Potremmo chiederci: il nostro concetto di giustizia si ferma al disegno della bilancia, oppure giustizia sociale significa accompagnare lungo la scalinata chi fa più fatica, chi è in debito, addirittura azzerare le differenze sociali, cancellare il debito, il “gap” sociale? La pace, poi, può marciare senza la giustizia sociale? Posso io pensare di essere in pace con me stesso e con gli altri, se vivo una situazione ingiusta, personalmente e socialmente? In un paese giusto, chi dovrebbe pagare maggiormente il prezzo della crisi?
1. leggi il testo dell’introduzione di Massimo Verdino
2. leggi la trascrizione della relazione di Rosanna Virgili
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presentazione di Giovanni Bianchi (20’20”) – introduzione di Massimo Verdino (18’14”) – relazione di Rosanna Virgili (39’25”) – prima serie di domande (14’40”) – risposte di Rosanna Virgili (28’14”) – seconda serie di domande (12’45”) (con una risposta di R.V.) – risposte di Rosanna Virgili (40’57”) – chiusura di Giovanni Bianchi (7’44”)
Testo dell’introduzione di Massimo Verdino a Rosanna Virgili
Per iniziare una lettura attenta ed efficace dei due testi di Rosanna Virgili, occorre fare un’operazione preventiva: quella di “uscire dal secolo”. Con questo termine si intende acquisire quell’atteggiamento interiore per il quale occorre fare parlare prima di tutto il testo e far tacere i nostri schemi mentali e culturali. Per chi si è formato nella diocesi di Milano all’epoca di Martini, nulla di nuovo, è il classico esercizio della lectio divina, che implica i passaggi della lectio (lettura), meditatio (meditazione), contemplatio (contemplazione) e actio (azione, proposito futuro sulla base del messaggio che quel testo ha detto a me, nel suo significato più profondo). Questo esercizio “spirituale” è proposto a chi si accosta ai testi biblici per una comprensione più profonda e piena, ma sarebbe buona cosa praticarlo davanti ad ogni testo, per far sì che alla fine sia il testo a parlare per primo e non ciò che io voglio far dire al testo… Per questo motivo, nell’introduzione mi limiterò a dare alcuni spunti per lasciare più nello specifico poi a Rosanna Virigili la spiegazione del significato più profondo delle parole contenute nei testi biblici, nel contesto del nostro corso di formazione sulla crisi e su paure e speranze legate al futuro della nostra società, della politica, dell’economia…
Riprendo quindi il concetto dell’uscire dal secolo, che ben si addice ad un testo biblico, per cercare di sviluppare un ragionamento ancora preventivo: ho provato nella mia lettura a svuotarmi dei miei schemi e a presentarmi con una certa nudità davanti ai testi, questo perché sono convinto che la formazione e la cultura personale non devono assorbire tutta la capacità di ricerca di una persona, la sua curiosità, il suo modo di vedere la vita: in una parola occorre METTERSI IN DISCUSSIONE, criticarsi, avere la percezione di essere finiti, incompleti, erranti nel senso di gente in cammino e anche gente che fa continui errori, usando un termine biblico “peccatori”, anzi peccatori incalliti, nel senso ripetitivo del termine.
Questa percezione è totalmente assente nei nostri governanti, in particolare nel governante, che anzi assume proprio l’atteggiamento contrario in termini addirittura, secondo me, “patologici”. Ecco quindi il primo tema che vorrei trarre da una molto sommaria lettura dei due testi, che ritrovo in entrambi: Dio mette in discussione l’uomo, le sue certezze, le abitudini, la sua condotta morale, civile, sociale: l’esempio più eccellente del “provocatore” nella Bibbia è proprio il profeta Isaia (personaggio principale del primo libro), il quale provoca continuamente ed evidenzia le incoerenze di un popolo che pensa più “alla pancia”, alla “materia”, che al vero culto. Spontanea e quasi automatica sorge la domanda trasferita all’oggi: quando capita una crisi personale, familiare, sociale, economica, c’è la capacità di mettersi in discussione, di pensare che le cause di fatti negativi non siano solo esterne, ma dipendano dalla nostra colpa, dalla nostra condotta? Consideriamo una cosa che appare paradossale, sempre nell’oggi: un ministro della repubblica, colui che guida l’economia, è lo stesso che fino a qualche anno fa (libri cantano…) era una sorta di “pasdaran”, di “talebano” del “neoliberismo”, per poi abbandonare con armi e bagagli il campo e, sempre tramite la scrittura, abbracciare il campo opposto, senza però riconoscere di avere “toppato” clamorosamente prima. Insomma, affrontiamo una crisi governati dalle stesse persone che hanno contribuito non poco a provocare la crisi, questo è il paradosso dei paradossi e per di più senza il minimo accenno di autocritica personale o peggio politica…
Comunque, tornando al testo (per evitare l’errore di “rientrare nel secolo”) altro tema che ho scorto è la COSTANZA, LA TENACIA, LA PAZIENZA, segno di VERO AMORE: nonostante i numerosi peccati del popolo, Dio non si perde d’animo, certo si arrabbia, ma la rabbia non è accecante, è di un minuto, mentre la misericordia è infinita. Dio, per bocca di Isaia, di altri profeti, delle parabole evangeliche, fa emergere tutta la propria costanza, tenacia, pazienza verso gli uomini. E queste tre parole richiamano direttamente il concetto di TEMPO, la differenza tra krònos e kairòs, ove il tempo biblico è sicuramente un kairòs, mentre il nostro tempo sociale è un krònos: come consideriamo noi il tempo? E’ un tempo per fare, per accumulare, per riempire, in sostanza è una cronologia che diventa tentazione, oppure è un’occasione, direi ancora di più, un’occasione creativa, uno spazio ove noi, con le nostre azioni, diveniamo creatori, ci avviciniamo a Dio? Il nostro tempo sociale diventa quindi un’occasione o una tentazione? Viviamo i rapporti sociali per costruire, oppure per “utilizzare”, “consumare” nel senso pieno del termine, cioè logorare, far invecchiare, far marcire? Vale sempre in tal caso l’ammonimento di Gesù di fronte a chi si compiaceva delle opere umane, compreso il tempio di Gerusalemme: “Di tutte queste cose non rimarrà che pietra su pietra”, che richiama poi il concetto di vanità del libro di Qoelet (C’è un tempo per…): il tempo inteso come krònos, come consumo, è vanità, finito, distrutto, il tempo inteso come kairòs è occasione creativa. Allora, da una crisi può nascere una nuova creazione, come da un diluvio universale può nascere una nuova umanità, se però abbiamo una concezione del tempo come kairòs (spazio creativo, tempo dello spirito e dei valori “spirituali”).
