Come veniva vissuta l’operazione politica di Dossetti? Come veniva interpretata? Come veniva letta, per esempio, dagli esponenti rilevanti del Partito Comunista, del Partito Socialista, dalle loro riviste istituzionali? Ma anche quale tipo di recensione ne dava “Il Popolo”? Quale tipo di impressione dava alla stessa polizia? Queste sono cose veramente importanti. Io credo che una ricerca di storia contemporanea non possa assolutamente prescindere da questi elementi. A me non risulta che sia stato fatto un lavoro del genere su Dossetti.
1. leggi il testo dell’introduzione di Roberto Diodato
2. leggi la trascrizione della relazione di Luigi Giorgi
Testo dell’introduzione di Roberto Diodato a Luigi Giorgi
Un’opera indispensabile
Quando Pino Trotta mi ha chiesto di presentare questo volume che non avevo ancora visto ma del quale mi ha spiegato l’idea, ero un po’ preoccupato per due motivi: il primo che non sono uno storico, non mi sono mai occupato di Dossetti, in modo specifico di questo periodo storico, quindi sono meno competente di Trotta e di tanti altri che sono qui; il secondo motivo è che non avrei potuto che parlare bene di Dossetti in una sede come questa.. La lettura del libro ha fugato queste mie preoccupazioni: mi sono trovato di fronte un’opera veramente straordinaria almeno da due punti di vista. Il primo è l’assoluto rigore storico dell’operazione: io temevo di trovarmi di fronte a uno scritto apologetico, edificante. Invece no! Questa è un’operazione storica molto seria, ricostruisce la vicenda politica di Dossetti sulla base di una quantità veramente impressionante di documenti.
Devo dire che di questa operazione c’era bisogno perché, come scrive giustamente Trotta nell’introduzione, in questi anni che ci separano dalla morte di Dossetti, ci sono stati volumi importanti sulla sua riflessione ecclesiale, non su quella politica. Questo libro sarà certamente, a mio avviso, un punto fondamentale per la riflessione sul Dossetti politico.
L’uso di un materiale inedito
Trotta mette in luce l’altro aspetto rilevante del testo. E’ l’uso del materiale che l’Autore ha elaborato: la lettura dei giornali dell’epoca, degli archivi di polizia, degli archivi si stato; quindi non solo lettura dei testi di Dossetti, del materiale prodotto da Dossetti, ma la lettura di fonti che possono permetterci una vera pluralità e molteplicità di punti di vista sull’opera di Dossetti.
Come veniva vissuta l’operazione politica di Dossetti? Come veniva interpretata? Come veniva letta, per esempio, dagli esponenti rilevanti del Partito Comunista, del Partito Socialista, dalle loro riviste istituzionali? Ma anche quale tipo di recensione ne dava “Il Popolo”? Quale tipo di impressione dava alla stessa polizia? Queste sono cose veramente importanti. Io credo che una ricerca di storia contemporanea non possa assolutamente prescindere da questi elementi. A me non risulta che sia stato fatto un lavoro del genere su Dossetti. E per questo vi prego non solo di acquistare il testo, ma anche di diffonderlo nelle vostre sedi. Direi che è proprio fondamentale poter articolare un giudizio oggi entrando all’interno del giudizio di allora, cioè all’interno degli scontri, delle incomprensioni (talvolta) e delle comprensioni critiche.
Non violenza e Resistenza
Il testo si sviluppa proprio a partire dalla lotta di liberazione, dalla Resistenza: Il primo capitolo è dedicato ai cattolici nella Resistenza, all’impegno di Dossetti nella Resistenza. Su questo punto specifico mi voglio fermare un pochino, non perché sia estremamente rilevante nel complesso, ma perché ci sono all’interno almeno un paio di problemi secondo me oggi interessanti.
La Resistenza ha posto ai cattolici un dilemma che è relativo alla violenza, cioè al fatto che in una determinata situazione storica anche il cristiano debba prendere posizione di fronte alla possibilità di una lotta armata, dello spargimento del sangue, di uccidere il nemico.
Il secondo punto rilevante è l’atteggiamento dei cattolici di fronte alle gerarchie vaticane e questo sarà il motivo conduttore della riflessione che dovremo compiere, anche attuale per molti aspetti. Tutti e due i punti sono attuali, mi pare.
Le gerarchie vaticane erano molto prudenti verso il fenomeno partigiano; un atteggiamento diffidente verso la resistenza: Tale atteggiamento, come Autore sottolinea, dipendeva dalle troppe colpe,dalle troppe connivenze, dai troppi appoggi dati dal Vaticano al regime fascista. E, d’altra parte, un atteggiamento diffidente emergeva dalla paura di una vittoria dei comunisti, i quali spesso venivano equiparati ai partigiani e alla resistenza. Quindi la situazione non era facile. L’Autore mette bene in luce come il mondo ecclesiastico, anche al suo interno, fosse spaccato, cioè non fosse compatto e che il fatto che ci fossero voci diverse anche all’interno dello stesso mondo ecclesiastico rendesse molto importanti le scelte individuali, come si muovevano i singoli rispetto al problema dell’obbedienza e della disobbedienza.
