava pertanto necessario promuovere una nuova politica di vicinato. La politica di vicinato avviata dalla Commissione Prodi si basa sull’idea di prossimità. Tessere legami sempre più stretti con quell’anello di paesi amici che avrebbe circondato l’Unione dopo il grande allargamento. L’Unione doveva diventare per tutte le regioni confinanti non solo il nuovo principale riferimento geopolitico, ma anche e prima di tutto un nuovo faro in tema di democrazia, prosperità e stabilità. Di fatto, ogni allargamento ha sempre creato nuovi vicini. In passato, molti di essi sono diventati membri, ed è stato un processo che ha dimostrato di funzionare molto bene.

Non si poteva più andare avanti ad estendere l’area di sicurezza, stabilità e prosperità nella nostra regione sempre e soltanto con lo strumento dell’allargamento, avrebbe rischiato di diluire il progetto politico e trasformare l’Unione in una grande area di libero scambio di dimensioni superiori a quelle continentali. La nuova politica di vicinato è nata quindi con questa ambizione: continuare a innescare le logiche, a mettere in moto riforme, e per certi versi a perseguire gli stessi obiettivi di stabilità, prosperità e solidarietà promossi storicamente attraverso l’allargamento, senza tuttavia dover più necessariamente sfociare nella piena adesione che l’allargamento comporta. Stabilire relazioni sempre più strette tra l’Unione e i suoi vicini attraverso forme di cooperazione politica, economica e finanziaria in grado di coinvolgere tanto i paesi del bacino mediterraneo, quanto i vicini dell’Est e la Russia. Questa visione assumeva un’importanza enorme nei confronti dei paesi europei al momento non candidati all’Unione viste le condizioni di sviluppo istituzionale, democratico ed economico, ma ai quali l’Unione doveva dare una nuova prospettiva grazie ad una concezione innovativa dei rapporti tra UE e paesi terzi.

Gli strumenti a supporto della politica di vicinato erano ben consolidati ed efficaci: gli Accordi di Partenariato e Cooperazione e gli Accordi di Associazione in vigore. Sulla base di questi strumenti testati, la Commissione Prodi ha provato a costruire qualcosa di nuovo che prevedesse la possibilità di concludere, in una seconda fase, un nuovo tipo di accordi di vicinato che rappresentassero meno dell’adesione ma più di un partenariato e questo senza escludere l’adesione sempre e in modo categorico. L’idea era di partire da un mercato comune tra l’UE e i suoi partner che prevedesse anzitutto il libero scambio, ma anche un regime aperto degli investimenti, una forte convergenza di legislazioni e l’euro come valuta di riserva e di riferimento nella transazioni bilaterali. Dato che l’Unione è molto più di un mercato comune, la politica di vicinato doveva valorizzare anche le altre dimensioni della costruzione europea. Una politica di vicinato molto pratica che prendesse spunto dalle esperienze interne come quella della Gran Bretagna relativamente all’accordo di Schengen e all’euro. Una politica che avrebbe permesso vari gradi di partecipazione e una gestione strategica e coerente di vari status speciali

Multilateralismo ad Alta Densità

In politica estera la visione dell’Europa si chiama Multilateralismo, un modo per intendere le relazioni internazionali come il risultato di molteplici forze in gioco, tutte legittime e in grado di influire sulle decisioni più importanti, sul destino del mondo, con l’obiettivo di assicurare una migliore governance mondiale e regionale e minori disparità tra Nord e Sud. In sintesi potremmo dire che è un grande modello di concertazione per affrontare le sfide globali. E’ una metodologia che risiede nel DNA della UE, che ha sperimentato in tutti questi anni al suo interno, e ha funzionato, creando pace e stabilità. Un modo per gestire le relazioni con Cina, Russia e USA.

Il modello europeo di convivenza tra i popoli finirà per convincere tutti che non vi sono alternative, perché pace e prosperità divengano un circolo virtuoso a cui ciascun paese possa essere associato. Il Multilateralismo ad Alta Densità è il segreto del successo europeo che solo può garantire le risposte necessarie per parlare ad un’Africa dimenticata, ad un Medio Oriente paralizzato, ma anche per gestire tutte le altre sfide con cui siamo oggi costretti a confrontarci: dal cambiamento climatico alla sicurezza energetica, dalla gestione dell’immigrazione al terrorismo internazionale, tutte inevitabilmente sottomesse all’implacabile legge dell’interdipendenza.

In sintesi, il Multilateralismo ad alta Densità:

  1. è una necessità;
  2. è connesso agli ideali che ispirano l’Europa: valore del dialogo, del confronto aperto, dello scambio costruttivo che sono stati alla base dello stesso progetto di integrazione comunitaria;
  3. è il metodo con cui abbiamo risolto e superato la rivalità distruttiva per l’intero continente tra Francia e Germania

Capitali, innovazione e ricerca come strumenti per la competitività

Capitali, innovazione e ricerca, sono gli “strumenti del mestiere” necessari all’Europa per competere nell’economia globale. In Europa la crescita delle imprese rimaneva frenata dalla mancanza di un mercato dei capitali europeo veramente integrato. In particolare, l’Unione è assai più arretrata degli Stati Uniti nel campo del capitale di rischio (es. venture capital), importantissima fonte di finanziamento per il sostegno delle aziende. L’attenzione del presidente Prodi si era rivolta in particolare alla straordinaria performance dell’economia americana nel corso degli anni ’90 cresciuta proprio sull’interazione fra innovazione, tecnologia e capitale di rischio. Da sola nessuna di queste 3 condizioni sarebbe stata sufficiente per rafforzare e sostenere la crescita economica, mentre insieme avrebbero creato la dinamica necessaria.