Avviandomi verso la conclusione, vorrei affrontare altri tre termini chiave, che fanno parte del titolo dei libri: la PACE, la GIUSTIZIA e la FRATERNITA’. Su queste tre parole è molto facile fare “abusi”, ne facciamo quotidianamente di storpiature, cercherò di riportarne impropriamente il significato biblico: innanzitutto nella Bibbia, in Isaia e poi nei Vangeli, mi pare che questi termini, in particolare i primi due, non abbiano un significato personale, ma sociale, si parla quindi di pace sociale e di giustizia sociale. La giustizia era poi un valore fondamentale per gli ebrei a tal punto che l’anno santo era stato istituito come anno di giustizia, nel quale si azzeravano “debiti” e “perdite” e si tornava proprietari di ciò che eventualmente era stato perso nel corso di cinquanta anni (il cinquantesimo anno era un giubileo). Potremmo chiederci: il nostro concetto di giustizia si ferma al disegno della bilancia, oppure giustizia sociale significa accompagnare lungo la scalinata chi fa più fatica, chi è in debito, addirittura azzerare le differenze sociali, cancellare il debito, il “gap” sociale? La pace, poi, può marciare senza la giustizia sociale? Posso io pensare di essere in pace con me stesso e con gli altri, se vivo una situazione ingiusta, personalmente e socialmente? In un paese giusto, chi dovrebbe pagare maggiormente il prezzo della crisi?
Il termine fraternità mi permette di aprire un’altra riflessione, aiutato dal testo biblico: il popolo di Israele ha praticato la fraternità, che derivava però dall’essere popolo di Dio, mentre ha abbandonato la fraternità quando si è costruito degli idoli, delle false identità, ha cercato un falso identitarismo, si è dimenticato della radice, ha agito per paura più che per fiducia o speranza nel riscatto di Dio. La domanda sull’oggi potrebbe riguardare le false identità, le false ricerche di nuovi luoghi o punti di riferimento: siamo sicuri che il federalismo all’italiana sia compatibile con la fraternità (N.B: chi vi parla è ferocemente, convintamene e orgogliosamente uno degli ultimi e pochi antifederalisti rimasti in Italia…)?
Vorrei allora veramente concludere, dopo questa indegna introduzione, lasciando una domanda all’autrice, ricollegata al mio discorso iniziale: è ancora possibile, nel contesto attuale, esercitare la meditatio? Mi spiego meglio, ricollegandomi a una frase di Gesù, e cercando di parafrasarla in termini laici. Gesù diceva: “Il Figlio dell’uomo, quando tornerà, troverà ancora la fede sulla terra”? Io cerco di tradurla a modo mio, in termini laici, dicendo: nella società di oggi, ove vige il culto dell’immagine, dell’emozione, degli “istinti bruti” e del narcisismo, è ancora possibile riflettere? Meglio ancora, per esercitare la riflessione non intendo riflessione di pochi, degli “intellettuali”, ma è possibile che il popolo, la “massa”, eserciti una riflessione critica sul proprio passato e presente per costruire un futuro migliore, oppure siamo in balia delle “forze brute” della natura e della comunicazione, del consumismo e dell’individualismo? La massa potrà mai diventare popolo democratico oggi? Come è possibile, o meglio, è ancora possibile, ispirati da un’attenta lectio e meditatio biblica, far rivivere alcuni valori laici (Costituzione, unità d’Italia e d’Europa), e coltivare il sogno e la speranza che anche l’uomo della strada possa quantomeno accorgersi chi siamo oggi, cosa succede e dove stiamo andando? Confesso che, ogni volta che affronto questa domanda cruciale, sono colto dall’ottimiso della volontà e dal pessimismo della ragione. IL FIGLIO DELL’UOMO, SE MAI OGGI DOVESSE TORNARE, COSA TROVEREBBE SULLA TERRA, COME RIMARREBBE NEL VEDERE LA VITA SOCIALE DEI SUOI FRATELLI?