Come si muove Dossetti rispetto a questi dilemmi? Dossetti ha una linea sostanzialmente non violenta, sostiene il dovere per i cattolici di tenersi lontano dalla lotta fratricida violenta, non per stare alla finestra ma (questa è una citazione riportata da Corrieri e si riferisce a Dossetti) ma per dedicarsi anima e corpo, con i rischi che comportava all’assistenza dei perseguitati, alle opere di carità e di amore fraterno verso chi avrebbe sofferto in conseguenza della lotta. Questa è una dimensione tipica che si ripropone sempre. Vorrei che si aprisse un minimo di dibattito su questo punto. Convinzioni religiose e necessità politiche: la vicenda di Dossetti sembra stretta e continuamente oscillante tra queste dimensioni, in un tentativo, direi quasi disperato di conciliarle. Si fa tanto più disperato quanto le convinzioni religiose diventano in qualche modo istituzionali, cioè quanto si confrontano con la gerarchia. D’altro canto la necessità di non tirarsi indietro, di mettersi in gioco, di stare da una parte, di assumersi le proprie responsabilità personali, di dare un contributo non può essere elusa. Quindi, da questo punto di vista ci si può interrogare anche sul problema del rapporto fra pacifismo e resistenza armata. Viene riportata una testimonianza molto importante che all’Autore è stata rilasciata personalmente da Ermanno Dossetti, il fratello: “Giuseppe è il pacifista che ha fatto la resistenza; come si concilia la Resistenza, che inevitabilmente si manifestava anche in azioni armate, con il pacifismo di Don Giuseppe? La domanda come mai si sia impegnato nella Resistenza, non è una domanda da poco, è una domanda fondata; infatti ci sono stati degli amici dell’Azione Cattolica che si sono rifiutati, per quanto sollecitati, di impegnarsi nella Resistenza. Gli argomenti che sono stati usati sono stati quelli del rifiuto dell’azione armata, del tutto legittimo per un cristiano. Tale scelta ha comportato anche per noi dei drammi. Infatti lui, durante la resistenza, non ha mai avuto un’arma, anche se questo non lo esime dal giudizio di essere stato uno che si è impegnato indirettamente anche in azioni armate”. Non aver avuto un’arma, non partecipare direttamente ad azioni armate non solleva da una responsabilità morale di un intervento in una resistenza che comunque era armata. Una presa di posizione che comincia ad incidere nel rapporto politica-spiritualità si può già vedere partendo da questo argomento ed è ciò che si deve fare. In uno degli scritti politici così scrive Dossetti: ” Non chiediamo ai sacerdoti di parteggiare per noi e di diventare in qualche modo i nostri strumenti organizzativi e i nostri propagandisti, soltanto desideriamo che fra le due attività, quella politica, esclusiva del partito, e quella spirituale, propria della gerarchia e delle organizzazioni operanti nel mondo ecclesiastico e nelle organizzazioni operanti alle sue dirette dipendenze, si stabilisca tuttavia una certa coordinazione e una certa concordanza di scopi in vista dello scopo che alla fine è comune, ossia la ricostruzione morale, prima ancora che economica e politica della nazione”.
Qui si intravedono alcuni temi di grande momento, il rapporto tra politica e spiritualità che è il vero tema, fondamentale, dell’impegno di Dossetti e il problema, connesso a questo, della moralità della politica.
La moralità della politica
Abbiamo detto, il primo compito è la rifondazione morale, poi quella economica. A tal proposito Dossetti scrive: “Se una delle grandi e perenni novità del cristianesimo è l’affermazione di una moralità nella politica (questa è una delle perenni novità del cristianesimo, cioè di una dipendenza della politica dalle leggi morali), se questo è vero, il cristiano non può presumere di aver adempiuto a tutti i suoi doveri dove si arresti all’osservanza dei suoi compiti professionali e familiari e neghi di avere il dovere ed il compito di dare un’attività specifica e diretta alla moralizzazione della vita collettiva”. Il punto di partenza è questo: il dovere politico è innanzi tutto un dovere morale. Dossetti coglie nel cristianesimo l’affermazione di una moralità nella politica e quindi un dovere assoluto, la moralizzazione della vita collettiva.
Già in questo momento iniziale dell’attività politica Dossetti pone a tema il problema del rapporto con i comunisti, problema che costituisce un altro dei temi fondamentali della riflessione politica. “Sul terreno ideologico, cioè di fronte alla solo dottrina marxista, del materialismo economico, della lotta di classe, della dialettica rivoluzionaria, e così via, noi possiamo manifestare il nostro dissenso e le nostre critiche. Ma le critiche devono essere oggettive, diremo scientifiche e perciò fondate sulla conoscenza esatta e possibilmente diretta della dottrina criticata. Sul terreno pratico poi, cioè non di fronte all’ideologia marxista ma al Partito Comunista, la nostra prudenza e riservatezza deve essere, per forza, maggiore: non solo dobbiamo assolutamente, ripetiamo assolutamente, evitare ogni attacco alle persone, ogni denigrazione alle organizzazioni, ma dobbiamo anche evitare di affermare come probanti e sicuri programmi e metodi nostri e loro programmi e metodi che sono al più presumibili”.
La concezione del partito
A questo punto, un altro accenno ai temi iniziali della politica di Dossetti entrando un po’ più in merito al suo rapporto con la D.C. Siamo nel 1945: uno scritto di Dossetti si intitola “Diritti del partito”. Dossetti espone molto sinteticamente la sua idea di partito. “La D.C. è partito politico, e soltanto partito politico, perciò non impone a nessuno, nemmeno ai suoi aderenti, una determinata pratica religiosa; sul terreno politico rivendica la più netta distinzione, che si noti, è cosa diversa dalla separazione, fra naturale e soprannaturale, tra politica e religione, fra Stato e Chiesa”.