La competitività dell’Europa dipendeva da:

  1. il Capitale di rischio. Negli Stati Uniti il capitale di rischio ha favorito moltissimo non solo la cooperazione tra imprese e università, ma anche l’avvio di attività imprenditoriali ad alta densità tecnologica da parte di ricercatori universitari (c.d. economia della conoscenza). Una tendenza che andava stimolata anche da noi;
  2. il marketing dell’innovazione. La capacità di stare sul mercato globale da parte del sistema Europa dipende dalla diffusione della tecnologia. L’Unione rimane fortissima nella ricerca accademica di base, ma i ricercatori e le imprese europee non capitalizzano la conoscenza nelle tecnologie di punta anche a causa dell’assenza di un brevetto comunitario;
  3. la ricerca. E’ molto frammentata. La Commissione Prodi propose lo Spazio Europeo della Ricerca. In più, a Barcellona nel 2002, su iniziativa della Commissione, il Consiglio europeo accettò di fissare l’obiettivo di destinare, entro il 2010, il 3% del PIL per la spesa di ricerca. Svezia e Finlandia lo avevano già raggiunto. “… solo la conoscenza assieme a regole chiare e giuste per favorire lo spirito creativo e l’imprenditorialità, potrà permettere all’Europa di continuare a crescere socialmente ed economicamente…”

Patto di Stabilità

Approvato nel 1997 prima dell’adozione dell’euro per assicurare che venissero rispettati i requisiti necessari per l’adesione all’Unione economica e monetaria. In sintesi esso prevede limiti al deficit e al debito pubblico degli SM e un sistema di sanzioni che culmina, nei casi estremi, dopo ripetuti richiami, in vere e proprie multe. Questo sistema di regole ha consentito di evitare evoluzioni insostenibili dei conti pubblici nei paesi dell’area euro

Introduzione dell’Euro

Con l’euro si completa l’Unione economica e monetaria. Con l’euro per la prima volta nella storia un gruppo di Stati nazionali ha deciso di cedere ad istituzioni comuni uno dei poteri più intimamente legati all’idea stessa di sovranità statale: il potere di battere moneta. L’euro è un simbolo concreto dell’idea di cittadinanza europea e una prova tangibile dell’appartenenza all’Unione. Più di 300 milioni di cittadini hanno in mano l’euro.

I vantaggi della moneta unica:

  1. ha eliminato l’incertezza dei tassi di cambio all’interno della zona euro, mettendo fine all’instabilità dell’inizio degli anni ’90;
  2. per l’Italia ha voluto dire tassi di interesse più bassi e quindi un grande risparmio sugli interessi che lo Stato paga sul debito pubblico. Un risparmio di dimensioni enormi nel caso di un paese ad altissimo debito come l’Italia Governo Economico Europeo

Esiste l’Europa delle regole ma non c’è quella della governance. Esiste un’integrazione negativa dell’abbattimento delle barriere, ma ne manca una positiva a causa dell’assenza di un governo europeo delle scelte. Oggi la gestione dell’economia europea si svolge attraverso 3 attori e un parametro: Ecofin, BCE, Commissione e Patto di Stabilità. Si tratta di un triangolo di regole, non di governo. Regole indispensabili, ma insufficienti per permettere all’Europa di crescere e di sfruttare appieno, a livello europeo, le potenzialità dell’Unione economica e monetaria.

L’UE rappresenta la prima potenza economica mondiale, dotata del mercato più grande e di una moneta che si afferma ogni giorno di più come punto di riferimento degli scambi globali. In termini pratici, vuol dire che le regole dell’economia internazionale non potranno definirsi senza il contributo dell’Europa. L’Euro implica la necessità di una governance economica a livello europeo, a cui affidare il coordinamento delle politiche economiche, dato che implica la cessione della sovranità nazionale in materia di politica monetaria alla Banca Centrale Europea a cui è affidata la politica monetaria dell’area dell’euro. Con l’introduzione dell’euro era sempre più evidente la necessità di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nazionali nella prospettiva di arrivare nel lungo periodo alla formazione di un vero e proprio Governo Economico dell’Europa.

Le proposte della Commissione Prodi in questa direzione furono:

  1. allineare le leggi finanziarie dei diversi Stati per ridurre le asimmetrie tra la politica monetaria centralizzata e le politiche economiche nazionali;
  2. identificare una rappresentanza unica della zona euro presso le istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM) e i gruppi informali G7 o G8;
  3. riunire stabilmente attorno ad un tavolo i ministri dell’Economia dei paesi membri per far scegliere loro un rappresentante unico – un “ministro del tesoro europeo” – dotato di pieni poteri di azione e di rappresentanza

Integrazione economica “negativa” e “positiva”

Nella prima fase del processo di costruzione comunitaria, l’obiettivo dell’integrazione economica ha portato a concentrare gli sforzi sull’integrazione negativa. Si trattava di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione, di rimuovere le barriere al commercio e di aprire alla concorrenza alcuni settori come le tlc, i servizi postali, i trasporti o l’energia. Si trattava di liberalizzare in maniera controllata, aumentando il numero dei concorrenti e diminuendo i prezzi. Tuttavia come ha detto Jacques Delors: “non ci si può innamorare di un mercato unico”. Questo implica la necessità di realizzare anche un’integrazione positiva attraverso l’istituzione di un governo economico europeo in grado di effettuare delle scelte

Sussidiarietà e cooperazione

Le due parole magiche che accompagnano la riforma interna della Commissione (sistema direzionale) sono sussidiarietà e cooperazione. In pratica, semplificazioni, razionalizzazioni e rinunce ai compiti puramente esecutivi e tecnici che distraevano l’istituzione dalla sua missione originaria, quella di elaborare politiche per l’Europa. La verifica ex post e la competenza concorrente della Commissione e degli organi nazionali hanno dato vita ad un complesso di norme tese a realizzare una maggiore e più forte cooperazione. Questo nuovo approccio, entrato a regime con il nuovo regolamento il 1° Maggio 2004, corrispondeva pienamente a quella che era ed è un’area integrata fatta di più livelli complementari che cooperano sulla base della sussidiarietà, della fiducia reciproca e della messa a sistema delle risorse

Governance dell’Europa

Rimaneva l’altra questione. La riforma dell’assetto istituzionale con l’obiettivo di evitare che il passaggio da 15 a 25 e poi a 27 paralizzasse il funzionamento dell’Unione. Venne redatto il Libro Bianco sulla Governance (2001). Segnò un processo per l’avvio di una riforma politica che avrebbe avuto come prosecuzioni ideali la riforma dei trattati e la nuova Costituzione. Si trattò di un serio tentativo da parte della Commissione di rispondere all’insufficienza politica e istituzionale dell’Unione. L’obiettivo principale indicato nel Libro Bianco sulla Governance era quello di rilanciare il metodo comunitario, il metodo classico che vede la Commissione all’origine del processo normativo e il Parlamento e il Consiglio dei Ministri in qualità di co-legislatori. Il metodo alternativo, quello intergovernativo, andava troppo a vantaggio di interessi particolari nazionali. Il Consiglio e il Parlamento dovrebbero occuparsi degli aspetti normativi ordinari, degli orientamenti politici generali, mentre la Commissione dovrebbe vedersi attribuita la responsabilità politica per l’azione e la direzione intraprese dall’Unione. Questa è l’idea originaria alla base del metodo comunitario ideato dai padri fondatori dell’Europa e questa è stata l’interpretazione del presidente Prodi del ruolo della Commissione all’interno dell’edificio comunitario. Un motore piuttosto che un ingranaggio, un governo per l’Europa piuttosto che una semplice burocrazia
Convenzione Europea per la redazione del Testo Costituzionale (Bruxelles 2002 – Roma 2003)