Trascrizione della relazione di Rosanna Virgili
Io partirei dall’affermazione che Massimo Verdino fa quasi alla fine, questo ottimismo della volontà e pessimismo della ragione. Siccome lui non ha fatto ancora l’esame scritto sui profeti, vorrei rispondere anche personalmente. Ti dò del tu perché sei così giovane… Allora, i profeti non hanno un pessimismo della ragione, anzi, hanno proprio forse davvero un apparente pessimismo della volontà e, al contrario, un ottimismo della ragione, di quello che noi possiamo chiamare ragione della Bibbia, che non è la ragione greca, che non è il logos… Bisogna stare attenti sempre con la cultura biblica perché è una cultura, secondo il mio punto di vista, che al 90% significa che, sì, c’è poi anche tutta una traduzione greca, però dobbiamo fare i conti soprattutto con una cultura che è diversa da quella da cui comunque noi o su cui poi lo stesso cristianesimo a un certo punto si impianta, che è quella greca, che ha una lingua diversa, ha un ceppo linguistico diverso; sono cose da considerare subito quando si leggono i testi e si vuole evincere qualcosa. C’è un universo linguistico diverso, che quindi veicola concetti diversi.
Quindi, quando diciamo che c’è un pessimismo della ragione noi pensiamo a delle cose, che so, legate al pensiero contemporaneo, eccetera, filosofico e non è applicabile però questa categoria alla Bibbia. Però, siccome dobbiamo comprenderci, dobbiamo usare una convenzione che sia più semplice possibile.
Certamente il profetismo non si basa sul pessimismo. Le parole che vengono fuori dai profeti possono sembrare dure, sono certamente dure, potrebbero sembrare anche cupe, talvolta, ma non sono mai governate, mai animate da un pessimismo, se noi per pessimismo intendiamo una specie di assenza di speranza. È un orizzonte in cui comunque si trova quella volontà di affermare alcune cose, si insiste, si resiste e mi sembra che ci sia anche un po’ di psicologia, se mi permetto di interpretare la tua psicologia, e comunque, va beh, sono sforzi, sono conati quelli che possiamo fare, però c’è un pessimismo di fondo. Cioè, non riusciremo a cambiare niente perché la realtà ci porta, come si può dire, ragionevolmente, a non sperare in nulla di nuovo, in nulla che possa veramente cambiare; un pessimismo, anche lo ritengo, nell’inizio.
Faccio un’inclusione adesso. Noi biblisti lavoriamo sempre sulla lettera, quindi ci facciamo colpire dalle parole: questo uscire dal secolo, ecco, il cammino che hai fatto tu è stato un viaggio verso la Bibbia e quindi un’uscita, giustamente, dalla tua cultura, dicevi. Devo darti un messaggio diverso anche su questo, quando interpretiamo i profeti. I profeti sono, al contrario, persone che giocano dentro al secolo, proprio dentro al secolo, con quanto di limitante possiamo anche intendere in un unico secolo, e di kronos secondo la tua interpretazione, cioè di qualcosa che si consuma. La sfida dei profeti è proprio questa: accettare la contingenza.
Io studio proprio i profeti in particolare e, devo dire, che ciò che mi ha affascinato è stato proprio questa accettazione del limite che il profeta ha, cioè il profeta è l’uomo quotidiano, cioè interviene sui fatti piccoli, diciamo così, che però sono un segno di ciò che Israele sta vivendo, cioè accetta il secolo il profeta.
E proprio per questo il profeta è l’uomo politico per eccellenza nella Bibbia, perché la Bibbia intende la politica, la polis – la città intesa, sì, come il luogo di fraternità come diceva prima molto bene lui – come davvero il luogo dove tutto si realizza, tutto si rivela e lo stesso rapporto con Dio si gioca assolutamente nella polis, in questa esperienza di popolo che non è possibile chiamare massa, giustamente, però ha una preminenza.
Allora il profeta è un uomo politico innanzi tutto, prima perfino di essere un uomo di Dio, come noi normalmente intendiamo quando parliamo del profeta, un uomo politico perché la sua figura nasce dentro al popolo; cioè il popolo c’è prima dei profeti¸ prima di tutto c’è il popolo, perché Israele nasce come popolo, non nasce come esperienza individuale. Questa grande categoria che è Israele, a un certo punto c’è un’etnia che non è un popolo, c’è un’etnia che si trova in Egitto, qui comincia la storia biblica e qui si innesta la profezia, che è un’etnia diversa da un popolo, perchè un’etnia si riconosce dai tratti somatici, si riconosce da caratteristiche, forse anche da usi e costumi, ma nella Bibbia non possiamo definire un’etnia un popolo, perché il passaggio da etnia a popolo avviene attraverso la legge, cioè avviene attraverso una costituzione.
La costituzione è quella che Israele avrà sul Sinai e non per nulla sul Sinai colui che dà la costituzione, perché i dieci comandamenti sono la costituzione della legge biblica, tutto il Pentateuco viene chiamato legge; è vero, ci sono 613 precetti e divieti, questi poi è il codice penale, il codice civile ai quali potremmo paragonarli, ma c’è una carta costituzionale che appunto sono i 10 comandamenti. La profezia nasce quel giorno, nasce il giorno in cui è nato il popolo perchè infatti Mosè viene chiamato nel libro del Deuteronomio il primo e il più grande di tutti i profeti, per cui coloro che poi avranno il nome di profeta dovranno entrare sulla scia appunto di Mosè.