Dossetti riprenderà continuamente la distinzione tra naturale e sovrannaturale, tra politica e religione, tra Stato e Chiesa: non separazione, ma distinzione. E’ facile dire che c’è differenza tra distinzione e separazione, più difficile nella concretezza mostrare questa differenza. Questo è un punto molto delicato. Scrive Dossetti: “…sopra tutto rivendica per sé, come partito, attenzione, la piena libertà di scelte di azione su tutto quanto non investe la morale, ma è aperto al mero calcolo della prudenza politica, come virtù umana, al di fuori di ogni direzione o influsso delle gerarchie ecclesiastiche” . Giovanni Bianchi diceva prima, torniamo, trattandosi di formazione politica, a riflettere sui fondamenti. Questo è ancor oggi, per noi un problema fondamentale.
Cosa vuol dire che un laico rivendica la libertà di scelta e di azione in tutto quanto non investe la morale, ma è aperto al mero calcolo della prudenza politica come virtù umana? Detto così come è detto, senza specificare ulteriormente, è fortemente problematico. Non capisco che differenza ci sia tra ciò che investe la morale e ciò che è aperto al calcolo della prudenza politica come virtù umana. Su questo vorrei aprire una discussione. Ciò che riguarda la prudenza politica come virtù umana è al di fuori di ogni influsso della gerarchia ecclesiastica. Il partito, l’azione del partito per quanto concerne la prudenza politica come virtù umana, deve rimanere fuori dalla direzione e dall’influsso della gerarchia ecclesiastica e non invece per quanto investe la morale. Io vorrei capire quali sono i temi in cui si può compiere questa separazione, vorrei averne un elenco. Se ce l’avessi la mia vita sarebbe molto più semplice.
Sempre in questi anni iniziali della sua riflessione politica emerge un’altra cosa. Dossetti scrive: “Si profilano le possibilità delle cariche dei giochi di interesse che potrebbero attirare le coscienze meno rette; il partito non può, come logico, rinchiudersi nella primitiva consistenza della fase clandestina e deve aprirsi necessariamente, come gli altri partiti, a nuove reclute. Non per questo esso deve rinunciare a quel grande vaglio che è il sacrificio. Chi firma la domanda di iscrizione sappia bene non intendiamo fare il gioco di nessuno e che quell’ansia di libertà e di giustizia che ci ha indotti a rischiare la vita per tanti mesi ogni giorno e ogni ora, ci farebbe ora con il flagello in mano contro chiunque tentasse di fare della D.C. uno strumento dei suoi interessi personali”.
Questa è una prima cosa, sempre da recuperare e da restituire alla politica. Se non c’è questo recupero e restituzione del disinteresse politico non si va da nessuna parte. E un’operazione assolutamente disperata, come sappiamo, è un’operazione che non si compirà e non si riuscirà mai a compiere. Però ecco che le ultime due righe sono importanti e disegnano tutta l’intenzione politica di Dossetti, la sua fondamentale intenzione, secondo me: questa connessione tra la distruzione dei privilegi e l’edificazione della giustizia. Innanzi tutto distruggere i privilegi. Secondo me questa rimane una fortissima costante e sancirà il fallimento della politica di Dossetti. Concepire l’edificazione della giustizia innanzi tutto come distruzione dei privilegi. Si può poi ragionare sul fatto del perché questa impresa sia disperata, se lo sia davvero o no. Questo è un punto che mi pare interessante per la riflessione. Intanto rimane da tenere insieme l’edificazione della giustizia e la distruzione del privilegio, o no? Bisogna vedere: è utopia? Per tutti ha questo legame?
Un’altra cosa importante è la posizione della D.C. sulla scelta tra monarchia e repubblica. C’è il machiavellismo di De Gasperi, la sua incredibile abilità. La situazione è nota a tutti: l’elettorato della DC in gran parte è monarchico, era una base fondamentalmente conservatrice. Di qui le posizioni di equilibrismo dei discorsi di De Gasperi: deve dare un colpo alla botte e un altro al cerchio, deve cercare di barcamenarsi.
Emerge poi un’altra differenza fondamentale tra Dossetti e De Gasperi, quella sul partito. Per De Gasperi si sta costruendo una forma di partito che ha un certo ruolo: un partito che di per sé raccoglieva il consenso della base ma non faceva la politica della base, bensì delegava l’azione politica al governo. Dossetti al contrario vedeva un partito che riusciva a mobilitare le masse. Il problema per Dossetti era: facciamo breccia nelle masse per cercare di educarle al pensiero della politica, per cercare di avvicinarle attraverso la partecipazione alla politica, all’esercizio reale del potere. Questa è una grande idea e l’altra idea è: facciamo in modo che il partito gestisca le masse nella loro dimensione ideale, ne attragga il consenso attraverso il voto e deleghi al governo la politica. Adesso io sto estremizzando, non verrei mostrare De Gasperi cattivo e Dossetti buono, cioè fare una contrapposizione banale, anche se nelle cose, leggendo i documenti, questa contrapposizione all’inizio c’è. Voglio solo mettere in rilievo dei nodi del pensiero politico e della strategia politica su cui riflettere perché mi sembrano estremamente rilevanti anche oggi.
