Il 21 gennaio 2021 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto super martyrio del sacerdote don Giovanni Fornasini, nato a Pianaccio di Lizzano in Belvedere (Bologna) il 23 febbraio 1915 e ucciso il 13 ottobre 1944 a San Martino di Caprara, nell’area di Monte Sole divenuta tristemente famosa per l’eccidio lì perpetrato nel primo autunno di quell’anno.
È un riconoscimento importante – il primo pronunciamento di tale portata, da parte della Chiesa – su una vicenda definita negli anni “strage di Marzabotto” e poi “Eccidio di Monte Sole”, terreno di confronto e di scontro tra sensibilità opposte, accomunate però dal convergere della memoria sulle oltre 700 vittime e, tra loro, su alcuni sacerdoti e consacrati che restarono eroicamente al proprio posto e vi trovarono la morte.
Temporale d’autunno.
29 settembre 1944: sono le prime ore del mattino e alcuni abitanti della zona di Monte Sole (Appennino bolognese) vengono svegliati da quel che parrebbe un tuono. Un tuono, o forse un insieme di rombi sordi in avvicinamento. In quell’inizio di autunno che fu nell’area particolarmente piovoso, non può però trattarsi di temporale: la pioggia, d’autunno, cade in modo diverso. Il rumore è infatti l’avanzata della Sedicesima divisione corazzata SS, il passo militare dello squadrone: Panzergrenadier Division “Reichsführer SS”. Quella di Max Simon, di Walter Reder. Quella che aveva infierito a Sant’Anna di Stazzema.
Le SS – dilagate a Marzabotto e dintorni il 25 settembre – salgono ora verso la montagna: quasi la cingono d’assedio.
In basso, la popolazione civile è spaventata ma salva. In alto – a Casaglia, Cerpiano, San Martino – il destino è segnato e la brigata partigiana “Stella Rossa” ha le ore contate: smetterà di esistere quello stesso 29 settembre, sotto l’onda d’urto dell’avanzata tedesca e con la morte del suo comandante, Mario Musolesi “il Lupo”. Al centro, un’area frastagliata si ritrova insidiosa terra di mezzo, dove il confine tra la vita e la morte passa da dettagli minimi e, in definitiva, dall’arbitrio tedesco.
L’eccidio di Monte Sole.
Muoiono in poche ore centinaia di persone: saranno 775, se si includono l’eccidio alla canapiera di Pioppe di Salvaro (1° ottobre 1944) e altre azioni più isolate. Muoiono giovani e vecchi (ma soprattutto donne, anziani e bambini). Muoiono laici e consacrati. Cadono cinque preti. Sono tutti giovani, il più “anziano” ha 34 anni.
Don Ubaldo Marchioni viene freddato ai piedi dell’altare della chiesa di Casaglia di Caprara – un incanto di angolo orante circondato dal verde che diventa d’un tratto inferno, il corpo del ventiseienne don Ubaldo dato alle fiamme con la sua chiesa, la pisside crivellata di colpi, decine di parrocchiani uccisi non lontano mirando basso per colpire anche i bimbi. Don Elia Comini e padre Martino Capelli muoiono dopo essere stati catturati mentre accorrevano a portare l’estrema unzione agli agonizzanti della Creda, privati della stola, degli oli santi, si pensa della teca eucaristica, umiliati e usati come “bestie da soma”, eliminati però due giorni dopo tra gli anziani e inabili benché fossero giovani e abili al lavoro. Don Ferdinando Casagrande è ucciso a tradimento, di spalle e in circostanze parzialmente ancora da chiarire, con la sorella Giulia. E poi c’è lui: don Giovanni Fornasini, di cui il Santo Padre Francesco ha autorizzato il 21 gennaio 2021 a promulgare il Decreto super martyrio che arriva dopo l’Inchiesta diocesana nell’Arcidiocesi di Bologna per la raccolta delle prove testificali e documentali, e una “fase romana” in cui è stata approntata la Positio, poi esaminata da Consultori e Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi; Decreto che apre di fatto la strada alla beatificazione.
Giovanni Fornasini: dal chicco, una spiga.