Allora, un’etnia diventa popolo quando c’è qualcuno, e qui è un Dio, cioè qualcuno che non sta sulla terra e quindi non è condizionato, non rappresenta un condizionamento, non è un uomo, e quindi è un Dio, è una realtà trascendente che tuttavia si occupa di questa etnia, se ne prende cura. Scende dal cielo: questa etnia è infelice e lo spaccato si apre – il libro dell’Esodo – in un momento di crisi, naturalmente fortissima, perché questa etnia non riesce più neanche a difendere il proprio sangue, i propri figli maschi, e non riesce a vivere il lavoro in maniera anche etnica, cioè in maniera umana semplicemente, perché non può avere un giorno di ferie. Questa è la realtà degli ebrei in Egitto.
La schiavitù è questo: la mancanza assoluta di identità, l’uccisione dei figli maschi che significa questo, e la mancanza di un’ora di libertà. Cioè un’ora che sarebbe un’ora di riposo dal lavoro. Tanto è vero che gli ebrei in Egitto a un certo punto dovranno lavorare anche di notte, 24 ore su 24 e soprattutto 7 giorni su 7. Il problema che Mosè a un certo punto matura con il faraone è semplicemente questo, (vi ricordate un po’ il libro dell’Esodo, lo conoscerete tutti, ci mancherebbe), il problema è molto semplice: Mosè voleva portare questa etnia, ancora era un’etnia, per tre giorni fuori ad adorare il proprio dio. Erano tre giorni di ferie semplicemente. Ma il faraone questi tre giorni non li dà perché sa benissimo che sarebbero bastati perché questa etnia potesse comprendere, prendere consapevolezza di essere schiava.
La libertà! La libertà è fondamentale nella profezia. E allora, appunto, si va, si esce e c’è questo dono: la legge è un dono nel libro dell’Esodo e questo giorno nasce il popolo di Israele, come dicevo nasce la profezia. Non c’è ancora una terra. Lui ha citato il giubileo. Il giubileo che cos’è? Il giubileo è l’economia della terra, come la legge è dono, così la terra è dono, la pacem in terris. La terra è di Dio. Vedete sono scambi fondamentali, dove si innesta la profezia e dove vive la profezia.
Allora, la terra non sarà mai fonè. L’identità di un popolo non può dipendere dal faraone, da nessun faraone, oggi diremmo dai governanti, i quali invece hanno azzerato la trascendenza che dà un’identità a un popolo. Anche per un non credente l’importante è lo schema, fondare il diritto di identità di un popolo, chiamiamolo diritto, sulla trascendenza. Perché se noi fondiamo il diritto di identità, e quindi di essere liberi e il diritto di fruire della terra su un governante, su un faraone, da questi noi saremo sempre condizionati. Questa è la grande intuizione del popolo di Israele che con queste concezioni potrà vivere bene e sopravvivere bene, dipende dai momenti, anche in diaspora, anche fuori dalla terra.
Quindi, il dono della legge è importantissimo, la costituzione è fondamentale quando un popolo dovesse anche essere scacciato dalla propria terra e questo è anche un po’ il mistero della profezia biblica.
Da questo momento in poi che cosa accade? Faccio un salto. Allora, chi è il profeta? È innanzitutto qualcuno che custodisce un’alleanza prima di custodire la legge. Il profeta certamente è quello che parlerà sempre non solo di giustizia, ma di diritto che è una cosa diversa. Un conto è il diritto, un conto è la giustizia, ma queste due cose non possono però, come dire, l’una sostituire l’altra mai. C’è bisogno anche di un diritto e il profeta sarà il custode del diritto e della giustizia che comunque si trova interamente nella carta costituzionale, in questo decalogo iniziale.
Ma il profeta sa che il diritto e la giustizia sono in un alveo che va oltre lo stesso diritto e la giustizia che è un patto di fedeltà, potremmo chiamarlo un patto per la vita. Ecco, la categoria fondamentale di questi libretti è l’alleanza, perché secondo me è la categoria fondamentale di tutta la Bibbia. Si parla di antica e di nuova alleanza, di prima e di seconda alleanza. Perché, che cos’è l’alleanza? L’alleanza è un atto gratuito di amore: c’è un popolo che grida perchè non ha la vita, non può vivere e allora c’è qualcuno che dall’alto dei cieli, dal cielo dei cieli, che cosa fa? Ascolta, porge l’orecchio (l’immagine è bellissima, ma è una grande metafora sfruttata dal libro dell’Esodo ma, secondo me, continua fino alla kenosis, Gesù è un abbassamento, l’alleanza nasce da un abbassamento di un Dio che a un certo punto cosa fa? Vuole scendere per vedere da dove venga questo grido che sente.
