La contrapposizione fra la piazza della CGIL a Roma (fossero o meno un milione di persone) e il gruppo dei renziani della prima e di tutte le ore non regge.
La grande manifestazione della CGIL può essere un momento importante di svolta per il rapporto fra sindacato e politica. Certo, così tante persone in piazza, anche se in base ad una piattaforma e a parole d’ordine errate e lacunose, sono un fatto politico in sé. Ma il dato importante è che, finalmente, si prenda atto da una parte e dall’altra che il rapporto fra soggettività sindacale e soggettività politico – istituzionale è un rapporto fra distinti, cosa che si è affermata in tutta Europa a partire dalla Gran Bretagna dove addirittura era stato il sindacato a fondare il partito laburista.
La CGIL , che non è “il” sindacato ma “un” sindacato (cosa che quando verrà ben interiorizzata da alcuni amici e compagni dentro al PD non sarà mai abbastanza presto), con la manifestazione di ieri ha voluto affermare la sua autonomia e il suo dissenso rispetto al Partito Democratico e a chi legittimamente lo guida. Tale autonomia dovrà ora essere conseguente, per evitare di vedere spettacoli come quello cui assistemmo all’ ultimo Congresso della Federazione milanese del PD, quando la larga parte del vertice dirigenziale della Camera del lavoro di Milano si schierò con una corrente e con la sua candidata alla Segreteria (oltretutto perdendo nettamente).
Allo stesso tempo, coloro che all’interno del PD non condividono la strategia del Segretario/Presidente del Consiglio dovranno superare la tentazione di presentarsi surretiziamente come i portatori delle istanze della CGIL a livello politico, accreditandosi così una forza che nel Partito e nel Paese – e lo sanno bene – non hanno.
Naturalmente anche Renzi ha le sue responsabilità in tutta questa faccenda, non tanto perché, come ha scritto qualche irresponsabile, è stato lui ad ordinare alla Polizia di manganellare i metalmeccanici di Terni in sciopero qualche giorno dopo. Il problema di Renzi evidentemente è quello di governare, non solo attraverso gli organi dello Stato che da lui dipendono, ma anche attraverso la filiera del Partito Democratico inteso come strumento privilegiato per far passare quel messaggio di cambiamento che il Ragazzo di Firenze vuole imprimere alla società italiana.
Un leader senza partito ha successo sul momento e magari per un certo tempo, ma il suo carisma alla lunga svanisce. Un partito senza leader é solido, ma non mobilita e non attrae chi sta fuori. Il PD é un vero partito, l’unico vero partito esistente oggi in Italia, ma non ha mai avuto un leader, al massimo degli onesti mestieranti. Ora un leader ce l’ha, e questo fa la differenza, ma deve sempre pensare che egli è parte integrante di un progetto comune che continuerà anche quando lui non ci sarà più.
Perché alla fine è la politica che decide.