Una delle attività più importanti della presidenza Prodi è stata di sicuro la promozione della Convenzione europea del febbraio 2002 sul Futuro dell’Europa in cui viene messo a punto, sotto la Presidenza Giscard d’Estaing, il testo della Costituzione Europea. Si pensava di preparare una grande riforma costituzionale attraverso una Convenzione: una sorta di assemblea costituente in cui fossero rappresentati tutti gli attori di spicco del dibattito istituzionale. Sicuramente uno dei più grandi esperimenti di democrazia dei nostri tempi moderni. Questo progetto doveva raccogliere la sfida di porre le basi per una democrazia sovranazionale. L’Europa poteva muovere i primi passi verso lo sviluppo di un’identità politica nei campi della politica economica, della politica estera, della giustizia e della sicurezza, in tutte quelle aree, cioè, nelle quali i cittadini chiedevano e chiedono una maggiore presenza dell’Europa. L’obiettivo era la capacità dell’Unione di agire sulla scena internazionale.

I punti principali della Convenzione sono:

  1. parlare con una sola voce in tutti gli ambiti delle relazioni esterne (Ministro degli esteri europeo, poi introdotto dal Consiglio europeo del giugno 2007, Commissione Barroso);
  2. rivedere il meccanismo decisionale. Più decisioni a maggioranza rispetto alla datata e macchinosa cooperazione intergovernativa che esige l’unanimità degli Stati. Un’Europa a 27 non può più permettersi di essere bloccata dal veto di questo o quello Stato;
  3. la fusione dei 3 pilastri. La proposta Prodi-Amato tendeva a limitare il testo propriamente costituzionale – e quindi la parte da rivedere all’unanimità – alle prime due parti del nuovo Trattato (l’una contenente i principi istituzionali e l’altra recante la Carta dei diritti fondamentali; punto di riferimento dei cittadini europei per la salvaguardia dei loro diritti in sede comunitaria), lasciando fuori la terza che riprendeva tutte le disposizioni settoriali relative alla politiche elaborate a partire dal Trattato di Roma del 1957. Se tale proposta fosse stata fatta propria dalla Convenzione, il testo costituzionale sarebbe risultato molto più facile da leggere, da capire e forse anche da ratificare;
  4. la personalità giuridica. L’attribuzione all’Unione della personalità giuridica necessaria per agire sulla scena internazionale come attore pieno e riconosciuto. Un altro dei passi necessari per rendere l’Europa più forte

Cittadinanza e Solidarietà

E’ difficile pensare che un individuo sia veramente disposto a spendere delle energie per mettersi d’accordo con un altro individuo se non condivide con lui un’ideale comunità di destino. Per questo il concetto di cittadinanza è strettamente legato a quello di solidarietà

Domande:

  1. Qual è adesso la Sua “visione dei fatti” a circa 3 anni dall’uscita di questo libro dati anche i tanti accadimenti internazionali tra cui la crisi economica?
  2. Da quando è scoppiata la crisi, fine Settembre 2008, quali sono stati i provvedimenti più importanti adottati dalle diverse amministrazioni americane ed europee oltre che dalle istituzioni economiche finanziarie formali ed informali (es. G2, G7, G8 e G20) per far fronte alla crisi? Ci può riordinare un po’ le idee?
  3. Come ritiene sia stata affrontata la crisi economica dal governo italiano? Cosa avrebbe fatto Lei?
  4. Perché la Germania cresce al 2,2% e noi no? Quali sono i fattori materiali e immateriali di quella economia che determinano questa performance?
  5. Ci può spiegare bene il caso FIAT? Non si è capito bene di chi è la colpa della mancanza di competitività dell’azienda in Italia. Del management, dei lavoratori o del governo?

 

Trascrizione della relazione di Romano Prodi

Prima di tutto vi ringrazio davvero di questo invito che ho gradito e che interpreto come un’oretta di riflessione comune su quello che sta succedendo e ringrazio molto Vincenzo Sabatino per la introduzione, proprio perché ha chiuso quello che è il contenuto del libro che ormai ha tre anni, ma è vecchio. Le cose sono oggi talmente rapide, si sono talmente evolute che vorrei fare un discorso su quello che sta avvenendo oggi. Non siamo mica qui a studiare il passato o a prendere la libera docenza. Stiamo qui per cercare insieme di capire quello che sta succedendo nel mondo di oggi. E siccome ne succedono di tutti i colori ci divertiamo.

Allora, il libro di cui Sabatino ha fatto il riassunto è un discorso che riguarda solo l’Europa e io voglio riflettere sull’Europa nel mondo, su quello che sta succedendo intorno anche all’Europa. Quando parlo di queste cose parto da una domanda che mi è stata fatta mentre tenevo una conferenza di questo tipo. Parlavo dell’Europa, delle conquiste fatte, di quello che ci si prospettava, delle difficoltà dei problemi nazionali e dopo questo lungo discorso uno studente dei miei corsi cinesi mi ferma e mi dice: “Ma, professore, l’Europa è un laboratorio o è un museo?”. Ed è una domanda di un’intelligenza tale perché abbiamo fatto questo  enorme sforzo di unificazione del continente, di passaggi in avanti, di creare un concetto nuovo di stato. L’Europa è una cosa grossa, il tentativo di superare il concetto di stato moderno che da secoli domina e che ha causato le guerre e le tensioni che tutti noi conosciamo.

Però molto spesso il discorso dell’Europa è rivolto al passato, vede un presente molto bloccato, vede le difficoltà del futuro e giustamente lo studente estraneo al nostro sistema mi chiede: “Ma lei parla di un laboratorio o parla di un museo?”. Oggi quello che noi vogliamo vedere è se in questo mondo di oggi noi possiamo essere protagonisti o non lo siamo.