Il grido viene da un popolo, da un’etnia, da un brandello di persone che non sono ancora un popolo, e allora che cosa fa? Scende e si prende cura,I care di Don Milani. Si prende cura di questo popolo. E questa è l’alleanza, prendersi cura. E qui nasce il diritto. Il diritto, come dire, non è astratto, non può essere laico nel senso come c’è una morale laica; nella Bibbia, come dire, l’etica si fonda su un rapporto personale, diciamo così, su una scelta libera. C’è questa idea di un Dio che non è tenuto a occuparsi di questa suburba. Chi erano gli ebrei? Vivevano nelle suburbe delle grandi metropoli egiziane. Non era tenuto, non era il loro Dio, perché non sapevano ancora bene chi fosse il loro Dio. Però lo sceglie. Ecco, c’è questa scelta, questa volontà che non chiamiamo intimista, una volontà kamikaze; perché Dio nel momento in cui sceglie Israele non ci guadagna niente, è un popolo che non può neanche tributargli dei sacrifici e voi sapete tutti che gli dei nel mondo antico facevano dei favori agli uomini in una logica dido ut des. E gli dei non erano diversi dagli uomini, da noi erano mercanti pure loro, do ut des. Se gli uomini facevano i sacrifici, voi sapete che gli dei vivevano, nel mondo greco per esempio, di che cosa? dei sacrifici, dei soavi odori che venivano fuori dai sacrifici, perché si cibavano di questo, tutte cose che conosciamo, interessanti.
Invece Dio, questo Adonai, che si rivela dopo nel suo nome, non ci guadagna niente perchè gli ebrei non possono fare i sacrifici. Però, vedete, purissimo atto di libertà, tutto ciò governa la parola, la parola veramente, questa alleanza, che poi appunto, come dire, è molto controversa, qui c’è una promessa, eccetera. Ma veniamo alla fine, perché non voglio essere troppo lunga. I testi che io analizzo invece, quando si trovano? Si trovano quando ormai questo popolo è entrato nella terra, ovviamente ha avuto i suoi re ed ecco che allora il profeta si colloca in un contesto che possiamo chiamare socio-politico in cui si ci sono almeno tre o quattro (possiamo anche sdoppiarne una e considerarne quattro) grandi luoghi di autorità.
C’è la monarchia. Siamo appunto già ormai dentro la terra, c’è la monarchia e suo malgrado Samuele, che è sempre un profeta simile a Mosè, citato spesso insieme a Mosè, Samuele è il profeta che istituisce la monarchia, secondo la profezia: prima c’è l’alleanza tra il popolo e Dio, e poi c’è la legge, poi la profezia, poi la monarchia, e poi ci sono i giudici… Molto contestato, non per nulla nel capitolo sette del primo Samuele che cosa troviamo? Questa titubanza da parte di Samuele di istituire la monarchia e Dio stesso gli dice: va beh, guarda istituisci questa monarchia e poi, dopo un lungo discorso, Samuele che dice: ma guardate poi, i re che cosa faranno? prenderanno i vostri figli e li useranno per fargli fare il servizio militare per loro, se no li faranno lavorare nelle proprietà che hanno. Non solo, vi tasseranno. Il problema del federalismo: nella Bibbia c’è tutta la realtà di oggi, assolutamente, vi tasseranno e quindi non sarete contenti di pagare le tasse .
C’è il motivo delle tasse nella Bibbia e poi ci sarà il motivo della secessione; penso che voi conosciate un po’ la storia biblica che, terra a terra, è molto simile a quella che viviamo oggi noi e tra l’altro c’era il nord e il sud.
Con il re, il primo re, Saul, ancora non è stata conquistata Gerusalemme, con Davide poi ci sarà questa conquista di Gerusalemme; poi c’è il regno unito e Salomone è quello che porta al massimo dell’estensione geografica il mito di Israele, un mito; poi però Salomone cosa fa? Costruisce due cose: il palazzo e il tempio, ci mette tantissimi anni, lo fa con materiale pregiatissimo, e che cosa costituisce anche? Per poter costruire il palazzo e il tempio indovinate che cosa usa di nuovo? La schiavitù, i lavori forzati, mannaggia. Ci sono dei testi come il primo libro dei Re che hanno il tessuto letterario identico a quello del libro dell’Esodo, cioè identico a quello che gli Ebrei vivevano in Egitto sotto i faraoni. Salomone, a una lettura attenta, esegetica, è la controfigura di un faraone, purtroppo.
Qui c’è una perversione. La politica, lo dobbiamo sapere, è una perversione, o meglio, è una necessità: tutto nasce con la politica, non serve niente fuori nella Bibbia stessa, ma si sa che quanto di più perfetto si possa pensare (la monarchia non è mai vista come una cosa perfetta, però necessaria) può pervertirsi, c’è la mistificazione, e quando si perverte? quando uno si monta la testa. Salomone, voi sapete chi è, è l’esempio della sapienza, e la sapienza è la via di Dio e degli uomini, la sapienza è il massimo della Bibbia. Guardate, è più della profezia, tanto è vero che io definisco in questo libro la profezia una profezia sapienziale nella Bibbia.
Allora che significa? La sapienza è l’incrocio nella Bibbia tra due, diciamo così, rivelazioni, tra due intelligenze, quella di Dio e quella dell’uomo. E la Bibbia, guardate, non parla solo di Dio, parla tanto anche dell’uomo e riconosce all’uomo una sapienza (andate a leggere Giobbe 28), c’è una grane considerazione della sapienza umana, e la grande intuizione della Bibbia è questa, che la sapienza umana da sola è poco, ma anche la sapienza divina da sola è poco, paradossalmente. La vera sapienza, quella che è il massimo, sta al confine, cioè all’incrocio tra due sapienze: quella che viene dal cielo, da Dio, e quella che viene dalla terra, la riflessione dell’uomo, l’intuizione, il discernimento.
