Giuseppe Trotta presenta: Pio Parisi. La ricerca di Dio e la politica

Forse ho accettato con troppa fretta di presentare questo libro, spinto dal privilegio che ho dell’amicizia con Pio, spinto dalle lunghe riflessioni con lui, spinto dall’inquietudine del tema che lega fede e politica.

Credevo fosse più facile presentarlo e mi trovo invece fuori posto e fuori luogo, come spesso mi è capitato con Pio. Abituati ai discorsi, alle argomentazioni, ci si trova dinnanzi a dei testi che è meglio ascoltare che leggere. Qui l’argomentazione è come se scivolasse sul tema, non riuscisse ad afferrarlo, a metterlo a fuoco. L’impressione è che ci vogliano altri strumenti per entrare nel cuore delle domande che il libro pone.

E’ questa una premessa necessaria per prendere le distanze da me stesso e dalla mia concreta capacità di entrare nei pensieri del libro.

Un altro paradigma

Sono quattro brevi saggi che coprono però quasi l’arco di una vita: 1975-1998. Pio si può dire che non si sia occupato d’altro nella sua vicenda cristiana di gesuita e di sacerdote: della politica.

Per chi lo conosce un poco, per chi ha avuto modo di intravedere la sua attitudine mistica e contemplativa, ciò può sembrare un paradosso. Che centra Pio con la politica? Quando si parla si queste cose saltano subito alla mete altre figure, magari di gesuiti, che si sono da sempre occupati di questo; ma salta alla mente anche subito la distanza di quelle esperienze, tutte, dalla sua. Una distanza incolmabile.

Io partirei dall’analisi di questo scarto: cosa differenzia questa esperienza? Non è semplice a dirsi. Possiamo entrare in questo percorso dicendo che essa si colloca oltre il paradigma su cui si è formata la cultura politica dei cattolici: la distinzione maritainiana tra fede e politica, quella distinzione che fondava la laicità della politica. Distinzione, certo, non separazione. Certamente. Dietro c’era un robusto schema tomista e insieme una lettura del rapporto tra natura e grazia che aveva reso più aperto e libero il confronto tra cattolicesimo e cultura moderna. Maritain non è stato solo un grande cristiano, ma un maestro: ha creato un paradigma, uno stile di pensiero.

Quanti si sono formati negli quaranta e cinquanta, evitando le secche di uno sterile e opportunistico intransigentismo, hanno avuto come modello di riferimento Maritain. Possiamo dire in generale: tutto il cattolicesimo democratico viene da questa cultura. Possiamo qui solo accennare ad alcuni modo di dire che hanno espresso questa figura culturale: quella, per esempio, dell’ispirazione cristiana. Una cultura che si ispira, si orienta al Vangelo. Dal Vangelo è possibile enucleare alcuni principi e in base a questi orientare un sapere sociale e politico. Dico cose banali, tanto esse sono nel linguaggio comune.

Ebbene questo libro non è comprensibile all’interno di questo linguaggio, in base a questi luoghi comuni.

Coscienza politica: tra spirito e struttura

Prendiamo il primo saggio. Tutto ruota intorno a un tema che rimarrà costante in tutta la riflessione di Pio: quello della coscienza politica. Dico di più: il viaggio che tenterò di fare attraverso queste pagine cercherà di inseguire questo tema passo passo: dagli accenni del 1975, fino alla lettera, diciamo così conclusiva, a padre Benedetto Calati.

Formare la coscienza politica. C’è qualcosa di meno originale di questo? Bisogna stare attenti però: il tema è preceduto da quello della fede. Cos’è la fede? Una credenza? No, è una forza, è una dinamica.

La fede prende continuamente in modo nuovo, è esperienza di continuo cambiamento; nella fede non si è mai arrivati. Altre acquisizioni intellettuali possono essere compiute.. nella fede questo non accade. la fede è continua novità anche in fatto di sentimento e di comportamento: novità del cuore, della vita.. Non C’è possibilità di fermarsi e riposare, e , tanto meno, di guardare compiaciuti il punto a cui si è arrivati e a giudicare quelli che ci sembrano essere rimasti indietro. (28)

Se questa è la fede, se la fede è cioè questa forza del Vangelo, non come dato, ma come dinamica che investe e sconvolge la vita, in che modo può emergere la coscienza politica? E’ evidente che la coscienza politica deve assumere su di sé la dinamicità e la incessante novità della fede stessa.

Io credo che parte da qui quel rifiuto della separazione tra coscienza e strutture che muove le pagine del primo saggio.