Mi pare una riflessione molto semplice. Il XIX secolo è stato il secolo dell’Europa, il XX secolo è stato certamente il secolo dell’America e in teoria anche il XXI secolo doveva essere il secolo dell’America, ma questo primo decennio mostra una rapidità di movimenti che nessuno si aspettava. Pensate, quando è caduto il muro di Berlino esattamente 20 anni fa, sono usciti libri che parlavano della fine della storia, della immobilità della politica, del secolo americano che avrebbe congelato tutto. E in 20 anni, anzi molto meno perchè sono questi ultimi 10 anni che hanno portato avanti questi processi, è cambiato assolutamente tutto e c’è chi parla, forse con un linguaggio un po’ affrettato, che questo sarà il secolo dell’Asia. Secondo me è una definizione che si avvicina molto alla verità, ma lo vedremo adesso.

Veramente, è chiaro che queste semplificazioni storiche  valgono poco però ci sono dei fatti che pesano, cioè nel 1950 gli Stati Uniti avevano un prodotto nazionale che era pari alla metà di quello di tutto il mondo; oggi il loro prodotto nazionale è tra il 20 e il 22%. Sono passati 60 anni ma è un arco di cambiamento impressionante. Intendiamoci, è ancora molto perché hanno poi solo il 6-7% della popolazione mondiale, quindi vuol dire che pesano ancora moltissimo rispetto a noi. Però è un cambiamento di dimensioni impressionanti e questa tendenza, in tutte le previsioni continuerà. Addirittura c’è una previsione di un premio Nobel (non bisogna credere ai premi Nobel quando fanno previsioni, però è stata fatta e la ripetiamo) che dice che alla metà del secolo la Cina avrà il 40% del prodotto nazionale lordo mondiale, gli Stati Uniti il 14% e l’Unione Europea il 5%.

Non ci credo ma mi dà però l’idea della rapidità di questo cambiamento ed è straordinario viverlo perché lo si verifica quotidianamente, insomma. Io ho la fortuna in questo periodo di insegnare negli Stati Uniti e in Cina e mi fa impressione che sia negli Stati Uniti che in Cina i miei studenti più attivi e più curiosi sono i cinesi sia di qua che di là, e hanno questo senso del cambiamento, di avere il possesso del mondo. Lo verificate con una tale intensità da fare impressione. Un anno fa, sempre per darvi degli episodi ma che vi danno il senso del cambiamento della storia, uno studente mi chiede: “Mi definisca in tre parole qual è il suo pensiero sulla Cina, cosa vuole dalla Cina”. Mi metto lì a pensare e dico: “Voglio una growing cooperative China, una Cina che cresce in modo cooperativo”. Benissimo. Quest’anno mi rifanno la stessa domanda e io dò la stessa risposta. “Ma che cosa vuol dire cooperativa, professore? Vuol dire che noi dobbiamo essere sottoposti a voi?” In un anno. Non tanto evidentemente per i cambiamenti già avvenuti, perché la Cina ha un miliardo e trecento milioni di abitanti e metà sono ancora in situazione di povertà, quindi 650 milioni sono ancora poveri, ma proprio per questa tendenza al cambiamento rapidissimo, questo senso di poter entrare in ogni settore, in ogni aspetto della vita economica con il progetto di vincere nel futuro.

E sempre per dirvi cos’è questa sfida economico-politica, vi racconto un altro aneddoto. Vado un po’ per aneddoti, ma sono centrati. Ero a colloquio con un alto responsabile della politica cinese – tra l’altro l’ha riportato l’altro giorno nelle sue lettere anche Sergio Romano sul Corriere senza dire con molta discrezione il mio nome – e si discuteva dei progressi della Cina, dei problemi delle nostre democrazie e di tutti questi aspetti. A un dato punto questo signore dice: “Ma voi non avete capito che è in corso una grande sfida, una sfida molto importante; e voi con i vostri sistemi democratici che noi stimiamo, che noi seguiamo con molta attenzione (ripeto, era un interlocutore con la testa fine) però ci accorgiamo che il vostro pensiero politico si accorcia sempre di più: le elezioni comunali, le elezioni provinciali, le elezioni regionali, le elezioni nazionali, le elezioni europee e poi in Europa avete 27 paesi, siete sempre sotto elezioni; i vostri politici pensano sempre alle elezioni del giorno dopo e invece non pensano a costruire un mondo del futuro”. Poi sosta un po’ e dice: “Vede, per questo motivo sono molto preoccupato per il futuro della vostra democrazia”.

Allora, forse non era il prete più adatto per fare la predica, ma la predica è certamente un discorso su cui meditare, su cui sto meditando profondamente, cioè, attenzione, siamo di fronte a una sfida di trasformazione del mondo che ha una rapidità e che ha una strumentazione con cui noi dobbiamo fare i conti.

Da un lato pensate cosa significhi il cambiamento: anche qui fatti simbolici. In pochi anni la Cina, a livello popolare, ha stupito il mondo con le olimpiadi che hanno dato il senso a livello politico, e siamo passati dal G8 al G20. Ma non tanto perché il G20 stia prendendo molte decisioni ed è ancora un organismo imperfetto, manca di strutturazione tecnica dei grossi problemi, ma perché chiaramente si capiva che il G8 non era più in grado di prendere decisioni semplicemente perché non c’era un grande interlocutore intorno al tavolo, interlocutore che ormai esce con una forza enorme.

Ho chiesto al primo ministro cinese: “Qual è il vostro comportamento riguardo ai rapporti economici monetari?” e il discorso che veniva fatto era di una semplicità e di una forza enorme. Dice: “Vede, professore, io su questo tavolo ho mille miliardi di dollari (poi non era vero perché sono due mila), io li uso con consapevolezza perché non voglio rovinare le migliaia di dollari di cui io stesso sono in possesso e quindi mi comporterò in modo ragionevole. Però, vede, avendo mille miliardi di dollari sul tavolo, nessuna decisione attorno a questo tavolo può essere presa se io non sono seduto attorno al tavolo”.

È cambiato il mondo, è cambiato il mondo e di fronte a questo l’Europa, in teoria è un gigante e in pratica è, appunto, la contraddizione tra laboratorio e museo di cui parlavo prima. Perché è un gigante? Perché nonostante queste trasformazioni, l’Europa, l’Unione Europea, conta 496 milioni di abitanti ma è il numero uno come prodotto nazionale lordo nel mondo, siamo avanti anche rispetto agli Stati Uniti, non come reddito pro capite ma, essendo di più come numero, è comunque il blocco economico più grosso del mondo, siamo i più grandi produttori industriali del mondo, i più grandi esportatori del mondo. Dal punto di vista, fra l’altro, anche della finanza pubblica (su cui. lo vedremo poi, ci sono tanti problemi, l’Euro, il caso greco) però il nostro deficit è infinitamente inferiore a quello americano, quindi anche una crescita e un sistema di bilancio pubblico sano. Eppure, non contiamo nulla.

