di Andrea Rinaldo
Con riferimento alle occasioni elettorali di espressione del voto offerte agli italiani, il trend costante da qualche tempo a questa parte è quello di una disaffezione verso la rappresentanza politica, cosicché il “partito dell’astensione” è andato via via crescendo, diventando in un certo senso il “convitato di pietra”. È un segnale particolarmente grave, che appalesa un preoccupante deficit di rappresentanza, le cui cause sono molteplici, indice senza dubbio di un malfunzionamento del sistema democratico. Il “partito degli astenuti” è una amalgama fluttuante e mobile, tuttavia occorre pragmaticamente interrogarsi su quali siano stati i comportamenti delle forze politiche che hanno portato l’elettorato a scegliere di non recarsi alle urne; infatti la rinuncia all’espressione del voto non è soltanto la manifestazione della difficoltà di scegliere tra le diverse alternative programmatiche, bensì un segno di sfiducia negli organismi elettivi. Nella vulgata comune alla fine gli stessi si “comportano tutti alla stessa maniera”, anzi non vi è una apprezzabile differenza tra visioni di destra o di sinistra, poiché il collante unificatore è semplicemente l’occupazione di posizioni di potere. Ne consegue quindi la scelta di non votare, magari con intenti di protesta o di risentimento, tuttavia per molti elettori tale presa di posizione rappresenta comunque una soddisfacente soluzione liberatoria.
La rinuncia del diritto costituzionale al voto, cioè della possibilità di manifestare la propria volontà durante una tornata elettorale prevista dall’articolo 481, non è percepita come la mancanza ad un “dovere civico”, ma semplicemente come una “facoltà” seppur di ultima istanza, che è concessa a quei cittadini particolarmente insoddisfatti dalla politica. Tale allontanamento si riverbera così anche nelle altre forme della partecipazione, quella ad esempio organizzata nei partiti2, ed ovviamente ancora di più in relazione alle possibilità di incidere “dal basso” sulle scelte politico-legislative, utilizzando magari la modalità poco sperimentata prevista dalla Carta fondamentale all’articolo 50 “…Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità…”.
A questo proposito il declino dell’impegno politico da parte delle nuove generazioni è piuttosto evidente, configurandosi (con qualche eccezione certamente) come sempre più scarso, intermittente e superficiale. Il fenomeno ha dato origine a locuzioni definitorie particolarmente eloquenti, quali quella di “generazione invisibile”, del “disincanto”, oppure del “riflusso nel privato”. D’altronde come dare loro torto? Nel Belpaese è di palmare evidenza il rallentamento dell’inserimento nel mondo lavorativo, e quindi dell’indipendenza economica dei giovani, circostanza che è il prerequisito per un pieno e consapevole esercizio dei diritti civili e politici. La ritardata acquisizione di una stabilità reddituale incide anche sulla crescita dell’identità individuale e sulla definizione degli interessi soggettivi, determinando di conseguenza una posticipazione nell’assunzione della responsabilità in senso appunto civile, sociale e politico, da parte delle nuove leve.
Tuttavia la partecipazione si associa inevitabilmente alla qualità della forma di democrazia reale, e si sostanzia in aspetti che riguardano sia la persona che si vuole mettere in gioco, che le organizzazioni che promuovono le occasioni di mobilitazione, secondo uno schema che prevede almeno tre livelli: quello individuale, quello istituzionale/organizzativo e quello procedurale. La partecipazione può certamente servire a legittimare oppure ad indirizzare le decisioni politiche, ma anche può essere per così dire “strumentale” e “simbolica”. Se si privilegia il perseguimento di uno scopo generale e la contemporanea soddisfazione di interessi individuali o la declinazione in pratica di ideali, siamo nel campo di ciò che avviene ad esempio durante la selezione del personale politico nelle elezioni, che ha come conseguenza la richiesta di un voto verso un partito e quindi verrà perseguito successivamente un programma specifico. Il coinvolgimento diretto della persona caratterizza soprattutto la sua partecipazione “simbolica”, la quale ha un valore in sé: i cittadini partecipando ad iniziative in favore della comunità, promuovono il senso civico, incoraggiano l’impegno su questioni di interesse pubblico, si abituano a lavorare in gruppo e alla collaborazione reciproca. La partecipazione simbolica alimenta anche la consapevolezza dell’appartenenza, di utilità per il prossimo, e la propensione verso la solidarietà. In definitiva l’attivismo è sempre un mix di partecipazione strumentale e simbolica, a cui corrispondono normalmente una serie di benefici, quali il sentirsi con orgoglio i portabandiera di un certo ideale, o la soddisfazione connessa alla protezione di gruppo di taluni valori ritenuti particolarmente significativi. Partecipazione e democrazia sono così due facce della stessa medaglia e dove vi è la prima sono più ristretti i poteri oligarchici, questo fatto però presuppone che non vi sia emarginazione ed esclusione politica o sociale di alcune categorie di persone; od anche l’intenzione manipolatoria a monte delle masse, nonché la volontà di porre in essere azioni che favoriscono l’apatia, l’indifferenza, il disimpegno, magari con lo scopo neanche tanto velato di mantenere inalterato lo status quo.