Allora, in questo incrociarsi c’è proprio davvero, come si può dire, la speranza, c’è la possibilità di scavare i contenuti di questa alleanza sulla terra, cioè la vita. Salomone ne è il grande esempio perché lui chiede, quando deve diventare re, un cuore che ascolta Dio, un cuore capace di ascoltare, cioè di essere al confine.
Ciononostante, Salomone suo malgrado esagera, perché Salomone ha mille concubine, non si accontenta, è esagerato, è un perfezionista perché avere mille concubine significava… è vero che la donna è il simbolo della sapienza e anche le concubine non erano… Berlusconi però lui si arrangia, saranno più di mille, avrà superato anche Salomone, cioè voglio dire, non sto scherzando, tutti i Re nel mondo antico, pensate ad Assuelo, o ad Artaserse, al mondo greco, o al libro di Ester. La stessa Ester si è mascherata da concubina. Bene, è interessante.
Ma che cosa indicava? La contaminazione con le altre sapienze. Cioè Salomone diventa così sapiente che prima di tutto sposa la principessa egiziana, voi sapete la prima moglie era la principessa egiziana, ma è simbolico tutto questo, è perché lui riconosce la sapienza dell’Egitto e l’Egitto, nel mondo antico, è la culla della sapienza del vicino oriente antico, insomma del bacino del Mediterraneo. Poi c’è la sapienza babilonese, poi quella greca, siamo d’accordo.
Allora tutto ciò è simbolico, le sue mogli, le sue concubine sono il segno di una sete avidissima che Salomone ha di conoscere tutte le sapienze, pensando che bisognerebbe sdoganare la Bibbia dalla verità che certe volte anche i papi dicono che la verità è una. No, nella Bibbia la verità è tanta, perché ce ne sono tantissime, di sapienze. È ben diverso.
Ciononostante, lui si allarga, lui esagera, e però, l’eccesso, non conoscere il limite purtroppo è lo scacco dell’uomo sapiente, perché la conoscenza del limite è ciò a cui si deve arrivare, è il frutto della sapienza. Là dove tu getti lo sguardo sull’infinito ti devi fermare, questo dice la sapienza. Salomone vuole invece abbracciare l’infinito come tanti governanti si ammalia di questo, essi vogliono diventare la foto dell’infinito, la comunicazione, il comunicare con l’infinito, la bellezza, la grandezza, l’eccesso e identificarsi con esso.
Qui nasce la perversione e in maniera molto concreta poi ricade sulle tasse tutto ciò, perché per costruire il tempio si è costretti a pagare le tasse e allora, dopo la morte di Salomone…adesso mi fermo qui, se no posso andare fuori strada, la profezia è un mare stupendo… Allora, che succede? Tutto questo doveva essere contro il limite. Bisognava pagarlo e chi pagava? Pagava il nord, il nord lavorava di più come voi… mi spiace per voi, io sono a Roma e quindi, come dice la Lega, Roma ladrona. No! non si può dire Gerusalemme ladrona, però Gerusalemme assorbe. E allora a un certo punto il nord, che è verde, che ha la Giudea per esempio che pure è semidesertica, cosa volete che potessero pagare da nord. A un certo punto dicono no, scusate, noi non vogliamo più pagare le tasse, è troppo. E allora secessione: Roboamo e Geroboamo.
Sono due uomini samariti, samaritani (ricordate Giovanni 4): la Samaria è la vecchia sposa di Dio, la Samaria che ha avuto cinque mariti, e poi la Samaria per diventare così ricca come ha fatto? Ha tributato anche qualche sacrificio alle divinità della terra, anche voi lo farete qui a Milano, avrete le vostre divinità per forza, per la finanza, per esempio, cose del genere. Qualche sacrificio bisogna farlo. Fare sacrifici non significa solo andare sulle alture e fare il sacrificio. Fare il sacrificio significa tributare qualcosa di importante in un’arena in un gioco di alleanze, di altre alleanze. Ed ecco che la Samaria diventa la più… E studierai Amos e Osea e Gomer. la Samaria è Gomer, è la prostituta per eccellenza. Quindi, i tuoi figli io non li chiamo più amada, ma non amada.
Qui nasce tutto il linguaggio e, come si può dire, la grande rabbia che ha citato Massimo Verdino dei profeti contro l’idolatria. Ma non è solo un fatto meramente religioso in senso stretto, è il segno di qualcosa. La Samaria viveva dei frutti della terra e quindi c’erano gli asceri, la luna che regolava il ciclo della produzione, eccetera, insomma tutte cose che noi oggi viviamo in altro modo ma assolutamente nella stessa intensità.
Ecco allora che cosa fanno i profeti? Avevo notato tante cose e allora la profezia… Volevo legarmi un attimo a Mario Tronti. Ho conosciuto Mario Tronti in incontri che avvengono tutti gli anni a Camaldoli, in una specie di cattedra dei non credenti, cioè non a Camaldoli, ma in un monastero camaldolese che è a Monte Giove di Fano, non so se lo conoscete. Lì Mario Tronti mi aveva invitata a parlare della profezia e io definii la profezia un’istanza critica (mi piacerebbe discutere su questo) perché mi trovai in un rapporto dialogico ma anche dialettico con Mario Tronti, perché appunto lui… e lo ritrovo all’inizio del libro di Giovanni Bianchi che dice: “è difficile definire questa stagione che a Mario Tronti appare segnata da storie minori in fuga dalla profezia e dalle utopie”. Ecco, è proprio il pensiero di Mario Tronti, che mi è sembrato di aver intercettato proprio in quella occasione e lui identifica la profezia con ciò che la profezia diventa quando sta morendo nella Bibbia: diventa un’utopia e diventa apocalittica.