Le correnti
Altro problema che viene fuori è quello delle correnti. che ha tanto angustiato Dossetti. Viene citato un articolo bellissimo dal “Tempo”, quotidiano di Roma de 1946, un articolo di Aldo Airoldi che si intitola “Passi felpati a Piazza del Gesù”. Questo articolo coglie l’inizio delle correnti al momento aurorale: sotto l’unità formale esistono tendenze anche nella D.C. e esse sono destinate a farsi sempre più vive con l’accentrarsi dei problemi del paese ed il democratizzarsi delle strutture del partito. Le formule dottrinali sono qualche volta troppo elastiche e si prestano ad interpretazioni diverse; così, per esempio, quella che ammette il capitale ma lo subordina al fattore lavoro, oppure quella che vuole la proprietà ma sotto il vincolo della pubblica utilità. Mica stupido questo giornalista, già mette in luce punti specifici importantissimi: il rapporto tra capitale e lavoro, il rapporto tra proprietà e utile pubblico, tutti i temi sui quali poi si svolgerà il dibattito tra le correnti. Non è cosa da poco coglierlo subito così.
Le riforme economiche e sociali
Un’ultima cosa che voglio mettere in rilievo a livello di base è che Dossetti punta la sua riflessione sulle riforme economico-sociali. Già all’inizio riteneva possibile attuare una forte riforma economico-sociale attraverso, “la trasformazione della struttura industriale, nazionalizzando le grandi industrie monopolistiche, attraverso l’abolizione del latifondo e della grande proprietà terriera, la trasformazione della grande azienda agraria in forme di conduzione cooperative, la riforma dei contratti agrari, ecc., e infine attraverso una riforma finanziaria che democratizzi e sottoponga al controllo di organi liberamente eletti i grandi complessi finanziari e miri alla pubblica utilità e all’equa distribuzione delle ricchezze con energici provvedimenti fiscali”. Io dico questo programma è incredibile… Personalmente io accoglierei completamente questo programma. Se oggi avessi la possibilità di fare un programma o un manifesto politico prenderei questa frasi e le metterei lì, cambiando ben poco. Oggi ci troviamo nella fase precisamente a rovescio.
Dossetti è stato un ispiratore estremamente fecondo proprio perché alcune delle sue proposte hanno avuto successo. La riforma agraria, per certi aspetti, la nazionalizzazione di alcune grandi strutture, per certi altri, parzialmente, non fino in fondo. E’ mancata probabilmente quella precondizione di cui abbiamo letto prima: la mancanza degli interessi privati sui pubblici, cioè quella precondizione dell’accesso al partito che ha coinquinato anche le riforme.
L’altra cosa che vorrei sottolineare è il problema politico del salario. E’ interessante la posizione di Dossetti. Egli ha ben presente il tema. Scrive: “C’è il problema poitico-salariale: di questo siamo tutti tremendamente convinti. Indubbiamente le paghe dei lavoratori son oggi del tutto inadeguate alle esigenze della vita (chissà perché questo problema continua ad essere costante): sono meno della metà di quelle che erano nel 1939, in proporzione al costo della vita, ma questo si capisce: le retribuzioni e gli stipendi sono inadeguati e quindi è necessario fare qualcosa per aiutare questa gente che non solo non ha da comperarsi un vestito, ma anche da sfamarsi”. Dossetti fa vedere come la politica non possa essere demagogia. La risposta a questo problema non è alziamo i salari, è molto più complessa. L’innalzamento del salario era anche un desiderio industriale ed era voluto dagli industriali che, secondo Dossetti, avevano precisamente un’intenzione egoistica, cioè intenzione di incrementare i loro profitti a costo di frenare la ripresa dell’Italia. L‘incremento dei salari poteva essere un’iniziativa molto pericolosa perché poteva comportare un vantaggio economico concreto proprio al grande capitalismo della grande industria. Aumento dei salari per gli industriali che avevano fatto una politica di magazzino voleva dire poter incrementare i prezzi, cioè voleva dire creare mercato e quindi far salire il prezzo di vendita e quindi elevare il guadagno ma di fatto, in fin dei conti, aumentare il costo della vita e, alla lunga, peggiorare le condizioni dei lavoratori. E qui si vede un’altra cosa interessante, cioè come la politica sia riflessione, come la politica non debba essere innanzi tutto della demagogia, al di là anche delle richieste immediate della base.
Le fasi cruciali di una storia
Il libro si sviluppa tracciando tutta la storia di Dossetti. Ci sono delle fasi essenziali: per esempio, la fine del governo tripartito e quindi l’opposizione di De Gasperi e di Dossetti relativamente all’esperienza del tripartito e quindi all’estromissione delle sinistre dal governo. L’altra fase essenziale è il 1948, l’anno della vittoria democristiana; l’altro momento essenziale è la breve, brevissima, stagione del riformismo dossettiano che si conclude con l’abbandono della politica da parte di Dossetti.
L’ultimo punto che viene esaminato con grande ricchezza documentaria è l’esperienza bolognese.