Quando vado in Medio Oriente mi sento ripetere: “Siete i più grossi esportatori, siete anche i più grossi conoscitori politici della nostra zona, ma non esistete”. Le divisioni all’interno dell’Europa hanno fatto in modo che questa grande potenzialità che Sabatino ha descritto con molta amabilità nella sua presentazione, poi si trasformi pochissimo in realtà e in azione.

Proprio l’altro giorno, a Washington a una tavola rotonda sui rapporti fra Unione Europea e Stati Uniti, il problema emergeva in modo straordinario. Le difficoltà che ci sono state perché ci fosse un incontro bilaterale Stati Uniti-Europa, che però verrà fatto oggi in Portogallo a margine dell’incontro della NATO dopo altri incontri su altri argomenti, tutto questo vertice dura un’ora e mezzo. Cioè, quando analizzo il discorso del presidente Obama che è il politico più amato dagli europei, nei suoi primi 30 discorsi non ha mai nominato l’Europa, non ha mai nella crisi preso contatto con le istituzioni europee ma soltanto con i capi di stato, cioè proprio questa difficoltà che non è responsabilità americana, ma è responsabilità europea. Cioè, avere paura di fare un progresso e portare avanti quei progetti che vi sono stati prima brevemente illustrati fa in modo che l’Europa sia assolutamente paralizzata nella sua azione, pur avendo avuto questi grandiosi risultati e avendo queste grandiose potenzialità.

Perché, quando dico laboratorio, lo dico con molta cognizione di causa perché non è mai successo nella storia che 27 paesi in modo progressivo, in modo pacifico si mettessero assieme, condividessero il loro mercato, condividessero i grandi obiettivi politici, condividessero praticamente grande parte del loro destino. Questo non è mai successo nella nostra storia eppure ci si è fermati a un certo punto proprio perché i grandi paesi, ma non solo i grandi paesi, perché il richiamo al nazionalismo, al concetto nazionale impedisce il passo in avanti.

Qui è proprio un problema politico puro: cioè, noi siamo messi di fronte all’interrogativo della storia se avere un grande ruolo nel futuro o se invece essere emarginati nella storia stessa. Ed è una decisione che in questo momento i governanti europei non si sentono di prendere, non c’è, a mio avviso, nessuna spinta forte verso l’integrazione europea.

Possiamo ancora, prima con qualche esempio e poi con un discorso generale, cercare di spiegare perché. Come dicevo, i successi sono stati grandissimi: non solo la condivisione del mercato, non solo la libera circolazione anche di mano d’opera, ma, ad esempio, una migliore distribuzione del reddito fra paesi poveri e paesi ricchi nell’ambito europeo. In poche parole, i nuovi paesi che si sono aggiunti all’Unione Europea hanno avuto una possibilità di crescita superiore ai vecchi paesi e quindi è anche un continente che si sta, dal punto di vista della politica sociale, amalgamando. Quindi i successi sono assolutamente forti.

Ma si sono accompagnati con alcuni momenti di divisione estremamente forte e direi quasi tragici. La prima divisione dell’Europa riguarda il problema di cui già vi ho fatto cenno io e cioè il Medio Oriente in cui la posizione e la divergenza dei diversi paesi ha paralizzato qualsiasi azione politica. La difficoltà più grossa del passato è stata però la guerra in Iraq che io ho vissuto come presidente della Commissione e vi posso assicurare che è stata una vera ferita all’interno dell’istituzione; le tensioni che si sono avute nelle discussioni, nei vertici su questi temi, che si sono riprodotti anche durante il G8, hanno avuto un’intensità, una forza, una violenza inimmaginabile.

E adesso è chiaro che ci sono anche i problemi che riguardano l’immigrazione che è diventato l’aspetto numero uno delle paure nell’ambito europeo e che spinge molti governi ad avere un atteggiamento di generale chiusura, di paura rispetto a un futuro europeo.

E poi, naturalmente, è chiaro che i cambiamenti del mondo che venivano descritti prima portano a una specie di politica di conservazione.

Vedete, in questi mesi avete sentito parlare moltissimo del caso greco. Il caso greco è estremamente significativo di una crisi politica profonda perché, di per se stesso, il caso greco è un caso piccolo: la Grecia è il 2% del prodotto nazionale lordo europeo, il 2% e quindi un cinquantesimo. Il problema è quindi se il governo greco ha ingannato, ha imbrogliato per usare un termine popolare. Cioè, se le statistiche sono state manipolate e quindi non è che uno possa dire: “Assolviamo e chiudiamo il problema”. Però, insomma, data la dimensione estremamente modesta, si poteva risolvere in pochissimo tempo.

Ma ritorniamo all’osservazione che vi ho fatto prima, c’erano delle elezioni locali nella Westfalia, Nord Reno-Westfalia, elezioni politicamente importanti per il governo tedesco, si è tardato mesi e mesi, la soluzione è stata presa solo la sera dopo le elezioni e il problema da grande così era diventato un problema grande così e ha infettato tutti gli altri paesi europei per cui la speculazione internazionale che non era scattata, e ci sarebbe stato tempo per aggiustare queste cose, è scattata fortissima e piccoli drammi sono diventati grandi tragedie.

Questo per spiegare che cosa significa il problema della non unione in un momento di questo genere, ma vi debbo anche dire che qualcuno ha pensato che forse sia stato prematuro fare l’Europa. Io vorrei che di fronte a questo si riflettesse su cosa sarebbe l’Europa oggi nella crisi internazionale senza l’Euro. Avremmo avuto svalutazioni competitive, ci sarebbe un’inflazione galoppante, saremmo in una situazione veramente di difesa selvaggia di ogni singolo paese. L’Euro è diventato il nostro punto di difesa, è diventato il nostro punto fermo che costituisce un’ancora per la futura Europa.