L’apocalittica che cosa è? È una deformazione della profezia però, è uno sviluppo. Allora, se dicevamo che i profeti vivono insieme ai (avevo iniziato ma non avevo concluso) re, poi ci sono i sacerdoti, ci sono i giudici, il re può essere anche giudice, e poi c’è la profezia.
Allora una volta che nel periodo del secondo tempio, quando tornano, c’è tutto un periodo del secondo tempio nella Bibbia, siamo nel V secolo, c’è stata la distruzione di Gerusalemme, la distruzione del tempio, sono andati in esilio, tornano, tornano ma non c’è più il re; ci sono solo i sacerdoti nel secondo tempio, l’unica autorità autonoma in Gerusalemme è quella del sacerdote.
Scompare in un certo senso la profezia, perché la profezia sta dentro questo luogo dove c’è un’alleanza tra Dio e Israele e c’è poi la legge, e c’è un’istituzione politica in cui c’è il re, c’è il sacerdote, c’è il giudice e c’è il profeta. Dopo, siccome non c’è più questo contesto, non c’è più il tempio, non c’è più il palazzo, si ricostruirà il tempio ma resteranno solo i sacerdoti e non c’è più un popolo, c’è un popolo sacerdotale; è un fenomeno, un epifenomeno, una parola nuova che però si capisce. Ma la vera profezia, cioè quella che noi abbiamo nei testi grandi, Isaia, il primo Isaia eccetera, ma anche il secondo Isaia ancora, è una profezia che stava in un contesto dove c’è il re, capite? Un contesto normale, definiamolo così se è possibile.
Allora, Mario Tronti interpreta la profezia come apocalittica, cioè dice: è tutto distrutto, non c’è più niente, che cosa ci vuole? Ci vuole una profezia, una pangenesi, un nuovo mondo perché l’apocalittica che cosa dice: questo mondo deve essere distrutto, nasce da un pessimismo sul secolo, bisogna uscire dal secolo. A me sembra di interpretare così il pensiero di Mario Tronti, un po’ lo sento anche nelle note sue. Ma voglio provocare anch’io, se permettete.
Invece la grande profezia non è questa. La grande profezia che cos’è? È questa: guardate Isaia. Vi leggo alcune tracce tratte da Isaia. Allora: come mai la città fedele è Gerusalemme (sto leggendo Isaia, versetto 21), Gerusalemme è la città fedele per eccellenza, qui la traduzione direi che significa “giusta”, perché Gerusalemme è la città della giustizia in quanto è il segno che Dio è alleato con Israele. Poi c’è l’anello di nozze che è la legge. E come mai allora questa città… Giustizia, nella Bibbia, significa fedeltà. È tutto un altro contesto, il diritto è un luogo di fedeltà, è un dato di giustizia retributiva come potremmo noi immaginare, o distributiva, tutta un’altra cosa. Ma come mai questa città fedele che fu fondata sul diritto e sulla giustizia è diventata una prostituta?
Che cosa significa questa perversione? Era piena di diritto, e vi dimorava la giustizia. La fraternità sta dentro la giustizia perché il patto Dio l’ha fatto con tutto il popolo, il giubileo; e la terra non è di Israele ma è di Dio, per cui il giubileo restituisce alla terra la sua verità, che la terra è il luogo dove il diritto e la giustizia possono essere resi un sacramento, cioè possono essere spezzati e la giustizia non è possibile farla se non sui beni, sui beni della terra, sui frutti della terra. E la terra Dio l’ha data a tutti, le 12 tribù, cioè tutti, e se qualcuno per insolvenza, per debito non potrà avere l’alienazione della sua parte deve vivere in pace perché arriva il giubileo, c’è veramente, ed è cancellato il debito. Questa è la giustizia , questa non è la generosità, sta nel primo Testamento; non è che Gesù sia venuto a inventare la misericordia. La misericordia è giustizia, perché questo è il diritto di Israele, che tutti dovranno fruire dei beni. E si vi fosse tra voi il povero, il povero ha diritto di fruire dei doni perché tu eri povero; perché lo straniero deve essere accolto, perché tu eri straniero.
Ora invece è piena di assassini, che è successo? Sapete che è successo? Una cosa piccola che succede adesso a Roma, con Propaganda Fide addirittura e qui lo cito, perché se qualcuno di voi ama la chiesa queste cose vanno denunciate: Anemone sì, ma anche Propaganda Fide. Il tuo argento è diventato scoria, il tuo vino è diluito con acqua, c’è questa perversione, perché?
I tuoi capi sono degli scavezzacollo, cioè complici di ladri, tutti sono bramosi di bustarelle, di regali, la corruzione, ricercano omaggi. Questo piccolo problema diluisce il vino buono della giustizia. È un piccolo problema, piccolo o grande? È lì il problema di oggi, di ieri, di Gerusalemme, la corruzione, la mancia, e in fondo è la mancia. Scaiola è una mancia, una bella mancia, ma in fondo è questo. Ma anche affittare un appartamento a cento invece che a trecento è una mancia.