I documenti
Adesso, rapidamente in merito ai documenti. Uno dei pregi di questo libro è l’appendice: sono molte pagine, un centinaio circa. Ci sono articoli tratti da giornali, da riviste, dal Popolo, dall’Unità, dall’Avanti e da altre pubblicazioni. Sono testimonianze dagli uffici di Polizia, sono testimonianze tratte dall’Archivio di Stato. Si entra così nella storia, si entra nel vivo del dibattito, delle posizioni. Questo consente la visibilità da punti di vista differenti, ma senza sovrapporre ad essi un’interpretazione. L’Autore non da delle conclusioni sue, non tira delle fila interpretative sovrapponendosi ai testi. L’autore lascia che in qualche modo sia il lettore, attraverso questa molteplicità ricostruita minuziosamente, a farsi un’idea della politica dossettiana. La selezione è sempre un’interpretazione e di conseguenza basta selezionare per fare interpretazione storica. Quindi l’intervento dell’Autore non è affatto anonimo, è ovvio, ma quanto più la selezione è ampia, tanto meno l’interpretazione è parziale. E qui c’è una selezione davvero amplissima.
Ho selezionato alcuni documenti tratti dal Popolo e due documenti di Rinascita, cioè di Ingrao e Rodano, che sono critiche pesanti, perciò molto interessanti tra l’altro da parte di due personaggi di grande statura, gente che è capace di ragionare.
I documenti del Popolo. Abbiamo il primo documento dove il Popolo si riferisce al dibattito interno, in questo caso al Consiglio Nazionale della D.C. del dicembre 1948. Da questo intervento di Dossetti si vede il programma, si entra dentro le sue idee, il programma politico di un partito egemone che può cambiare davvero il volto dell’Italia. Dossetti pone diversi problemi. Il primo problema è quello dell’unità del partito. Dossetti chiede unità intorno a che cosa? “Le premesse della scuola sociale cristiana e la nostra tradizione di partito non bastano per risolvere i problemi generali dell’attuale situazione economica e politica, devono esse sviluppate e incarnate in nuove concezioni, in nuovi istituti, nuove impostazioni di politica e di politica economica aderenti al momento”. La politica serve al futuro ed è sempre al presente. E’ vero, guardandoci alle spalle cerchiamo di recuperare la tradizione, ma la tradizione se non è articolata sul presente e puntata sul futuro non serve a niente. E articolata sul presente e puntata sul futuro vuol dire novità, dice Dossetti, nuove concezioni, nuovi istituti, nuove impostazioni. Riflettere il passato vuol dire costruire il nuovo, se no non serve.
L’altra cosa che pone in rilievo Dossetti riguarda l’efficacia dell’azione. “E’ necessario che gli organi del partito diano autenticamente e con senso di responsabilità informazioni complete ed esatte sugli atteggiamenti dei diversi responsabili, che i dibattiti in seno agli organi responsabili del partito abbiano un carattere di sicura pubblicità”. Anche questo è molto rilevante, non è una cosa da poco. Facciamo un dibattito interno, facciamolo emergere, cioè non facciamo vedere l’unità di facciata. Il dibattito interno in questo modo viene ricostruito dagli avversari, ma anzi facciamo emergere il dibattito.
Dossetti passa ad esaminare nella pagina successiva la situazione politica e considera il problema dell’efficienza del governo e della sua capacità di corrispondere alla complessità e alla gravità dei compiti dell’ora. Inizia ad esaminare la politica economica che è un argomento assolutamente fondamentale. C’è una cosa che io ho trovato straordinaria: inquadra il problema della politica economica italiana all’interno del quadro europeo. Anche questo è estremamente interessante come indicazione già di principio fin dall’inizio. Dossetti si diffonde in un esame critico della linea fondamentale della nostra politica economica e sociale inquadrandola in un raffronto con quello che si è fatto in altri paesi come Belgio e Inghilterra. Non una politica chiusa ma una politica che si confronta con gli altri paesi. Quindi politica economica interna e politica estera, integrazione.
Dossetti rileva come questa linea sia stata nei tre anni trascorsi, e continui ad essere nel fondo, di ispirazione liberista. La politica economica della D.C. è fondamentalmente una politica economica liberista, non è una politica economica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa.
L’altro documento, sempre dal Popolo, riguarda gli ideali cristiani. La relazione di Dossetti (pag, 278) è “la politica in rapporto all’attuazione degli ideali cristiani”. E’ una cosa da leggere con calma. Dossetti indica in questo resoconto quelli che riteneva fossero i rapporti tra natura e Grazia, la distinzione fra piano spirituale e piano temporale, le due società che ne derivano, il rapporto tra Chiesa e società politica. Dossetti definisce politica ogni azione in vista della polis, ogni attività dei cittadini in vista della polis e delle comunità relative. Delinea la questione del regno di Dio e cerca di cogliere la relazione tra idealità cristiane e realtà politiche. La Chiesa usa delle varie realtà politiche, sociali e culturali per costruire il complesso necessario per la sua esistenza terrena, ma prende dalla storia e dalla realtà umana solo quel minimo che è necessario alla sua azione. Dossetti distingue due zone: L’azione sociale cristiana e l’azione civica. Oggi l’approfondimento della tecnica delle scelte prudenziali è sempre più necessaria per la soluzione dei problemi sociali. E’ chiaro che l’intervento della Chiesa nella politica è legittimato della difesa dei beni spirituali che gli sono affidati.
Eventualmente in sede di discussione possiamo tornare su questo documento che è estremamente interessante perché Dossetti cerca di cogliere i limiti dei territori, il confine tra politica e idealità cristiana; sostiene che le idealità cristiane danno uno stimolo attivatore e ispiratore che non mira a soluzioni determinate e sostiene che la legge fondamentale della politica è quella della tolleranza civica. Da qui una riflessione sulla politica dell’Azione Cattolica.