Si dice in genere: bisogna prima cambiare le strutture per riformare la coscienza; o viceversa: bisogna prima cambiare la coscienza per poi cambiare la struttura. Il saggio mi pare percorrere una strada diversa: il primato della coscienza è primato della coscienza politica. Nella coscienza politica questa contrapposizione viene messa in discussione. La coscienza politica è il crinale critico tra struttura e coscienza.

Il rifiuto della contrapposizione tradizionale viene proprio da una lettura simpatetica con la celebre pagine di Marx della Critica dell’economia politica. Marx fa vedere l’ inevitabile alienazione della coscienza nella società dominata dal capitale, dal danaro, dalle merci. Questa ineliminabile alienazione è una vera e propria sfida per i cristiani. Come è possibile una fede capace di formare una coscienza critica delle struttura. Come è possibile formare una coscienza politica che non sia il prodotto delle strutture stesse. La sfida va colta davvero. Non basta una semplice condanna filosofica di materialismo, una semplice condanna moralistica. Bisogna attraversare Marx. Ma per fare questo bisogna attrezzarsi di un linguaggio nuovo: quello della Bibbia. Questo esige una coscienza politica agitata dalla fede.

Io non credo che primo saggio vada oltre questa intenzione. Cosa sia questa coscienza politica non è esplicitato con chiarezza: si danno dei punti di riferimento. Ne è consapevole lo stesso autore, nella sua introduzione.

La mia riflessione partiva dalla fede, e da una qualche esperienza del mistero di Dio, ma non era abbastanza sostenuta dall’ascolto della Parola.. Non avevo ancora compreso a pieno il valore dell’ascolto dei piccoli nella storia della salvezza, che è salvezza dei singoli, dei popoli, della storia. (26)

Coscienza politica: i piccoli e i poveri

Il secondo saggio è del 1989 e il titolo è assai significativo: Appello ai piccoli e ai poveri. Quella coscienza politica agitata dal Vangelo qui acquista una determinazione più concreta.

Vorrei partire nell’analisi di questo saggio da una esperienza che ho fatto recentemente, ascoltando Radio Radicale che trasmetteva non so quale seduta della Camera o del Senato. Ad un certo punto un rappresentante del Polo, rivolgendosi in modo accalorato e retorico alla sinistra, faceva un discorso di questo tipo. Non ricordo le parole esatte, ma il senso è questo: Per voi la povertà è una specie di valore, voi vi fate forti della povertà, noi la vogliamo abolire.

L’oratore diceva, senza accorgersene, una cosa profonda, anche se poco aveva a che dare con questa sinistra. E’ proprio esattamente così: la povertà è un valore, il povero non è una figura negativa. Può sembrare un ragionamento paradossale, ma non altro dice il Vangelo. Quell’espressione: i poveri li avrete sempre con voi, non sta ad indicare una sorta di pessimismo sul destino del mondo, ma esattamente l’opposto: essa indica il luogo, lo sguardo attraverso cui questo mondo può essere reso migliore. Il povero è insieme un mondo e uno sguardo sul mondo.

Cosa caratterizza la povertà? La consapevolezza del bisogno, della dipendenza, di non essere autosufficienti. Non solo: il povero capisce il linguaggio della carità, ha le antenne per sapere cosa vuol dire compassione. Solo attraverso la povertà passa il linguaggio dell’amore.

La storia e la ragione suggeriscono che i piccoli e i poveri si uniscano perché l’unione fa la forza, e che cerchino in tal modo di diventare grandi e ricchi. Non si vuole negare questa via e la necessità, in qualche modo, di percorrerla, ma il nostro appello punta a qualcosa di più grande, di più incisivo, di più decisivo: rimanere piccoli e poveri scoprendo il valore di take condizione. (55)

La coscienza politica comincia così a determinarsi attraverso questa figura del piccolo e del povero. Essa investe di una enorme forza critica la politica come tale:

I piccoli e i poveri, proprio in quanto tali, non si lasciano sedurre dalla ricchezza e dalla grandezza, dalla forza e dal potere, sono in grado di arricchire d’amore il tessuto della società..

La politica è sempre più un tragico gioco di potere. Solo i piccoli e i poveri sono in grado di capire che il problema di fondo del potere non è quello di cambiarne i titolari e i meccanismi, ma di sminuirne l’importanza. (56)

Non si tratta qui di distribuire il potere. Va così riscritta integralmente il concetto di partecipazione. Il potere distribuito, torna a riconcentrarsi. Il concetto di partecipazione deve trasformarsi o immergersi in quello di compassione.