Giovanni nasce a Pianaccio di Lizzano in Belvedere (Bologna) il 23 febbraio 1915: papà Angelo, mamma Maria e il fratello maggiore Luigi. Trasferitosi decenne a Porretta Terme, studente che a scuola fatica ma con la buona volontà recupera, a Porretta egli scopre nella parrocchia una realtà aggregativa importante, alla quale si lega e dove definisce la propria vocazione. Da Borgo Capanne a Villa Revedin al Pontificio Seminario Regionale, si prepara così all’ordinazione diaconale (1941) e presbiterale (1942). È un ragazzo alto come una pertica e magro magro, su cui all’inizio nessuno avrebbe scommesso. La salute era poca, ma avvicinandosi alla meta migliora. E con alcuni compagni stringe un patto segreto – una “Società degli Illusi”, la chiamano con serissima ironia –: società di chi si impegna ad aiutarsi e ad andare controcorrente sempre. Diacono e poi prete, è assegnato alla sede di Sperticano (area Monte Sole), di cui diventa giovanissimo parroco. A don Giovanni sacerdote restano solo due anni di vita: ma lui ancora non lo sa.
Cosa avrebbe mai potuto fare uno come lui, prete in Appennino, pressato dall’incombere di mille vicende, continuamente interpellato – era costume coi parroci d’allora – a mediare contese più che a vivere di contemplazione? Eppure Giovanni Fornasini era diverso. Un giorno era passato tra i campi, i contadini al lavoro si tenevano compagnia cantando. Giovanni aveva annotato: «I contadini cantavano allegramente e anch’io gioivo, perché pensavo che avevano faticato tanto prima di vederlo [il grano] maturo. Io pensavo: guarda l’abbondanza del Signore. Da un chicco una spiga».
Due anni che ne valgono cinquanta.
A Sperticano imprime il dinamismo di questa stessa fecondità, e lo approfondisce con un’immagine che gli era rimasta impressa dal viaggio a Lourdes: fosse la sua parrocchia una fonte cui tutti potessero dissetarsi!
Quel paesino piccolo e con niente di speciale diventa così, in poco tempo, il centro dell’attenzione: si impone l’annuncio d’una carità che è in se stessa Vangelo e don Giovanni pratica verso tutti, senza distinzioni di sorta. Don Dario Zanini – grande esperto delle dinamiche di Monte Sole – fece notare che don Giovanni, a Sperticano, da prete rimase solo due anni: eppure sembrano molti di più, sembrano cinquanta perché la sua attività fu intensissima, si esplicò su più fronti e nulla lasciò d’intentato. È una pastorale di poche parole e molti gesti, con un prete giovane già esperto della vita, dei bisogni della gente: sale in bicicletta, la carica di beni di prima necessità, visita i casolari, porta l’essenziale. «Era capace», si legge, «di partire da Sperticano con mezzo metro di neve […] Lasciava la bicicletta a Torre Bianca… e poi su a piedi. Doveva cambiarsi tutto e asciugarsi vicino al fuoco». «Un prete così non c’era mai stato». È la fortezza feriale di un uomo poco forte nel fisico; fortezza che – allenata in tempo di “pace” – trova però conferma quando Monte Sole stessa finisce al centro delle operazioni belliche, stretta tra l’avanzata Alleata (assestata a poca distanza pur se Bologna verrà liberata solo nell’aprile 1945) e i tedeschi in ritirata eppure padroni dei luoghi.
“Devo andare”.
In mesi durissimi dove i partigiani sulle alture e i nazifascisti più a valle ingaggiano un duello a distanza di cui pagano il prezzo soprattutto i civili rastrellati e uccisi per rappresaglia, don Giovanni Fornasini accorre e si interpone con ogni possibile mezzo. Con un tedesco stentato ma idee chiarissime, riesce a farne liberare alcuni: anche dopo essersi offerto al posto dei condannati, chiedendo di venir trattenuto lui perché prete e quindi solo, di liberare invece chi avesse famiglia. Gli eventi però precipitano e – quando alla fine del settembre 1944 la Wehrmacht cede il posto alle SS – anche il coraggio dei sacerdoti può, umanamente, poco. A don Giovanni, il 29 mattina ammazzano l’amico e compagno di seminario don Ubaldo Marchioni; il 1° ottobre, dopo due giorni di reclusione, vengono uccisi don Elia Comini e padre Martino Capelli (dei quali egli aveva cercato invano di mediare la liberazione, venendo trattenuto egli stesso, quindi deferito a Bologna, e infine rientrato troppo tardi per tentare un’ultima mossa).