Trascrizione della relazione di Luigi Giorgi
Io vi ringrazio innanzitutto per la partecipazione, per le domande che per me sono tante e anzi vorrei riallacciarmi a una delle ultime, su come è arrivato questo interesse allo studio di Dossetti. Dossetti, diceva appunto il Prof. Trotta, è un problema, lo diceva anche il Prof. Tronti nell’introduzione al libro di Trotta. È un problema perché ha delle dimensioni, dei rapporti politici difficilmente digeribili e difficilmente capibili. Ancora pochi giorni fa, portando il libro a Scopola, lui mi ha detto: “Ricordo Dossetti negli ultimi giorni della sua opera politica quando entrò in Parlamento e disse: ho pensato proprio di aver sbagliato porta”. Quindi, diciamo, c’è ancora questa idea del Dossetti idealista, perso nelle nebbie di un difficile rapporto fra fede e politica. Infatti poi, Scopola mi diceva: “Secondo me, De Gasperi aveva ragione, infatti io sono degasperiano, perché aveva il dono della sintesi”.
E appunto è un problema perché il rapporto fra la fede e la politica pone quella che è la dimensione demoniaca del potere e qui, insomma, come affrontarla questa dimensione demoniaca del potere? O facendo una scelta, secondo me, che è la scelta di entrare nella mala necessitatis (scrive Machiavelli) ed è una scelta che si riallaccia poi a quello che è il percorso storico di Dossetti. Ecco, la Resistenza che veniva richiamata come un inizio di un cerchio che si richiude nella problematica della scelta politica dossettiana, perché nella Resistenza oltre alla disobbedienza e come atto iniziale fondante della scelta della lotta di liberazione, c’è soprattutto la scelta di impegnarsi e di prendere le proprie responsabilità.
E questo è un momento in cui, diciamo, il politico scende negli inferi e c’è quindi questo rapporto tra la politica e il male, la politica come organizzazione della violenza che pone il cattolico di fronte a delle scelte drastiche, rigorose, impegnative. Quindi rientra anche in questo discorso della politica e la grazia, cioè della visione, del sapere andare oltre quello che era il convincente o il semplice fatto della cronaca. Come riporta anche Tronti nel suo libro La politica al tramonto, Dossetti vede, oltre al fatto più vicino, al fatto della contingenza e della storia: riesce ad avere una capacità di analisi e di prospettiva molto ampia che forse è data anche dall’eccezionalità dell’intervento politico, del suo impegno politico, perché in Dossetti c’è appunto questa dimensione in cui la politica non è esaustiva del comportamento umano, non è esaustiva dell’impegno umano, appunto perché c’è questo intervento, questa base profonda del cristianesimo anche nella politica; come dire, formazione di giovani, formazione di nuove classi dirigenti che sarà presente in tutto l’impegno dossettiano anche nelle fasi più concrete.
Sono state toccate alcune tematiche molto importanti che io ritengo fondamentali, anche perché i primi discorsi di Dossetti sono, diciamo, abbastanza duri nei contenuti, abbastanza radicali nel porre problemi nell’Italia del dopoguerra, perché è ancora una politica che è in via di costruzione. Dossetti, infatti, con il tempo, pur rimanendo nella profondità dell’analisi, nella capacità di intervenire nella realtà storico-politica dell’Italia in modo davvero esemplare, tenderà un po’ a quella che lui chiamava la necessaria elasticità tattica dell’azione politica, cioè all’immergersi totalmente in quello che era il gioco politico per quanto vissuto anche con una certa sofferenza.
Una delle cose fondamentali che il Prof. Diodato ha detto è il rapporto con i comunisti, con il Partito Comunista Italiano. Infatti, nella lettera ai parroci del 1945 parlava della conoscenza del materialismo e questo è uno dei supporti più importanti dell’azione politica di Dossetti, a mio parere, che è quello della conoscenza: per Dossetti la politica non può essere fatta senza conoscenza, senza l’analisi preventiva, l’analisi rigorosa di quella che è la realtà in cui si va a operare. Questa è una caratteristica di quello che sarà l’impegno di Bologna del 1956 e, per quanto forzato dalle pressioni di Lercaro, per quanto non voluto, sarà comunque un momento in cui Dossetti porterà a compimento alcune delle riflessioni che aveva lanciato e che aveva intrapreso fin dal 1951. L’impegno di Bologna del 1956 è particolare perché Dossetti si trova a misurarsi con una realtà come quella amministrativa in cui lui riporta quelli che erano i germi della sua politica a livello nazionale e c’è una realtà amministrativa molto più difficile, molto più personalizzata. Infatti, sarà lì il dibattito con Dozza in quanto la città di Bologna si riconosceva fisicamente in Dozza, perché uomo della bonomia e della mole che incarnava il bolognese tipico, mentre Dossetti era ritenuto più incline al digiuno, veniva visto come un corpo estraneo alla città di Bologna. Dossetti, in questa circostanza, porta a compimento nella realtà amministrativa quelle che erano state le sue direttrici d’azione nel periodo precedente, fra cui appunto quella fondamentale del rapporto con lo stato, della costruzione dello stato repubblicano, dell’iniziazione delle masse nelle decisioni dello stato. Anche perché a Bologna nel ’56 c’è stata l’intuizione dei consigli circoscrizionali, dei comizi volanti, del rapporto diretto fra il politico, l’amministrato e l’amministratore. E quindi io penso che la parentesi bolognese sia davvero un momento importante per capire poi l’evoluzione rispetto a quello che c’era stato prima, anche per la reazione della sinistra che si vedeva attaccata nel suo baluardo più grande dell’Italia di quel tempo, nel simbolo del comunismo padano, cioè nella realizzazione pratica, secondo alcuni, del pensiero socialista, anche se molti hanno visto il comunismo bolognese come una bonaria sistemazione del capitalismo. La reazione fu scomposta facendo riferimento soprattutto a quello che c’era stato prima e quindi al pensiero dossettiano fino al 1951 che però usava in modo alterno creando una confusione, un corto circuito davvero interessante perché si faceva riferimento a questo pensiero di Dossetti, bollandolo magari di una generica astrazione per poi però invitare Dossetti all’impegno secondo quei principi del ’51. Quindi è un caso quello di Bologna, emblematico di tutto un percorso politico.