Occorre che la partecipazione sia sentita come assunzione di responsabilità, condivisione, compassione, conoscenza intima cordiale e sofferta dei problemi di tutti: e questo è il frutto proprio dei piccoli e dei poveri che si mettono insieme resistendo alla tentazioni di diventare grandi e ricchi. (57)

Partecipazione è compassione. La cosa strana, mettendosi in ascolto dei pensieri di Pio è questa: parole immense, sminuite e logorate dall’uso, tornano a risplendere del loro antico splendore: compassione è condivisione di gioia, di destino, di amore. Un vocabolario logoro ed equivoco viene ribaltato. L’abbiamo già visto con la parola “povertà”.

Riassumendo: appello ai piccoli e ai poveri ad unirsi, non in cerca dell’unione che fa la forza, ma per sostenersi paradossalmente nell’esperienza di debolezza e ricavarne i frutti necessari al bene della società: conoscenza, amore, impegno a lottare per diminuire il peso del potere, libertà. (58)

Coscienza politica: conversione

Il nostro viaggio della coscienza politica deve soffermarsi ora sul terzo saggio del volume. Il titolo è significativo: Lo scasso. Per un ritorno alle radici.Lo scasso è quello del vomere che penetra nel terreno e lo rivolta, in qualche modo lo capovolge. Si tratta di riscoprire le radici. Io farei attenzione a questo rapporto: andare alle radici e capovolgimento. Sono radici sepolte da tanta cultura cristiana, da tanti luoghi comuni.

Vorrei liberare la fede da innumerevoli incrostazioni religiose che la rendono spesso poco desiderabile se non detestabile. L’elenco di tali incrostazioni è vario e quasi interminabile (73)

Si tratta di liberare la fede, perché solo liberando la fede è possibile sviluppare una autentica coscienza politica.

L’impegno politico dei cristiani, non adeguatamente alimentato, deperisce e si corrompe. Non deve fare meraviglia allora che altri, che senza la fede si rifanno a diverse sorgenti morali ed etiche, si rivelino migliori dei cristiani: non hanno in sé quella contraddizione che c’è in chi salvato dal non potere cerca di salvare con il potere (74)

La crisi politica dei credenti è originata fondamentalmente da una crisi di fede, dall’insufficienza della propria fede:

Ora che l’idolo dell’unità dei cristiani come unità di parte, di schieramento nel grande gioco del potere, sta crollando più per le forze esterne che per la conversione dei nostri cuori, occorre scoprire le straordinarie possibilità di vivere la comunione ecclesiale come inserimento profondo nel cuore della storia dei popoli. (76)

Non si può leggere, come cristiani, la crisi politica solo con le lenti della sociologia, dell’economia, della politologia, della scienza delle istituzioni. la crisi politica va letta con gli occhi della fede. E cosa ci dice questa lettura? Perché i cristiani sono andati in crisi politicamente?

La responsabilità principale della crisi politica è da ricercare dell’omissione dei cristiani che non hanno annunciato e testimoniato il Vangelo nella politica (79)

E’ una frase forte, può anche essere una frase banale. Cosa vuol dire infatti che c’è stata una carenza dei cristiani proprio nell’annunciare il Vangelo nella politica?

Ritorna qui un discorso che facevo all’inizio:

Quando si parla di Vangelo all’interno di un discorso sociale e politico si fa riferimento ai principi generali del Vangelo. Non nego che si possono trovare questi principi, ma essi non esauriscono certamente il vangelo, né toccano il suo nucleo principale… La riduzione del vangelo ad alcuni principi generali equivale all’abbandono del medesimo (79)

Possiamo dire che è qui messa in crisi tutta quella cultura dell’ispirazione cristiana, che, come si è detto, non è solo una cultura, ma un abito mentale. Ora, superare la crisi politica, non vuol dire solo trovare una nuova mediazione culturale, vuol dire affrontare un processo di conversione. Attenti: ritorna ancora il tema della coscienza politica, quella agitata dal vangelo. Le risposte che in genere si danno alla crisi le conosciamo: nuovi programmi, nuove alleanze, nuove istituzioni, nuovi soggetti politici, una nuova moralità pubblica. Quello che non si cerca da parte dei credenti è l’unica risposta che potrebbe mettere in moto tutto il resto: la conversione.

Per il credente il piano morale non è chiaramente quello della salvezza. Eppure sembra che oggi sia bloccato proprio a questo livello. Sperimenta tutta l’insufficienza dell’etica, che pure si volge per un momento al passato, ma sembra quasi irresistibilmente costretto a continuare su questi pensieri. Per il credente accade che è più facile ritentare le vie vecchie e fallimentari piuttosto che imboccare la via della novità evangelica. (80-81)

Se ci è chiaro questo passaggio, ci è anche chiaro l’approdo paradossale del saggio: cercare nuove vie per la politica, vuol dire cercare nuove vie per la fede:

Crescendo nella fede la sua attenzione si allarga alle sofferenze di tutti gli uomini… E una più acuta coscienza della crisi risveglia un più urgente bisogno di cambiamento e di novità. Così continua, in un circolo virtuoso, la crescita della fede che si apre ai problemi del mondo. (81)

Ci sono due cose che ostacolano spesso questo cammino: l’attivismo e il protagonismo. Formare una coscienza politica vuol dire superare la tentazione attivistica e la presunzione di essere protagonisti della storia. L’attivismo fotografa un uomo in fuga dal mistero, il protagonismo un uomo in preda al desiderio di potere.