Poi anche lui diventa un attenzionato speciale, la cui sorte è definitivamente segnata quando il 12 ottobre si interpone tra due ragazze e le SS, nel contesto di una festa organizzata nei locali della scuola di Sperticano per il comandante che a don Giovanni aveva requisito due stanze della canonica dall’8 ottobre, giorno dell’arrivo. La festa è di sera. Don Giovanni non lascia le giovani nemmeno un istante. Il mattino dopo però, al suo risveglio, non pare più lo stesso. È atteso sulle alture. Sa già tutto, forse: ma tace. «Non andare!», lo supplica la mamma: «Ti ammazzano, ti ammazzano!». Ma lui “deve”.
«Pastore kaputt!»
Alle 12 in punto, i tedeschi sono in canonica a Sperticano per il pranzo. Don Fornasini non c’è. Alle 18 i tedeschi rientrano per cena e, di lui, ancora nessuna traccia. Allora in famiglia c’è chi si fa coraggio, e chiede. Che ci faceva, don Giovanni, là fuori tutto solo? Ci faceva che era stato trucidato dietro al muro del cimitero di San Martino, in quota e dove la strage aveva infierito due settimane prima. «Pastore kaputt!», sentenzia il comandante. E i tedeschi cominciano a urlare, a bere, … coscienze offuscate e spente. Solo quella strana forza d’animo regalata nei momenti di pericolo permette alla mamma di don Giovanni di non reagire. Ma da quel giorno non avrebbe mai più sorriso.
Ritrovato dal fratello Luigi solo sei mesi dopo, a don Giovanni Fornasini verrà conferita il 19 maggio 1950 la medaglia d’oro al valor militare, con le parole: «[…] Pastore di vecchi, di madri, di spose, di bambini innocenti, più volte fece da scudo della propria persona contro efferati massacri condotti dalle SS germaniche[,] molte vite sottraendo all’eccidio e tutti incoraggiando, combattenti e famiglie, ad eroica resistenza. Arrestato e miracolosamente sfuggito a morte, subito riprese arditamente il suo posto di pastore e di soldato, prima tra le rovine e le stragi, della sua Sperticano distrutta, poi a San Martino di Caprara, dove, pure, si era abbattuta la furia del nemico […]». È un riconoscimento altissimo che apre però in chi lo conobbe una ferita profonda: don Giovanni era stato coraggioso, ma né soldato degli uomini né partigiano. Non era stato “di parte”, perché era stato un prete di Cristo.
Nell’autorizzare la proclamazione del suo Decreto di martirio – atto di fondamentale rilevanza ecclesiale, primo riconoscimento di tale portata che la Chiesa dà alla vicenda di Monte Sole –, Papa Francesco dunque ripristina una lettura al tempo stesso più sobria e rettificante della sua figura: non infatti la contrapposizione delle parti, l’odio umano e la vendetta fanno il martire. Ma la fede: fede testimoniata dal martire fino all’effusione del sangue; fede in lui odiata dal persecutore. Fede che non è anzitutto parole, ma vita: scelte concrete alla luce del Vangelo.
Nella sua vita, altre vite.
Se martirio è “innocenza” (don Giovanni non aveva colpa), esso però è anche “rappresentanza”. Come ha dichiarato Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, egli «si prodigò instancabilmente, esponendo più volte la vita per assistere e soccorrere le persone nelle condizioni drammatiche in cui la guerra le aveva ridotte nella valle del Reno». Aggiunge Mons. Alberto Di Chio: «Il sangue versato da questi pastori si inserisce nella passione di un popolo, di comunità cristiane concrete. Non erano solitari».
Nelle vicende di Fornasini, Capelli, Casagrande, Comini e Marchioni rivive dunque qualcosa di diverso dall’eroismo personale, dall’esaltazione del sacerdote rispetto a gente comune oggi estranea alle pagine della “storia” anche se non della “memoria”: è una comunità intera che si esprime ed è custodita nei gesti significativi di chi, con il sacerdozio, aveva per essa ricevuto «l’imposizione delle mani».
È l’esplicitazione di quella fondamentale consapevolezza – fatta propria da lunga tradizione – che il “martire/testimone” non ricerchi anzitutto condizioni “eroiche” in cui spendersi, ma assuma piuttosto – sino alla fine – i doveri del proprio stato, la concretezza dell’esistere. «Il martirio», così, «nasce […] come frutto santo di situazioni di iniquità: persecuzioni, violenze, violazioni della dignità umana […]»: le vive e le assume, sino a ribaltarne la logica dall’interno.
Martire è chi resta.