Senz’altro, il problema dello stato è centrale in Dossetti. Le funzioni ordinarie dello stato moderno lui le pone come un momento fondamentale; la riforma dello stato partiva dalla riforma degli organi statuali e in questo inseriva il progetto del partito. Il partito, cioè l’introduzione delle masse nell’attività politica, non nasceva secondo intenti demagogici, il ruolo del partito non nasceva soltanto in contrapposizione a De Gasperi, il ruolo del partito era un ruolo che doveva cambiare l’Italia, doveva cambiare lo stato, perché il partito, tramite appunto la formazione dei giovani, tramite la conoscenza di quelli che erano i problemi, poteva intervenire nella realtà italiana, in quelle che erano le residue costruzioni statuali dello stato liberale. Infatti, qui c’è uno dei problemi maggiori che è appunto quello dei rapporti tra la politica e la costruzione dello stato. La politica e l’introduzione delle masse nasceva appunto dal fatto che lo stato liberale doveva essere superato; secondo Dossetti, perché non rispondeva più a quelle che erano le esigenze di allora.
Dossetti non si poneva mai con un atteggiamento pregiudiziale, così come non condannava la politica di Pella secondo astratti schemi convenzionali basandosi sulla scuola del cattolicesimo sociale. Lui parlava sempre della concretezza del rapporto politico per cui lo stesso atteggiamento di Pella non veniva giudicato così sbagliato perché liberista, perché monetarista; veniva considerato non corrispondente alla realtà di quel periodo, veniva considerato sbagliato perché era servito in un determinato segmento della storia d’Italia, ma in quel momento le situazioni, le contingenze, il clima erano cambiati per cui ci si doveva spingere oltre. Adesso, con il nuovo clima dato dalla situazione storic,a si doveva spingere oltre l’analisi, l’intervento nella società italiana. Quindi il rapporto che faceva notare l’on. Bianchi fra la macchina e la cultura nel rapporto con il partito, senz’altro ritorna in un circolo che è quello del cambiamento. Infatti, Dossetti è attento alla macchina, è attento alla formazione dei giovani e invitava la Democrazia Cristiana allo studio e all’attenzione verso il Partito Comunista Italiano, all’attenzione verso i comunisti. Anche Scopola mi ha detto quando si parlava dell’inadeguatezza della classe dirigente, dell’inadeguatezza della formazione, che per lui la DC era finita perché non aveva saputo creare, formare il suo corpo elettorale come invece aveva fatto il PCI. Quindi, il rapporto con De Gasperi in questo frangente era abbastanza duro perché De Gasperi riassumeva un po’ il ruolo del governo nel partito e quindi il partito diventava uno strumento del governo, non aveva soggettività, non aveva una funzione all’interno della società italiana, mentre Dossetti anche nell’impegno concreto, che sarà paragovernativo, se così lo vogliamo chiamare, nella Cassa per il Mezzogiorno, lì impegnava il partito e chiede al partito l’intervento deciso e netto nella formazione dei giovani perché appunto i giovani devono conoscere, devono sapere per poi applicarli le leggi e i provvedimenti dell’esecutivo nella realtà concreta della storia, nella realtà locale, perché appunto c’era il problema del Nord e del Sud dell’Italia. Problematiche sociali del giorno d’oggi, farà rilevare, perché il problema della Cassa per il Mezzogiorno era questo: che nell’Italia del Sud c’era una classe dirigente non pronta all’attuazione dei dettami voluti anche da De Gasperi che sapeva che la vittoria del ’48 non poteva rimanere o restare una vittoria individuale o una vittoria delle forze conservatrici. Qui si fonda la differenza fra i due, che è una differenza generazionale, è una differenza di pensiero, di esperienze. È una delle componenti che poi porteranno all’abbandono, tutto politico, come ha detto il Prof. Trotta.
Il rapporto con le sinistre io penso sia uno dei temi fondamentali del pensiero dossettiano perché, a mio avviso, c’è una differenza sostanziale nei rapporti fra Dossetti e il PCI, fra Dossetti e il Partito Socialista Italiano. Il PSI era un amalgama, un magma ancora in via di formazione, diciamo, a livello di correnti della sinistra, perché viveva (si vede pure negli articoli dell’Avanti) diverse valutazioni, diverse interpretazioni del dossettianesimo. C’era stata quella volta di Basso che era stata più radicale, più attenta ai temi dell’opposizione, quelle di A. Corona che miravano a cercare di creare il dossettianesimo come un cuneo all’interno della DC per inserire e portare il governo su lidi, secondo il PSI, addirittura politico-popolari.