Questo protagonismo c’è nella vita di ogni individuo, nelle più diverse direzioni, ma dove colpisce di più è nell’impegno sociale e politico, in cui i singoli e i gruppi analizzano la realtà, progettano e si impegnano nell’azione come se tutto dipendesse da loro. Il politico poi arriva facilmente a pensare di poter capire tutto quello che succede e di poter guidare il corso della storia. Quando poi il politico è un cristiano credente la contraddizione diventa veramente immensa fra la sua fede nel Signore della storia e il suo comportarsi da signore della storia. L’uomo di fede che si lascia prendere dal protagonismo finisce per crearsi una cultura che è proprio l’opposto di ciò in cui crede. E se egli riesce a pensare ed a operare in modo così difforme dalla sua fede, ci sono poche speranze che la fede entri nel suo operare, in quanto già ne è stata esclusa. (93-94)

Come sfuggire a questa duplice tentazione? Attraverso quella che Pio chiama cattedra dei piccoli e dei poveri:

C’è un peccato che commettiamo spesso: dare la preferenza ai ricchi e ai potenti.. Ma c’è un peccato che per lo più sfugge alla nostra coscienza, ed è quello di rivolgerci ai piccoli e ai poveri solo per aiutarli e non per essere aiutati.. Si tratta di imparare dai piccoli e dai poveri, di riconoscere che ogni esperienza di debolezza, di dipendenza, di emarginazione, rende l’uomo più saggio, più consapevole, più cosciente della propria dipendenza da Dio. la povertà nelle sue molteplici dimensioni, pone l’uomo in cattedra. (98)

Coscienza politica: politica e potere

Come si vede ritornano gli stessi temi, ma attraverso articolazioni più ampie che insieme determinano in modo sempre più stringente il che cosa vuol dire coscienza politica.

Da questo punto di vista l’ultimo saggio, la lunga lettera a padre Benedetto calati, rappresenta un approdo, se non conclusivo, certo abbastanza definito della ricerca di Pio Parisi. E’ una lettera che riassume una vita. Quello che qui mi interessa sottolineare è l’esplicitarsi del rapporto tra politica e potere. Il rapporto ed il dramma.

Che la Chiesa oggi abbia bisogno di fare politica è un affermazione tutt’altro che ovvia e che richiede molte precisazioni. E’ diffusa tra i cristiani la convinzione che la carità i spinga all’impegno politico e che questo consista nella ricerca e nella gestione del potere. Si ripete spesso l’affermazione di Paolo VI che la politica è una forma eccellente di carità. Ma il Signore salva il mondo proprio attraverso il non potere. E allora bisogna correggere e dire che il cristiano non è chiamato a fare politica, se non in casi eccezionali, per breve durata, mai come professione (vedi Dossetti), o liberasi dal senso corrente politica = gestione del potere, e rifondare il termine politica sulla Parola di Dio che, a partire dalla città di Caino, ci rivela Dio impegnato a ricostruire i rapporti fraterni verso la Gerusalemme celeste. (136-137)

Mi sembra significativo l’accenno a Dossetti. Per Dossetti la politica è dotata di una sua tragica ambivalenza: essa da una parte è potere, dall’altra servizio; da una parte è potenza, dall’altra pastoralità. E’ questo aspetto bifronte della politica che la Chiesa ha cercato di educare, senza mai riuscirci. Per il cristiano la politica ( intesa come impegno istituzionale) non può mai essere un mestiere, durare una vita. Non c’è una vocazione alla politica. Essa può essere una occasione a cui si può essere chiamati per un momento, per un periodo. All’inizio i cristiani non potevano fare il militare. E’ solo in un regime di cristianità che questo non ha più fatto problema. Nel prossimo corso parleremo se è possibile di un libro uscito in questi mesi: la politica e il male di Michele Nicoletti.

L’analisi di Pio è diversa. La politica per un cristiano non ha nulla a che fare con il potere. Si tratta di uscire dalla sua natura ambivalente e fondarla, invece, sulla Parola. Abbiamo visto cosa voglia dire tutto questo attraverso l’analisi della coscienza politica.

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