Don Amedeo Girotti, molto vicino a don Fornasini, riteneva (e don Angelo Baldassarri, esperto di Monte Sole, ben lo spiega) che egli dovesse porre un limite all’esercizio della carità: che la sequela esigesse ragionevolezza. Ne era convinto anche l’allora Cardinale Arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca di Corneliano: «Ecco un prete che non diventerà mai santo, perché non ha ascoltato il suo Vescovo». “Ascoltare il suo Vescovo” avrebbe comportato per don Giovanni Fornasini lasciare la parrocchia, mettersi al sicuro. Ma può un pastore abbandonare il gregge? Se il martire certo non si salva per il proprio coraggio, egli è alla fine un uomo che decide di restare: per dovere, per amore, perché l’ultima parola spetta sempre a quella verità che risuona nell’intimo e non può essere equivocata, là dove la persona si “fa” coscienza e la coscienza – come ha insegnato Giovanni Paolo II – diventa «sacrario interiore» che nessun altro può violare.
Dossettiani custodi d’una memoria viva.
A quasi 80 anni dall’eccidio di Monte Sole, oggi le parole prima taciute e poi spese forse con non sempre piena esattezza sembrano lasciare di nuovo il posto ai fatti. Perché è un fatto la vita di don Giovanni, è un fatto la sua morte e sono un fatto le vicende dei tanti intrecciati alla sua storia.
Oggi, sulle alture di Monte Sole i Dossettiani custodiscono la memoria viva di quegli eventi; e quella pisside – forata dai proiettili – che don Ubaldo Marchioni non era riuscito a proteggere nemmeno nel suo morire.
Come ben comprese Mons. Luciano Gherardi, la domanda giusta per capire non era provare a capire come quei preti fossero morti: bensì come essi fossero vissuti.
Lodovica Maria Zanet
- Per approfondire:
- Congregazione delle Cause dei Santi, Decreti Pubblicati nel 2021
Chiesa di Bologna: riconosciuto il martirio di don Giovanni Fornasini
F. Franci, L’angelo in bicicletta: Don Giovanni Fornasini, Bologna 2018.
A. Baldassarri, Risalire a Monte Sole. Memorie e prospettive ecclesiali, Zikkaron, Marzabotto (Bologna) 2019.
L. Gherardi, Le querce di Monte Sole, EDB, Bologna 2014.
L. Baldissara, P. Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili di Monte Sole, Il Mulino, Bologna 2009.
Su di lui anche il monologo: Un cristiano, Don Giovanni Fornasini a Monte Sole
- Congregazione delle Cause dei Santi, Decreti Pubblicati nel 2021
3 commenti
Autore
Ringrazio don Alojzij Slavko Snoj e il sig. Luigi Leonelli per i rispettivi commenti.
Pagine di storia dolorosissime, nelle quali addentrarsi oggi con sacro rispetto e grande impegno nel salvaguardare la memoria storica di quegli eventi!
Lodovica
Conoscevo gli eccidi in quelle zone che formavano la linea gotica tra Toscana ed Emilia anche perche’ mi trovavoin quel periodo sfollato con madre e fratellino in Romagna occupata dalla Whermact con gli alleati Inglesi,Neozelantesi
e Polacchi fermi a 7km che rimandarono avanzata alla primavera del 45 ( da notizie storiche si era programmato lo
Sbarco dall’ Atlantico in Normandia ).Inoltre una mia zia nata a Montese ,reduce dall’ Asmara (Eritrea) dopo ns/sconfittaUKI conquistò la ns/ Colonia ed espulse civili con Navi-Ospedale facendoli circumnavigare
Africa a Capo di Buona Speranza per l’Italia.Ando’ al paese natio e fortunatamente si salvò,mentre mio zio impiegato al Banco di Roma rientrò in Italia nel ’46.
Con grande attenzione (cercando nel vocabolario il significato di certe espressioni per coglierne meglio il senso),
direi con un’atteggiamento di interna devozione, ho letto la “storia” del martirio dell’area di Monte Sole.
Mi fa l’eco a numerose testimonianze dell’amore “piu` grande” di martiri sloveni di quel tempo, massacrati “in odium fidei”,
con don Lambert Erlich (a capo della lista), con tante madri e tanti padri e figli ed anche 29 giovani confratelli Salesiani,
Ringraziando il Signore per il dono del martirio alla Chiesa esprimo la gratitudine alla competente scrittrice. ASS