I rischi della partecipazione hanno a che vedere certamente con la mancanza di interesse per la vita pubblica, la percezione dell’inutilità dell’apporto personale, la frustrazione di non poter cambiare le cose, la manipolazione. Il ruolo delle reti sociali tradizionali però si sta riducendo a vantaggio dei social network e dell’ on-line in generale: abbiamo sperimentato il debordare dei new media proprio durante le restrizioni causate dalla pandemia. Così le persone si trovano in una situazione in cui il coinvolgimento avviene con più facilità da remoto, limitando di fatto il giovamento alla sfera emotiva ed affettiva correlato alla partecipazione de visu. La crisi dei partiti di massa ha indotto peraltro i leader politici a stabilire un legame diretto con i cittadini spesso utilizzando appunto i new media, ma esponendosi al pericolo di creare condizioni utili al populismo. In relazione ai media, è piuttosto pacifico che le élite li possano utilizzare per influenzare i cittadini, trasformandoli spesso in semplici spettatori, allo stesso modo della creazione dei consumatori passivi e quindi incapaci di entrare attivamente nel dinamismo sociale, od anche per finalità di propaganda, argomento molto attuale in questa fase dove dominano purtroppo i “venti di guerra”.
Comunque la mobilitazione personale presuppone una scelta di campo tra diverse opzioni, che può essere semplicemente riferita agli interessi oppure – come nel caso dell’offerta politica – a visioni e programmi differenti; tuttavia questa opzione non è indolore poiché implica il dibattito ma a volte il dissenso, ed in certi casi anche il “conflitto”, il quale posto all’interno di un quadro di regole condivise è comunque l’epifania della pulsione democratica. Quando sussistono interessi divergenti è giocoforza che si inneschino dinamiche discordanti, tuttavia il “conflitto sociale” non va combattuto o peggio ancora negato, in nome dell’illusione che si possa vivere senza la fatica della contrapposizione, di una coesione sociale che scaturisce sic et simpliciter dalla “pacifica convivenza tra egoismi.” La democrazia risulta sempre più viva anche per il costo che ad essa dobbiamo pagare, ed il conflitto è il portato inevitabile di una società caratterizzata da un elevato grado di disuguaglianza, ma fa anche parte di un metabolismo collettivo necessario, mediante il quale gli artefici provano di volta in volta a cercare, con metodi pacifici ed appunto democratici, nuovi equilibri comunque sempre intrinsecamente transitori, in grado però di soddisfare le aspettative del maggior numero di persone possibile. Tuttavia i processi democratici ancorché vagliati alla luce delle indicazioni costituzionali, hanno abituato negli ultimi tempi gli elettori a votare per liste o partiti, nella prospettiva di un’auspicabile quanto incerta formazione di un governo/amministrazione frutto però di alleanze percepite ex ante come “innaturali”; quindi pur di scongiurare la formazione di organismi elettivi di segno opposto, si è motivato l’elettorato a votare per il “male minore”, creando i presupposti per la possibile crescita del sentimento della disaffezione. Inoltre è molto riscontrabile, al di là della connotazione politica della rappresentanza, il gap permanente tra le aspettative in termini di soluzioni condivise ai bisogni di consistenti fasce sociali, e le reali deliberazioni adottate.
A breve gli italiani potranno esprimersi su alcuni referendum ed una certa compagine degli stessi anche per le elezioni amministrative. Perché allora andare a votare? Perché è un diritto fondamentale, inalienabile di tutti i cittadini. Perché la democrazia è preziosa e non possiamo darla per scontata. Astenersi significa voler “perdere” in partenza, rinunciare ad avere voce in capitolo; tuttavia se in pochi si recano alle urne, si abbassa pericolosamente il tasso di democrazia in generale. Perché, utilizzando il contenuto di una frase molto citata, se proprio non ti vuoi occupare di politica, certo sarà poi la politica comunque che si occuperà di te, e allora è meglio anche dentro le imperfezioni dei sistemi democratici, fare comunque la parte che ci è concessa, giacché il diritto di voto è una delle forme di libertà individuali più importanti che abbiamo, e per dirla alla Gaber la “libertà è partecipazione”.
Andrea Rinaldo
1 Costituzione Italiana art. 48 c. 2 “…Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico…”
2 Costituzione Italiana art. 49 “…Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale…”
2 commenti
Grazie Paolo per il tuo commento. Con il nostro corso di formazione alla politica cerchiamo di costruire le condizioni affinché le persone che lo frequentano possano trovare gli stimoli adeguati per mettersi in gioco, e per partecipare attivamente alla vita pubblica. Noi ci crediamo e pensiamo sia non soltanto possibile ma anche necessario.
Abito in provincia di Verona. Non solo la partecipazione al voto cala di anno in anno ma alle imminenti elezioni amministrative, in alcuni comuni della provincia, si sono presentati nemmeno due candidati sindaci ma solo uno. Anche questo è uno specchio della disaffezione dei cittadini al voto sul quale bisognerebbe riflettere. Non solo non c’è la voglia di andare a votare ma nemmeno c’è più la disponibilità a mettersi in gioco per dare ai cittadini un’alternativa di scelta politica ed amministrativa