Viviamo giorni difficili.
La difficoltà è tale da coinvolgere anche la riflessione: mettere in fila i pensieri, tradurli in argomenti, quando il rincorrersi delle notizie e dei numeri mette la mente in uno stato di angosciosa tensione costante, non è più garantito.
Con tutti gli sbalzi del caso, ci ritroviamo magari ad oscillare tra momenti di sconforto ed altri di positività; tra la paura per noi, l’angoscia per i nostri cari, e un “andrà tutto bene”, la verità rimane lì, come una traccia costante, ben visibile: siamo tutti potenzialmente in pericolo, un pericolo invisibile.
Che ci mette in condizione di non poter più fare niente per gli altri in nessun caso, tranne l’isolarci.
E la consapevolezza di questo ha un impatto devastante sulla ordinarietà delle nostre vite.
Qualche strumento di contrasto, com’è noto, c’è: isolare noi stessi per isolare il virus.
Ma c’è anche opportunità di aiutarci l’un l’altro dentro l’isolamento. È faticoso. C’è assenza. C’è solitudine. Eppure questo mancato incontro, questa assenza dell’altro non soffoca il desiderio di comunicare, anzi lo amplifica. E stimola a cercare risposte, a intensificare il dialogo a distanza con la strumentazione tecnologica di cui oggi fortunatamente disponiamo che rompe, almeno un poco, il muro dell’isolamento e fa breccia alla luce di solidarietà.
Uno dei termini più usati in questo triste periodo del mondo è quarantena: un concetto che i cristiani conoscono bene, dato che indicava la Quaresima di Gesù nel deserto, prima dell’inizio della propria vita pubblica.
Un periodo dunque di purificazione, del corpo e della mente, prima dell’ inizio di una nuova vita; e, per una curiosa coincidenza, questa epidemia è iniziata, qui in Italia, nei giorni immediatamente precedenti la Quaresima.
La Speranza, taciuta, cova nei nostri cuori e ad essa ha dato voce il Santo Padre.
A quelle dolci, concrete, così profondamente umane parole, ci rifacciamo.
Una sorta di “verrà un giorno” che sa di rinascita e non di Apocalisse.
Ma oggi siamo nel pieno della battaglia, oggi le nostre vite, le nostre relazioni, le nostre attività sono squassate da una situazione che produce una crisi di senso paura.
Quando per strada si vede tanta gente che cammina in fretta, non per difendersi dagli immigrati o dai delinquenti, ma da chiunque altro; quando arriviamo a guardarci negli occhi con diffidenza e un po’ di pena, e ad evitarci per la paura del contagio, allora ad essere messi alla prova sono innanzituto il vivere civile, l’umanità.
L’umanità.
Basta così poco, dunque, a distruggere. Questo nemico invisibile mette in crisi un mondo intero di vita, di cultura, di sviluppo, di scambi commerciali.
E tutto quello che possiamo fare è amare il prossimo come noi stessi, evitare alle persone più vicine, quelle a cui vogliamo più bene, ciò che non vorremmo capitasse a noi.
L’unica cosa che possiamo salvare, insomma, è la nostra umanità, sono le nostre piccole comunità, nelle quali siamo chiamati a dimostrare, nel momento più critico, responsabilità, solidarietà, e abnegazione.
Tantissimi già lo fanno: sono quelle persone che continuano a svolgere il proprio lavoro, anche a rischio della vita, in tutti quei sistemi che non possono smettere di funzionare, perchè con essi smetterebbe di funzionare la nostra civiltà.
A queste, in tutti i settori coinvolti, a partire com’è doveroso dal personale tutto della sanità, va il nostro misero grazie.
Ecco dunque che ogni singola cosa assume un valore ben preciso. Nel male, come la sciacalla speculazione sui beni fondamentali per la vita, e su questo bisognerà regolare i conti, quando tutto questo sarà finito. Ma anche nel bene, perchè nel pericolo imminente tutto riacquista pieno il proprio valore.
Non usciremo da questa cosa, probabilmente, in trionfo, ma con calli e ferite.
Però possiamo uscirne con la misura di quali sistemi stiano funzionando e quali abbiano fallito, e speriamo di poterci fare un’idea precisa delle ragioni per le quali questo è successo, e provandoci a sistemare ciò che non ha funzionato. Speriamo che la scienza riesca a trovare adeguate risposte.
Serene, ma anche severe, e puntuali devono essere saranno le valutazioni sul comportamento generale delle nostre comunità nazionali, al loro interno ma anche nella relazione europea.
Se la crisi di senso si ha, se tra le cose che acquisiscono un peso determinante nel superamento di questa crisi globale, le più determinanti di tutte sono i comportamenti individuali e la responsabilità pubblica, ecco allora che su molti, se non tutti, i discorsi politici del futuro, peserà quanto siamo stati fratelli l’un l’altro: quanto cioè il senso di solidarietà reciproca si è visto nel momento del massimo bisogno, quando in gioco non ci sono più semplicemente le economie, ma la vita stessa. Quando le regole saltano e lo stato di eccezione cancella contratti, contatti, rapporti commerciali, allora si distrugge ciò che di materiale ci servirà per andare avanti dopo.
Ed allora, non solo quanto siamo stati fratelli tra di noi, comuni mortali e semplici cittadini, quanto abbiamo amato il nostro prossimo:
a contare sarà anche quanto siamo stati fratelli all’ interno della casa comune europea.
Nessun discorso comune si potrà fare, quando tutto questo sarà finito, se non incominciamo a farlo sin d’ora; e l’impressione, detta con estrema franchezza, è che, fino al “siamo tutti Italiani” di Ursula von der Leyen, non si sia neanche pensato di farne.
Sulle macerie dell’egoismo non si può costruire e nemmeno ricostruire nulla.
Sarà poi la storia a dire se l’Europa, intesa come comunità politica, avrà superato questa immane prova.
Il Circolo Dossetti