Ma qui si annida che cosa? La distruzione di Gerusalemme, qui si annida, qui l’argento diventa scoria, tu hai scelto la scoria e questa perversione chi la rinuncia? Massimo Verdino si chiedeva a un certo punto, una domanda tecnica, l’altra la faceva forse anche a me, non ricordo. Dicevi: in un momento di crisi come c’è adesso, il popolo, la massa addirittura, può diventare critica, fare autocritica? Io ti rispondo no, il popolo non fa autocritica. Sai chi è che fa critica? Il profeta nella Bibbia. Anzi, la gente che cosa fa quando c’è la crisi che deriva da questo, perché chi prende la mancia, che cosa fa? Corrompe i tribunali, corrompe il patto sociale, corrompe l’alleanza chi prende la mancia, e azzera quel diritto che viene dalla trascendenza e lo fa suo e lo espropria.
Ora la gente sai che fa? È scritto nel capitolo terzo che io cito qui. Che cosa fa? “Metterà dei ragazzi a capi”. Fa peggio ancora: “dei monelli vi domineranno”. C’è la proposta di fare senatori i ragazzi di 18 anni. È diabolica. Andremo noi a dire “qualcuno fa questa proposta?”. È questo il problema. Cioè quando c’è la crisi che facciamo? Facciamo votare i ragazzi, chiamiamoli a governare, facciamo ministri dei trentenni. Ma secondo me non è giusto fare ministri dei trentenni, non è giusto.
Perché il mio professore di sapienziali diceva che per leggere il libro di Giobbe solo per leggerlo, perché una mia collega aveva commentato il libro di Giobbe nella Bibbia Piemme che aveva 38 o 40 anni, e lui diceva no, prima dei 50 anni non si può neanche fare una lettura degna del libro di Giobbe. Secondo me ha ragione.
Guardate che nella Bibbia che dei ragazzi ci governino è un fatto negativo perché la memoria ha bisogno dello spirito, e tu, Verdino, citi lo spirito e giustamente parli che il nostro mondo nuovo è il tempo in cui si entra dentro il tempo e c’è questa creatività. Molto bello quello che hai detto, è verissimo, si ha questa creatività, questa creatio ex nihilo, ma non è una creatio ex nihilo, una tabula rasa, perché lo spirito ha bisogno della memoria.
Io voglio tributare al Dossetti e a tutti voi questa gratitudine: la memoria, non abbandonate la memoria, perché nella Bibbia la memoria è la fonte della vita e il futuro; i rabbini dicono il futuro viene da dietro. Non voltarsi indietro però, no, noi guardiamo avanti, questa è la profezia: la capacità di sentire che la tua parola non viene da te, viene da una memoria assodata. Ecco perché l’anziano nella Bibbia, i capelli bianchi, sono il segno della sapienza, perché c’è questo passaggio di padre in figlio. C’è la memoria e un grande ringraziamento va attribuito, tra virgolette, ai nostri fratelli ebrei. Il cristiano lo celebra con l’Eucarestia che è un memoriale, noi lo chiamiamo memoriale.
Allora da questa memoria che cosa viene? Quando si dice che i bravi ragazzi (come dicono i loro capi) sono persone che non sanno niente, che non conoscono il diritto e la giustizia e non conoscono quando fu data la legge, nel deserto, quando non c’era niente. E allora lì veramente c’è il sapore del diritto che non conoscono, non sanno quanti anni, 40 anni, hanno dovuto tribolare lì nel deserto per poter salvare questa parola e salvare la loro vita.
E un’ultima cosa, poi mi fermo. Il popolo, considerato nel suo complesso, l’uno contro l’altro, individuo contro individuo, purtroppo il popolo cosa fa? Diventa egoista, cerca il suo, il federalismo. Dice: noi qui paghiamo le tasse a Bergamo e vogliamo che questo ritorni a Bergamo. Guardate, è scritto, la Bibbia non è fuori dal secolo, è assolutamente dentro al secolo e la profezia è questa parola critica che fa comprendere come questa soluzione sia una soluzione per oggi. Io penso che le tante cose che oggi si dicono, in Italia anche cose orribili, sono a brevissima gittata, non hanno futuro, è impossibile, come il discorso sugli stranieri, non avrà un futuro, prima o poi cambierà.
Che cos’è quindi la profezia? La profezia è un vedere attraverso, non tanto prevedere il futuro come dall’ampolla magica, dalla boccia di vetro, no, non è questo. È un vedere attraverso, è un’istanza critica che chiede molta sapienza, molta memoria, chiede anche coraggio di esserci e soprattutto chiede fedeltà. Io dico a lui che si occupa di politica: devi amare l’argento, l’argento è quella scoria che tu oggi vedi, ma quello è l’argento. Noi possiamo giocare soltanto sull’umanità e sulla gente che abbiamo davanti a noi e accanto a noi oggi, mai andare via.
C’è la tentazione di fuggire, Elia che torna all’Oreb, che vuole fuggire e addirittura dice “riprendo la mia vita”. Dio invece gli dice “ritorna”. Anche Geremia ha sempre tentato di scappare, Giona poi non ne parliamo, è il massimo.
Ma ora mi fermo visto che sono stata anche troppo lunga, non volevo fare una conferenza, però visto che stavate zitti e ascoltavate…
Grazie.