Evidentemente, è chiaro che non avendo il coraggio e la forza di andare avanti noi siamo rimasti a metà del guado e quindi, di fronte alla sfida della storia, noi potremmo anche risultare sconfitti. Per concludere questo aspetto sull’Europa, che cosa bisognerebbe fare? Perché siamo paralizzati in questo modo? La risposta è estremamente semplice, ma la sua soluzione politica è difficile. È chiaro che l’Europa non può andare avanti se continua nelle grandi decisioni a richiedere l’unanimità. Cioè, essendo legata alla dimensione di 27 paesi con caratteristiche anche molto diverse tra di loro, anche il discorso dell’unanimità non può più reggere. In parte il trattato di Lisbona ne ha tolto dei pezzi, però voi capite bene che se le grandi decisioni devono essere prese con voto comune diventa impossibile, non solo, ma il diritto di veto è una cosa tale che rende gigante anche un nano.

Ecco, prendete pure un paese di un milione e cinquecento, di un milione di abitanti, prendete un paese che abbia una dimensione minima di 300 mila abitanti come Malta, o Cipro, o il Lussemburgo, possono benissimo bloccare da soli la vita dell’intero continente. È chiaro che un Primo Ministro o un Presidente della Repubblica che torna in patria in un paese di 300 mila abitanti che ha bloccato l’intera Europa e si è fatto i titoli su tutti i giornali del mondo, diventa un gigante, vince le prossime elezioni. Siamo in una situazione che o facciamo un salto in avanti di questo tipo o rimarremo ancora in questa situazione.

Naturalmente, è chiaro che avendovi fatto questo esempio,vi ho anche dato la risposta, cioè non ritengo molto probabile e possibile che questo scatto avvenga in questo momento perché i grandi paesi hanno una politica molto prudente in materia e tutto l’atteggiamento tedesco nel caso greco è stato un atteggiamento improntato puramente a una visione dell’interesse nazionale in senso stretto. E se lo esaminiamo, noi abbiamo la spiegazione della situazione: vi dicevo prima che il problema era piccolo, le elezioni lo hanno ingrandito, ma perché lo hanno ingrandito? Perché è chiaro che nell’elettorato tedesco c’è questa idea che loro mantengono gli altri paesi europei, che sono virtuosi. Quindi, evidentemente, il politico asseconda questo tipo di tendenza senza contare alcuni fatti molto elementari. Certamente, sempre per conoscere meglio la nostra Europa, la Germania è ormai di gran lunga il paese economicamente più forte del nostro continente. Quando dico di gran lunga intendo proprio di gran lunga. E questo evidentemente sta ampliando i rapporti di forza.

Per darvi un esempio di cos’è l’Europa oggi, quando ho sospeso i miei studi di ricerca sull’industria per entrare in politica, c’era una certa, diciamo così, equivalenza, un certo equilibrio fra la Francia, la Germania, la Gran Bretagna. Il problema dell’unificazione gravava ancora sulla Germania; anzi appena appena si cominciava a risolvere. Oggi noi abbiamo una situazione economica di cui la gente non si rende conto: per dare una cifra sola, prendiamo l’industria manifatturiera che io ritengo ancora essere la cosa più importante dell’economia: la quota di industria manifatturiera nel bilancio tedesco è circa 27-28%. Parlo solo di manifatturiero senza edilizia, senza i trasporti, proprio l’industria alla milanese insomma, quella vera. In Francia è 11%, in Gran Bretagna è 10 e sta andando verso il 9%. In Italia è sempre una stana cosa. In Italia non è male, in Italia è il 19%, è il 26-27% fino a Firenze e poi… Cioè, l’Italia ha questo dramma proprio in tutte le statistiche e quando l’analizziamo in modo oggettivo ci sono due paesi sotto questo aspetto dell’industria manifatturiera, proprio due paesi diversi. Quindi, la media è a metà fra le altre, ma fatta di due pezzi, uno con le statistiche simili alla Germania, anche se con caratteristiche produttive molto diverse, da noi soprattutto imprese medio-piccole, in Germania soprattutto imprese medio-grandi, e quindi comportamenti anche diversi per la conquista di nuovi mercati.

Sempre per dare il quadro generale, la presenza germanica in Cina è impressionante rispetto alla nostra non visibilità. È impressionante e secondo me è questo che sta spingendo molti tedeschi a dire: “Possiamo farcela da soli”, mentre invece io penso che nel nuovo mondo globalizzato nessun paese europeo, nemmeno la Germania, può avere un ruolo di leadership molto forte proprio per la dimensione di noi protagonisti.

Cioè, sta succedendo nel mondo, vedete, quello che nella storia successe nel Rinascimento italiano: i nostri stati italiani nel Cinquecento dominavano davvero il mondo, non è retorica. Milano, Firenze, Genova, Venezia dominavano la finanza, dominavano l’economia, dominavano l’arte della guerra, la scienza, l’ottica che era allora la grande scienza, le tecniche militari, tutto. È successa allora la prima globalizzazione, cioè la scoperta dell’America, ma non ci si è adattati al nuovo mondo: paesi più grandi di noi, cioè l’Inghilterra, la Francia, la Spagna avevano una dimensione diversa dalla nostra, potevano avere le navi più grandi delle nostre e l’Italia è scomparsa per tre secoli dalla carta geografica del mondo.

Secondo me, gli stati europei sono in questa identica situazione ma è difficile spiegare questo alla Germania e alla Francia. Dicevo ieri l’altro in modo provocatorio in questo dibattito in America dove era presente il Consigliere alla politica europea del Presidente americano, dicevo: “Obama è andato in India e ha proposto all’India il seggio al Consiglio di Sicurezza. Voi sapete che nel Consiglio di Sicurezza il diritto di veto lo hanno 5 paesi, Stati Uniti, Russia, ex Unione Sovietica, Francia, Inghilterra e Cina ed è quindi chiaro che questi 5 paesi non rappresentano il mondo di oggi in modo completo, come il G8. Sì, ci sono i grandi paesi ma non ci sono i nuovi protagonisti, non c’è l’India e i nuovi protagonisti; e la Germania scalpita perché vuole entrarci, non c’è il Giappone che rimane la terza potenza industriale del mondo. Ed è interessante che Obama è andato in India d ha proposto il seggio all’India sapendo benissimo che non è possibile perché ci sarà sempre il veto cinese.

Allora, io dico in modo provocatorio: ma perché non propone il seggio all’Unione Europea, anche se è chiaro che c’è il veto indubbiamente francese, c’è il veto britannico, però è verissimo che l’Europa ha sette rappresentanti intorno al tavolo del G20 (o 8): non conta nulla perché ne ha otto, e conterebbe moltissimo se ne avesse uno. Tutti sanno che questa è la realtà ma c’è ancora questo momento di paralisi, questo grande continuo dilemma fra laboratorio e museo di cui vi parlavo prima.