Con il PCI ha avuto invece un rapporto diverso. Prima della rottura del tripartito, così importante e presente nella dimensione di Dossetti, De Gasperi e Togliatti apprezzavano l’impegno di Dossetti nella Costituente, e lo ritenevano fondamentale nella costruzione dello stato italiano. La rottura del tripartito cambierà totalmente l’approccio comunista alla politica dossettiana. Basta vedere quei due articoli di Ingrao e Rodano che secondo me sono sintomatici di quello che era l’approccio dei comunisti, del PCI, alla politica dossettiana che veniva vista come pericolosa perché dava un paravento di giustizia sociale a quella che, secondo il PCI, era una politica fortemente conservatrice e inoltre veniva vista come una fuga dalla realtà. C’era poi la visione dell’uomo totus politicus, cioè Togliatti non intravedeva più in Dossetti un interlocutore, lo vedeva solo come un oggetto del sistema degasperiano. Togliatti, nei suoi articoli, nei suoi scritti, interloquiva direttamente con De Gasperi, perché quella era la politica per Togliatti, cioè era questo gioco di potere, questo gioco di forza, e quindi soltanto chi veniva individuato come totalmente immerso in queste dinamiche veniva considerato degno di essere un interlocutore. Poi, nel ’56, verrà ripreso perché le contingenze dell’attività amministrativa erano pressanti, ma Togliatti nel suo intervento a Bologna accuserà Dossetti di tradimento del patto tripartito, dell’idealità della Resistenza. Quindi, un rapporto molto complesso che anche Chiarante aveva detto che forse loro non avevano capito che, comunque, c’era in Dossetti scontentezza rispetto al progetto degasperiano e quindi si andava avanti così, in quel modo così fortemente ideologico con prese di posizioni abbastanza scontate.
In questo disegno del dossettianesimo non bisogna dimenticare le correnti e il richiamo all’unità: le correnti nella fisiologia del partito della Democrazia Cristiana sono state sempre presenti, forse sono state più una ricchezza che, diciamo, un handicap. Però Dossetti intendeva la corrente in maniera non funzionale alla spartizione di posti o di poteri come magari qualcuno dei suoi amici o discepoli poi porterà avanti come idea. Il problema di Dossetti era che la corrente doveva operare sul territorio per l’attuazione di un determinato programma e quindi portare ancora una volta la conoscenza del problema fra i cittadini, fra gli esponenti del partito. Soltanto attraverso questo si poteva sperare di cambiare l’Italia, di attuare delle riforme di struttura che erano per lui fondamentali per il cambiamento dello stato, per il cambiamento della società italiana.
Quindi, è qui che si gioca il rapporto fra Dossetti e la politica, fra l’etica e la politica, fra la fede e la politica. Quindi, torna la domanda: che cos’è la politica per un cristiano in rapporto alla fede? C’è la possibilità di entrare nel mala necessitatis mantenendo una certa vicinanza ai principi morali, una certa aderenza ai principi morali, ai principi cristiani. Questo è davvero il problema di Dossetti ed è un nodo difficilmente scioglibile perché pone il tentativo di questo avvicinamento fra la religione e la politica pure in un impegno fortemente laico come fu quello suo, nella totale dialettica con la gerarchia vaticana e con De Gasperi, nella visione di un partito che non si facesse portavoce del Vaticano e che non si disegnasse neppure come contenitore in cui tutti potevano entrare, per poi trasformare lo stato in quella grande greppia, che cita rispetto a un articolo di Iemolo, su cui intervenire con finalità poco chiare.
Resta dunque questo problema rispetto a quello che poi è passato nel lessico della politica moderna, cioè la politica machiavellica che troviamo in tutti questi grandi temi, che richiama appunto anche a Bologna, in un intervento del ’56, quando parla proprio della ragion di stato rispetto all’intervento russo in Ungheria e all’intervento anglo-francese a Suez.
Quindi, è un problema vivo: cioè può la politica rischiare di essere improduttiva perché attaccata ai principi ideali, o può la politica del cattolico, ma parlerei anche del cittadino in generale, mantenere le proprie idealità all’interno del sistema del gioco politico? Perché poi il problema a Bologna si poneva in maniera ambigua perché i dirigenti del PCI erano persone educate a questo tipo di politica, erano persone che sapevano stare nel mondo sociale in modo machiavellico finché si vuole, ma erano qualcosa di tremendamente esplicito, cioè loro indifferentemente riuscivano con non chalance, ad avere un consenso trasversale basato non sull’ideologia ma sui rapporti e anche su un sistema politico di tipo clientelare.
Quindi lì, forse, toccando da vicino la micropolitica, si pone ancora di più questo problema: come conciliare appunto questi due aspetti senza timore di rendere l’una una politica di tipo ideale, improduttiva, di testimonianza, e l’altra renderla produttiva però all’interno del rispetto, della moralità, dei propri convincimenti etici.
In questo si racchiude anche la conclusione della vicende storica di Dossetti, che pone il problema del dossettianesimo e di Dossetti nella storia.