Perché è molto interessante questa fase di stallo? Perché in questo momento avremmo bisogno di politici visionali, di politici che guardano il futuro e che prendono decisioni. Quando non c’era l’euro e io parlavo con Kohl lui mi diceva: “I tedeschi non vogliono l’euro, non vogliono abbandonare il marco, ma io so che questo è indispensabile per la pace e la prosperità futura della Germania e per la pace e la prosperità futura dell’Europa, e io vado avanti lo stesso”. Ricordando queste frasi per me è un fatto emozionale. Cioè, c’è il politico che guida e che non segue il giorno per giorno.

In questo momento però non c’è nessun paese europeo che possa fare questo salto in avanti e visto che siamo in un ambiente in cui l’aspetto religioso conta, certamente nella prima Europa c’era anche questa grande omogeneità spirituale che era una molla impressionante. Adesso questo è tutto molto più complicato nella trasformazione che è avvenuta nella società contemporanea.

Allora, quindi, lo scenario è che l’Europa non torna indietro. Non mi vengano a dire si scioglie l’euro, no! quando arriva il momento della crisi si sa che non si può tornare indietro, tutti capiscono l’interesse e i tedeschi sanno benissimo che quando non c’era l’euro il loro surplus non esisteva; appena arrivava il surplus gli italiani, i francesi, gli spagnoli svalutavano e il loro surplus spariva. E la tecnica della svalutazione non l’abbiamo mica ancora disimparata e si fa presto a svalutare, e gli uomini d’affari tedeschi lo sanno benissimo.

Però c’è questo doppio gioco in cui di fronte all’elettorato si mostrano i muscoli e poi però si tiene saggiamente la realtà di fronte alle cose per cui, ripeto, ben difficilmente, come molti americani continuano a pensare, anzi non c’è certamente una dissoluzione dell’euro o un ritorno indietro rispetto a questi grandi problemi. Ma c’è una specie di paralisi per cui nella grande gestione del mondo, quando noi sentiamo parlare di G2 non ci crede nessuno, non ci credono i cinesi e non ci credono gli americani. Però, di fronte alla frammentazione europea è chiaro che il grande gioco viene sempre più condotto al di fuori del quadro europeo.

In questo senso mi sono permesso di dire che il libro mio è già vecchio, nel senso che sono passati questi avvenimenti in tre anni perché dalle olimpiadi in poi sono passati pochissimi tempi che hanno messo in superficie una realtà di cambiamento che era già cominciata tanto tempo prima ma che è profonda e che se non vengono fatti errori fatali è anche irreversibile.

E se voi mi chiedete se io penso a una crisi imminente o della Cina o dell’India, io vi dico no, non ci penso, anche se so benissimo che gli errori politici sono possibili. In questi giorni si è manifestata una rinascita di inflazione, ma non ci sono gli elementi che vi possono dire che siamo con molta probabilità di fronte a una crisi.

Non vorrei essere troppo lungo e poi potremmo perdere giorni e giorni a riflettere su queste cose. Attenzione, che il quadro del mondo, proprio per questi fatti, è cambiato radicalmente anche nei posti che non sembrerebbero avere nessuna relazione con questo. Cioè, la crescita asiatica ha portato alla necessità, ovvio, di reperimento di materie prime, nuove energie, cibo, acqua. Cioè se un miliardo e novecento mila persone in Cina, più un miliardo in India continuano a crescere, è evidentemente chiaro che cambia tutta la struttura del mondo ed è stata messa in gioco un nuova parte del mondo. Africa e America Latina, che prima erano assolutamente periferiche, adesso sono diventate del tutto centrali.

Nell’ultimo anno e mezzo mi sono occupato del problema del peace keeping in Africa ed è impressionante vedere come siano totalmente cambiati i rapporti politici nell’intero continente. La Cina ha aperto relazioni diplomatiche con 50 su 54 paesi africani. Il resto sono paesi minimi in cui non ha relazioni diplomatiche e avere relazioni diplomatiche vuol dire avere obbligato quei paesi a chiudere ogni rapporto con Taiwan e quindi cambiare la propria politica. Ed è l’unica realtà per svolgere una politica interamente a livello continentale.

La Francia ha una politica africana con i paesi francofoni, la Gran Bretagna con quelli anglofoni, gli Stati Uniti soprattutto con i paesi dell’Ovest africano e c’è una differenza enorme. Naturalmente, è chiaro che da parte nostra si fa il discorso: “Ma loro non chiedono nulla di diritti civili e politici eccetera”, ma io con tutta sincerità mi chiedo se nella nostra storia abbiamo mai chiesto ai paesi africani di migliorare la situazione dei diritti civili, della democrazia, della giustizia. Non solo. Ma quando io analizzo le esportazioni dall’Africa verso la Cina, verso gli Stati Uniti o verso l’Europa, esportano le stesse cose in tutte le direzioni. Cioè non è che la Cina sfrutti le miniere e l’Europa no. Nello stesso tempo, però, questo fatto sta portando al cambiamento del mondo perché mentre nel dopo crisi l’Europa e gli Stati Uniti crescono pochissimo, l’Asia, l’Africa per la prima volta nella storia ha un ritmo di sviluppo estremamente forte; lo aveva avuto tre anni prima della crisi, quindi sospesa la crisi ha ripreso adesso ed è soprattutto perché gli investimenti cinesi hanno cominciato a muovere una concorrenza virtuosa che sta cambiando la faccia del continente.

Ma ne cambierà anche la politica. Ho parlato con il Presidente del Senegal, per esempio. Lasciamo stare il giudizio su come regge il paese o meno, però tranquillamente mi diceva all’uscita da un G8: “Vedi, ho concluso più cose in mezz’ora con il Presidente cinese che in 4 anni di dialogo con il G8, quindi a un dato punto non chiedetemi sfumature o problemi; io ho un paese che ha bisogno di crescere”.

Oppure il Presidente dell’Algeria. Al Presidente algerino dico: “Come va con i cinesi?”. Dice: “Avevo bisogno di costruire case popolari, l’Algeria è un paese ricco abitato da gente povera, l’inverso appunto dell’Italia, e ho fatto l’appalto, le imprese italiane e quelle francesi mi offrivano il doppio di quelle cinesi, l’appalto lo hanno vinto i cinesi, sono venuti 19 mila addetti dal primo architetto fino all’ultimo manovale, mi consegnano le case con la puntualità di un orologio svizzero e, attenzione, ogni anno 4-5 mila smettono di fare i muratori, poi ne arrivano degli altri, si fermano qui, si sposano con le ragazze algerine e mi costituiscono quel minimo di piccola imprenditorietà di cui tutto sommato ho bisogno”.

Questi sono episodi ma vi danno l’idea di un cambiamento storico che per la prima volta nella nostra storia abbiamo un paese che esporta merci, mano d’opera, tecnologia e capitale. Non è mai successo nella storia dell’umanità. Voi capite cosa vuol dire il trasferimento di mano d’opera, capite il mio calore perché l’Europa si metta assieme, perchè di fronte a queste sfide non c’è né Germania, né Francia che tengano. Sono molto più grandi come dimensioni e certamente questo significa anche una grandissima opportunità dell’impegno dell’Italia n Africa.

Il mio lavoro sul peace keeping in Africa, quello che sto cercando adesso di fare con una piccola fondazione con cui lavoro è proprio quello di stringere dei momenti di cooperazione fra Unione Europea, non singoli paesi europei, Stati Uniti e Cina in Africa in modo che l’Africa non sia presa come terreno di scontro, come campo di battaglia economico-politico come è sempre stato in passato, ma che ci sia un’azione che certamente possa utilizzare le risorse che il continente africano ha e di cui il mondo ha bisogno, ma in modo utile per le popolazioni, soprattutto per evitare le tragedie e gli scontri che hanno devastato il continente nel passato.

Ecco, le opportunità che si aprono ma che esigono però politica, che esigono senso dell’unità e che esigono un senso del futuro. Mi fermo qui anche se avrei da parlare per altre ore su questi temi. Mi fermo qui perché così discutiamo un po’ assieme, ma il mio messaggio è: “Guardate, siamo in piena crisi economica, non ne ho neanche parlato della crisi, ma questi cambiamenti economici erano già cominciati prima, poi la crisi li accentua e accelererà questo processo perché, sempre dall’osservatorio asiatico, ma è possibile che il Presidente degli Stati Uniti continui per lungo tempo a sostenere il 50% delle spese militari nel mondo, che contempla il 10% del deficit nel bilancio?”. Un professore a Singapore mi diceva: “Vede, queste cose possono andare avanti 10 anni, 20 anni, ma non è che possano andare avanti all’infinito”. Anzi, era più fine il mio interlocutore, non diceva questo, diceva: “Potrebbero anche andare avanti molto, se non ché la stessa politica globale la fa un paese che non spende niente in spese militari all’estero e l’unica sua spesa è fare dei fuochi d’artificio quando i capi di stato esteri arrivano a Pechino. Ma non è una grande spesa”.

Ecco, queste cose stanno disarticolando il mondo e la Cina è di fronte alla sfida drammatica della sua trasformazione e continua questa sua trasformazione. Questa di cui abbiamo parlato è soltanto la sua politica estera, poi c’à la politica interna; il problema è che non c’è un sistema veramente pubblico, non c’è un welfare state, vent’anni di paese comunista… Sono stato a un seminario a Shangai, non c’era un rappresentante del governo ma solo un interlocutore che diceva: “Vede, professore, il mercato della salute è un mercato come gli altri, se uno ha i soldi si prende la Mercedes, se ha pochi soldi prende un’automobile cinese, se non li ha va in bicicletta”.

Ci sono ancora queste sfide impressionanti, enormi. Da un lato c’è questa sfida qui. Dall’altro negli Stati Uniti c’è il problema che si chiamaoverstreching, cioè questa tensione eccessiva, questa tenere… Non parlo assolutamente di decadenza americana. Gli Stati Uniti rimangono di gran lunga il paese più potente del mondo, di gran lunga, ma l’avere, come diceva appunto l’interlocutore, 400 mila soldati all’estero continuamente, mille basi militari, tutto questo è un impegno che finché non c’era la crisi economica nessuno ci pensava, con la crisi economica è venuto a galla e cambia tutti i rapporti relativi.

Ecco allora, e chiudo davvero, questo è il momento di una necessità di un arbitrato internazionale, cioè di un rafforzamento delle Nazioni Unite. È proprio il grande momento di un dialogo anche perché non c’è nessun atteggiamento aggressivo tra le grandi potenze fra di loro, non c’è guerra fredda, come la possibilità di scontro fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, non c’è nessuna idea espansiva degli Stati Uniti, nessuna idea espansiva della Cina, nessuna idea espansiva dell’Europa. Voglio dire, non siamo in un momento… le guerre che ci sono sono terribili, c’è il terrorismo, ma sono territorialmente limitate, non c’è un mondo in agitazione. Quindi ci sarebbe proprio il momento ideale per il ruolo delle Nazioni Unite, per le strutture internazionali.

E il passaggio dal G8 al G20 è stato certamente importante perché io che ho partecipato a 10 G8, 5 come Presidente del Consiglio e 5 come Presidente della Commissione Europea, vi posso assicurare che di anno in anno se ne capiva l’indebolimento. Voi capivate che si parlava ma che c’era qualcuno fuori che contava. Il passaggio al G20 è stato un passo molto in avanti. Però voi avete visto quanto deboli sono queste strutture perché il primo G20 durante la crisi ha riscosso l’entusiasmo di tutti, il secondo un po’ meno e l’altro giorno a Seul non hanno deciso praticamente nulla. Sui grandi problemi economici c’era in fondo Germania con Cina e Stati Uniti dall’altro lato, ma tutto sommato senza nessuna grande decisione. È un momento così, affascinante, pieno di cambiamenti ma anche senza un momento di arbitrato, senza un momento di autorità sovranazionale che possa in qualche modo garantirci lo sviluppo futuro.

Debbo dire che il grande fatto consolante è quello, come ho sempre pensato, come credo tutti i presenti pensano che le tragiche ingiustizie, le tragiche povertà del mondo fossero intollerabili, il grande fatto consolante è che alcune centinaia di milioni di persone adagio adagio escono dalla povertà assoluta, con un ritmo lento, con tutti quei problemi che volete, ma questa articolazione nuova del mondo sta portando questo fatto che io ritengo consolante anche se sta sconvolgendo tutti i parametri politici del nostro pianeta.

Grazie.

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